di Enzo Nucci (corrispondente della Rai per l’Africa sub-sahariana)
Alcuni Paesi africani prendono posizioni differenziate rispetto alla vicenda che vede l’Arabia Saudita e altri stati del Golfo accusare il Qatar di sostenere il terrorismo, anche attraverso l’uso della potente emittente Al Jazeera.
La crisi diplomatica tra i paesi arabi del Golfo ed il Qatar sta avendo ripercussioni anche in Africa, che è stata la culla della rottura delle relazioni tra i due blocchi. Tutto è nato infatti dall’offerta (avanzata attraverso la televisione Al Jazeera) del ministro degli Esteri dell’emirato di Doha al governo somalo di intervenire presso i terroristi islamisti di Al Shabaab (legati ad Al Qaeda) per favorire la pacificazione nel paese squassato dalla pluriennale violenza integralista. Una proposta “indecente” che si è rivelata un boomerang, una ammissione neanche troppo velata dei rapporti del Qatar con Al Shabaab, già emersi quando l’emirato aveva offerto (inutilmente) asilo politico al leader jihadista Hassan Dahir Aweys, arrestato nella capitale somala. Senza dimenticare che Qatar, Emirati Arabi, Sudan e Turchia si sono scontrati tra loro al suono di denaro contante durante la campagna per l’elezione del presidente somalo per comprare il consenso di candidati in grado di garantire accordi commerciali e non solo. In particolare proprio gli Emirati ed il Qatar in questa occasione sono entrati in rotta di collisione per favorire leader legati alle diverse correnti della Fratellanza musulmana, una delle più grandi organizzazioni di massa del mondo islamico innervata saldamente in molte nazioni. La proposta di diventare ago della bilancia nel cammino di pacificazione in Somalia è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno. L’Arabia Saudita (con il sostegno di Emirati Arabi, Egitto e Bahrein) ha così accusato il Qatar di sostenere il terrorismo anche attraverso l’uso della potente emittente Al Jazeera. Ed è scattato l’isolamento diplomatico di Doha, inasprito dall’interruzione di trasporti aerei, marittimi e terrestri. Gli scontri erano già emersi anche in altre innumerevoli occasioni, nel dibattito sui rapporti con l’odiato Iran sciita o quando la tv satellitare qatarina fu accusata di sostenere e fomentare le cosiddette primavere arabe.
In Africa si sono creati strani e intercambiabili schieramenti. Etiopia, Sudan e Somalia si sono affiancate al Kuwait in una posizione di neutralità attiva, equidistanti dai blocchi e favorevoli ad una mediazione per la soluzione della crisi in tempi brevi. Per il dialogo tra le parti ma con posizioni più sfumate ci sono Marocco, Tunisia e Algeria: hanno optato per la neutralità, vista la presenza sui loro territori di gruppi politici finanziati indirettamente dal Qatar.
Somaliland, Mauritania, Comore, Senegal, Ciad, Niger, Gabon, Gibuti ed Eritrea non hanno avuto dubbi ad abbracciare le ragioni dell’Arabia Saudita (che non è certo a digiuno in materia di terrorismo) e hanno richiamato i loro ambasciatori oppure tagliato i contatti diplomatici, seppur con molti distinguo. I primi effetti di questo allineamento si sono visti proprio nei rapporti tra Gibuti ed Eritrea, divise dal 2008 da un contenzioso armato per il controllo territoriale dell’isoletta e della montagna di Dumeira. Nel 2010 il Qatar aveva inviato un proprio contingente di peacekeepers a fare da cuscinetto tra i due paesi in conflitto. Con lo scoppio della crisi diplomatica, il governo di Doha ha ritirato le sue forze di pace: tanto è bastato perché le truppe eritree ne approfittassero per lanciare un attacco (che ha causato una dozzina di morti e molti feriti tra i soldati gibutini) conclusosi con la presa di controllo di Dumeira.
La Somalia ha giocato un ruolo primario in questa crisi. Ha infatti rifiutato aiuti per 80 milioni di dollari dall’Arabia Saudita in cambio della rottura dei rapporti con Doha. Anzi, il presidente Farmajo (che dopo l’ elezione dello scorso 8 febbraio aveva fatto proprio a Riad la sua prima visita ufficiale) ha autorizzato l’utilizzo dello spazio aereo somalo ai velivoli del Qatar per aggirare gli effetti della chiusura del confine con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. Una scelta dettata anche dal fatto che tra gli alleati di Doha c’è la Turchia, che in Somalia svolge da anni un ruolo enorme di sostegno importantissimo anche in termini di assistenza umanitaria. Non va sottovalutata la cautela del presidente Farmajo e le sue capacità di mediatore per disinnescare le tensioni che hanno caratterizzato la campagna elettorale in cui gli Emirati Arabi hanno sostenuto apertamente il presidente uscente Sheikh Mohammud.
Interessante anche la neutralità etiope che si spiega con l’avvicinamento di Arabia Saudita ed Emirati Arabi all’Eritrea (nemico storico), nonché la costruzione di una base militare emiratina nel Somaliland, pilastro etiope per il contenimento della “minaccia” somala lungo la frontiera. Senza contare i nuovi scenari che si aprono con costruzione di uno scalo merci nel porto di Berbera in cui sono impegnati gli Emirati Arabi.
(pubblicato su Confronti di luglio/agosto 2017)
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