"È parso bene allo Spirito Santo e a noi" (At 15,28) Riforma, profezia, tradizione nelle Chiese - Confronti
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“È parso bene allo Spirito Santo e a noi” (At 15,28) Riforma, profezia, tradizione nelle Chiese

by redazione

intervista a Piero Stefani, presidente del Segretariato delle Attività Ecumeniche (SAE), a cura di Claudio Paravati

Assisi, dal 23 al 29 luglio, la prossima Sessione di formazione ecumenica del Segretariato delle attività ecumeniche (SAE). Titolo della sessione “È parso bene allo Spirito Santo e a noi(At 15,28) Riforma, profezia, tradizione,  nelle Chiese. Per maggiori informazioni e per iscriversi, www.saenotizie.it.

Qui il programma

Abbiamo intervistato il presidente del SAE, Piero Stefani.

Si parlerà dunque di riforma prossimamente ad Assisi?

Sarà la seconda puntata di un percorso dedicato al tema che ha certamente a che fare col clima dell’anniversario dei 500 anni della Riforma protestante, ma non solo. Lo scorso anno si è pensato più alla tradizione e alla profezia, quest’anno il tema portante sarà la riforma, non tanto da un punto di vista storico, quanto da quello legato all’istanza di riforma che permane nelle varie confessioni cristiane, e anche nelle altre tradizioni religiose. Ci saranno voci che vengono dal mondo ebraico e dall’islam.

Cosa fa il SAE?

Innanzitutto organizza annualmente due appuntamenti nazionali: la sessione di formazione estiva e il convegno di primavera, che quest’anno abbiamo tenuto a Torre Pellice (TO). Nel contempo l’attività del SAE è legata ai gruppi locali, una trentina in tutta Italia.  Le sue due dimensioni: quella nazionale, e quella locale si sostengono reciprocamente. Nell’uno e nell’altro caso lo scopo di SAE è di far crescere l’ecumenismo al di là dei limiti ristretti della nostra associazione.

Il SAE rimane un luogo privilegiato e unico in Italia dove poter conoscere persone da molte tradizioni cristiane, e con esse confrontarsi. In riferimento alla comunità ortodossa, così cresciuta negli ultimi anni, è possibile dire che ci sia una nuova frontiera di dialogo con tale comunità?

I lavori del SAE sono fondati su delle costanti, che portano a un cambiamento. Mi spiego: le costanti sono l’esperienza del SAE e il suo essere luogo di elaborazione. Esperienza ed elaborazione portano a un cambiamento, dal momento che la realtà della società e delle chiese cambia a sua volta. Per il caso specifico, il mondo ortodosso è  da sempre presente nel SAE. Ora la corrispondenza con le realtà locali ortodosse è aumentata rispetto al passato. Da questo punto di vista il SAE  ha una posizione privilegiata, perché rimane luogo di incontro con questo mondo, così vicino ma per tanti in Italia ancora sconosciuto.

Il SAE nel proprio statuto si definisce «un’associazione laica per l’ecumenismo a partire dal dialogo ebraico cristiano». Quello con l’ebraismo è dunque un rapporto fondativo. A fronte della nuova multi-religiosità del nostro Paese, quali saranno le mosse del SAE per portare il dialogo anche su questi fronti? 

Diciamo che il rapporto col mondo ebraico è fondamentale, perché è un rapporto intrinseco alle origini stesse delle fedi cristiane. Si cita sempre, opportunamente, Karl Barth quando diceva che «c’è un unico vero problema ecumenico, il nostro rapporto col popolo d’Israele». Si tratta di un tema che accomuna tutti i cristiani. Per quel che riguarda gli altri mondi religiosi, non si può porre il rapporto con essi sullo stesso piano, il che non significa che le relazioni con loro  siano meno importanti,  semplicemente sono diverse. Quello che vedrei come compito specifico del SAE, specie in relazione al suo gruppo teologico, è di elaborare una visione teologica, ecumenica, intra-cristiana, sul rapporto con le altre religioni.

Come valuti il momento ecumenico sotto il papato di Bergoglio?

L’atteggiamento di fronte al papato, anche all’interno del SAE, non è omogeneo. C’è chi ha una visione positiva, e  prova vicinanza e simpatia per Bergolio, soprattutto per la modalità dell’incontro con le persone proprio di questo papa. Gli  si accredita la capacità di cambiare profeticamente il ruolo del papato anche in dimensione ecumenica. C’è poi chi, pur riconoscendo la novità e la freschezza del clima,  è più cauto, in particolare per quel che riguarda la capacità profetica di una persona che guida un’istituzione formidabile, che porta con sé anche tutti i  propri  pesi storici e, per così dire, istituzionali: la chiesa cattolica romana è plurisecolare, mondiale, legata a forme di governo e di burocrazia. C’è chi teme che cambiando in maniera solo lieve tale struttura, ci sia più da essere cauti che ottimisti rispetto al dopo Francesco.

Il SAE si pone obiettivi ecumenici forti, quali per esempio quello di promuovere l’ospitalità eucaristica tra cristiani?

E’ un tema  che si ripropone costantemente nella vita del SAE, sessione dopo sessione. Anche qui il discorso è articolato su due livelli. Una componente crede che la partecipazione all’eucaristia di una chiesa diversa dalla propria che invita alla mensa anche altri cristiani sia da accogliere nonostante le indicazioni contrarie delle proprie chiese di appartenenza. Lo si ritiene infatti un gesto, se non profetico, per lo meno “prospettico”; c’è chi d’altra parte ha chi  ritiene doveroso seguire alla lettera i dettami della propria chiesa.  Credo che in questo contesto la  più importante sia quella di rispettare le coscienze. Ci partecipa deve non solo rispettare ma anche prendersi cura di chi non partecipa e viceversa.  Il SAE, come è facile comprendere,  si rallegra dove si pratica in armonia e concordia  forme di ospitalità eucaristica.

Il SAE è da sempre nel nostro paese un’avanguardia: come proseguire verso il futuro? 

E’ una avanguardia da sempre, una frase un po’ paradossale; la sincerità impone una riflessione sulla dimensione temporale.  Oggi anche la nostra associazione ha un problema di invecchiamento e di ricambio generazionale. In sostanza direi questo: l’ecumenismo è un’esperienza legata, per forza di cose, a dimensioni culturali e storiche, senza delle quali non si capiscono le differenze esistenti,  le divisioni antiche, e nemmeno il tentativo di superarle. Il mondo contemporaneo, e in  particolare i giovani, hanno in genere una scarsa coscienza storica. Di conseguenza il tema dell’ecumenismo è poco sentito, non si comprende infatti dove stiamo i problemi. Questo rilievo rientra in un discorso più generale volto a favorire nella società la crescita di un impegno civile, culturale e religioso. Ci vogliono tutte e tre queste dimensioni. Se riusciremo a dare un contributo per  muoverci in questa direzione allora potremo proseguire proficuamente  il nostro cammino. Fermo restando che il  punto di forza  del SAE è costituito dall’esperienza di comunione che l’associazione si propone di attuare e diffondere.

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