“Moglie”
di Cinzia Sasso
Edizioni UTET. Prefazione di Natalia Aspesi
recensione di Alberto Costa (pubblicata su www.corrieredegliitaliani.ch)
«Per quanto mi riguarda, l’importante è essere a casa la sera, quando quello che voglio è aprire la porta a mio marito». Ma bisogna diventare sindaco di Milano perché la propria moglie abbia di questi pensieri? Ce lo siamo chiesto in tanti, noi lettori uomini dell’ultimo libro di Cinzia Sasso, acuta e insieme spumeggiante giornalista di Repubblica, compagna per anni e poi moglie di Giuliano Pisapia, il sindaco arancione che ha ridato slancio a Milano perché è stato l’unico a saper passare con totale naturalezza da una riunione al Leoncavallo a una tazza di tè in casa di Giulia Maria Crespi.
La risposta di Cinzia è no. Non occorre diventare sindaco di Milano per essere un po’ accuditi e coccolati dalla propria moglie. Quello che occorre è realizzare che «non si può, in una coppia, correre tutti e due a velocità forsennata e ognuno su una strada diversa». Uno dei due deve fare un passo indietro, o una sosta, e affrontare quella che gli anglosassoni chiamano appreciative resignation, la rassegnazione positiva, che apprezza ciò che ha e che accetta che, se si vuol salvare la coppia, uno dei due deve accettare un ruolo apparentemente secondario.
Cinzia Sasso, che per fare bene e a tempo pieno la first lady di Milano e stare a fianco al suo amato Giuliano ha dato le dimissioni da Repubblica, butta sul tavolo di molti di noi la storia della sua cara amica, che dopo una lunga vita di coppia si è separata (o forse è meglio dire è stata lasciata dal marito). «È stato uno choc, in primo luogo perché nessuno se lo aspettava, e lei meno che mai… era talmente presa da quello che faceva che non aveva più né tempo né spazio mentale per l’altro. Era talmente felice di cominciare presto e finire tardi le sue giornate con i suoi impegni, che non riusciva ad accorgersi che improvvisamente l’altro pezzo di loro aveva bisogno di lei».
Perché quando accade il contrario la moglie ha in genere maggiore tenuta e, specie se ci sono dei figli, riesce a reggere la tensione della solitudine e del diventare “trasparente”? Non lo so, e non lo sanno neppure i miei amici coetanei. Forse è un fatto generazionale. Noi siamo cresciuti con la mamma che ci veniva a prendere a scuola, che ci faceva la merenda e intanto ci aiutava a fare i compiti e ci insegnava a suonare il pianoforte e poi andava in cucina a preparare la cena perché «fra poco arriva il papà». E le estati le passavamo in Liguria, con la mamma la zia e i cugini. Felici come pasque tutta la settimana, nascosti appena possibile sotto grandi gonne a fiori, ci dava fastidio al venerdì l’arrivo dei papà che ci facevano diventare trasparenti perché avevano solo occhi per le mamme (e viceversa).
Nessuno ci ha detto che poi le cose sarebbero cambiate e che saremmo arrivati a casa stravolti (come i nostri papà) ma invece di trovare la cena pronta avremmo sentito una voce dal fondo del corridoio che dice «finisco questo email e arrivo! Puoi cominciare a preparare la tavola?». Nessuno ci ha avvisato che avremmo dovuto imparare dove stanno le magliette e le calze dei figli per portarli a scuola quando la mamma è a Zurigo per una riunione o che avremmo dovuto saper riempire il frigo perché non possiamo mica mangiare pizza per una settimana, dato che la mamma non può impiegare meno di 6 giorni per andare al suo congresso a Sidney…
Come nessuno ci ha avvertito che avremmo potuto far l’amore con il nostro amore quasi solo la domenica mattina verso le 10, non prima perché lei ha diritto di recuperare finalmente un po’ di sonno e non dopo perché poi si svegliano i figli e arrivano in camera perché non trovano la nutella.
Cinzia Sasso non ci pensa un secondo ed entra in questo labirinto di sensazioni ed emozioni che quasi tutti noi proviamo e di cui, se siamo onesti, non parliamo volentieri. Racconta di aver cercato sul vocabolario l’etimologia della parola “consorte”, un «polveroso sinonimo di moglie» e scopre che viene dal latino e che significa «che condivide la stessa condizione». Consorte è una parola che non ha genere, va bene sia per un maschio che per una femmina. Forse dovremmo tornare all’antico e chiamare così moglie e marito.
Anche perché altrimenti non sapremo come fare quando a voler essere a casa ad aprire la porta alla propria moglie sarà un marito. Come vive il compagno di Angela Merkel? Che fa il marito della sindaca Raggi o della Appendino? O quello di Gioia Ghezzi che presiede le Ferrovie dello Stato? Ormai le donne in posizione importantissima, con impegni quasi 24 ore su 24, sono numerosissime e gli uomini che possono stare al loro fianco sono invece delle mosche bianche.
Ci dobbiamo pensare anche per i nostri figli. Credevamo già di aver fatto chi sa quale rivoluzione a pretendere anche dai maschi che si facessero il letto e che imparassero a riempire la lavapiatti. Ma ora bisogna fare un altro salto e ben più alto. Quello che porterà i maschi a provare il piacere di veder la loro donna volare su progetti di straordinaria innovazione o sentiranno l’importanza di saperle stare vicino nei momenti di tremenda responsabilità pubblica.
Nella sua prefazione, Natalia Aspesi si chiede se Pisapia troverà il tempo, tra i tanti suoi nuovi impegni politici e professionali, di «scrivere un memorabile libro intitolato Marito».
Noi mariti ce lo auguriamo, e siamo pronti a dargli una mano, soprattutto per ringraziare tutte quelle mogli che invece di considerare Penelope una fallita succube del maschio, potranno con orgoglio dire di aver salvaguardato la famiglia e il regno e provato la gioia impareggiabile di riabbracciare il loro Ulisse che mai ha smesso di adorarle e che lo farà fino alla fine dei suoi giorni.
Poi finalmente qualcuno scriverà “Consorte” e raccoglierà storie d’amore per individui che hanno cambiato il mondo e che, come scopriremo facilmente, saranno in parti uguali sia uomini che donne.