di Roberto Bertoni
Marco Follini
“Noia, politica e noia della politica”
Sellerio editore, Palermo 2017
193 pagine, 12 euro
«La noia è un vento caldo, umido e appiccicoso. Soffia dal nostro sud, o magari dal nostro sud-est, come lo scirocco. Evoca pigrizia, rassegnazione, un’indole a non fare e neppure a troppo pensare. Allude al senso dell’inutilità. Procede per ripetizioni, per assonanze col passato. Stride con la modernità, con il cambiamento: quei valori che la retorica del nostro tempo celebra come fondamentali. Un vento calmo e monotono, se così si può dire. Tutt’altro che impetuoso. Dal quale siamo solo blandamente disturbati di tanto in tanto. E dal quale peraltro abbiamo cercato di ripararci facendo ricorso alle illusioni della fantasia, alle strategie della rimozione e all’esercizio della pazienza».
Con una dissertazione a metà fra l’analisi politica e il saggio filosofico, ricalcando il tipico discours settecentesco e spaziando dall’ambito civile all’ambito letterario all’aspetto politico che ha costituito la colonna sonora della sua vita, Marco Follini ci regala un godibilissimo pamphlet dal titolo: Noia, politica e noia della politica. Con il gusto proprio dello studioso che può permettersi anche di assumere posizioni impopolari e di navigare controcorrente, un politico di lungo corso, da tempo in disaccordo con la nouvelle vague dei rottamatori e degli esagitati, si ferma a riflettere su quello che oggi è considerato uno spauracchio e rifuggito con sdegno da qualsiasi dirigente o attore istituzionale e che invece l’anziano Follini considera, a ragione, un aspetto essenziale della nostra esistenza: la noia.
La noia come momento di riflessione, la noia come spazio di solitudine imprescindibile, la noia come angolo intellettuale, la noia necessaria soprattutto nelle vite più impegnate, per ricaricare le batterie e guardare avanti ma anche per evitare di perdersi nel chiacchiericcio, nella diatriba costante, nelle polemiche senza costrutto, nei rituali stantii, negli eccessi verbali e in tutto ciò che purtroppo infesta la politica contemporanea. E poi la noia in letteratura, secondo le varie sfumature, vista persino come una forma di rifugio. Infine la noia in politica, nel suo svolgersi quotidiano, con tanti punti oscuri, tanti non detti e tante pratiche complesse e delicate che non sono destinate a finire sotto i riflettori ma costituiscono la struttura portante dell’attività politica stessa.
La noia del confronto, della dialettica e del dialogo, talvolta estenuante, con cittadini e categorie sociali differenti; la noia intesa come fatica, senso del dovere, mitezza, acribia nella comprensione dei fenomeni, lungo studio delle singole vicende e tentativo di comprenderle nella loro globalità; la noia, insomma, come forma di difesa dal pressappochismo e dagli eccessi verbali di questa stagione, con la constatazione amara che, a furia di scappare dalla normalità, la contesa non è diventata altro che un becero scontro di personalismi senza identità.
Servirebbe, dunque, come l’aria il ritorno ad un dibattito franco sulle idee, servirebbe un po’ di umiltà, la capacità di ascoltare e di confrontarsi da vicino con tutte le sfumature dell’umano; servirebbe, in poche parole, la moderazione dei toni e la gentilezza delle parole, riportando la discussione sul piano di una contrapposizione di valori e non di mere ambizioni personali. Scriveva, infatti, lo psicanalista e sociologo tedesco Erich Fromm che nella noia l’uomo riversa tracce profonde della propria personalità. Non a caso, ciò che oggi manca maggiormente è una politica in grado di mettere in dubbio le idee senza mettere in dubbio la rettitudine morale e la legittimità di chi le esprime. E aggiungeva Schopenhauer, in un paragone ardito ma interessante: «Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, con il calore reciproco, dal morire assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati tra due mali, finché non ebbero trovata una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione. Così il bisogno di società, che scaturisce dal vuoto e dalla monotonia della propria interiorità, spinge gli uomini l’uno verso l’altro; le loro molteplici repellenti qualità e i loro difetti insopportabili, però, li respingono di nuovo l’uno lontano dall’altro».
La noia, pertanto, è anche un antidoto all’asocialità, all’incapacità di apprezzare e valorizzare il prossimo, di coglierne la complessità, la mutevolezza, le risorse e i difetti, accettando questi ultimi e abbracciando gli aspetti migliori di ciascun essere umano. La noia, in conclusione, come esigenza e come momento di crescita, ossia tutto ciò che manca a questa società frettolosa, esagerata, precipitosa e, in ultima analisi, incapace di sentire vicino l’altro nella sua interezza, non riuscendo a trovare un equilibrio nei rapporti con il prossimo e, sostanzialmente, neanche con se stessi.