di Giancarla Codrignani
Per noi bolognesi Gigi Pedrazzi era una persona speciale, un cattolico (e un democristiano) doc che divenne vicesindaco di un Comune ovviamente di sinistra, in anni che conservavano tracce del magistero del cardinal Lercaro e presentivano la trasformazione radicale della vita politica, ma erano ancora timidi e confusi. Possedeva un’intelligenza politica estremamente raffinata: uomo di passione lucida fino al distacco era attento ai fenomeni senza mai perdere di vista i principi.
Sempre in questione con se stesso, si era impegnato a cercare – quando con Ermanno Gorrieri fondò (investendoci generosamente l’eredità di una zia) “Il foglio di Bologna” – la possibilità di realizzare una relazione informata tra i cittadini che incominciavano a non avere più punti di riferimento, dopo che le sezioni di partito e le parrocchie erano state sconfitte dall’alienazione televisiva. Fondò anche la casa editrice Il Mulino, cha ha ancora uno dei cataloghi più ricchi e interessanti in circolazione. Quando Prodi inventò l’Ulivo, risultò evidente l’importanza di una linea come la sua: “laica ma non laicista, non democristiana e non aprioristicamente anticomunista”, come era stato in precedenza. Infatti quando don Luciano Gherardi nel 1994 pubblicò “Le querce di Monte Sole”, la prima valorizzazione storica delle vittime della strage di Marzabotto – un ritardo ingiustificabile del mondo cattolico, tenuto conto dei martiri anche preti e della devastazione della chiesa – Pedrazzi criticò amaramente l’“essere stati troppo anticomunisti”.
Personalmente lo avevo conosciuto quando si schierò con i “Cattolici del No” nel 1974 al referendum contro l’abrogazione del divorzio, quando la mia era una posizione non solo di rispetto per chi non credeva nell’indissolubilità, ma entrava nel valore sacramentale del vincolo; ormai mi dichiaravo apertamente di sinistra: Gigi non mi contestò mai ma, come molti cattolici osservanti, non riteneva ancora maturi i tempi per scelte radicali. Fortunatamente in quegli anni non mancarono figure che, a partire dal magistero di don Giuseppe Dossetti (che era stato anche lo scomodo democristiano on. Dossetti e il perdente delle elezioni amministrative – a cui partecipò anche il giovane Pedrazzi – contro il sindaco comunista Dozza) diedero vita alla famosa e quasi ribelle Officina bolognese. Dallo storico Giuseppe Alberigo all’economista Beniamino Andreatta, nonostante il contrasto di ben tre vescovi ostili alle posizioni conciliari, mantennero alto il valore della cultura democratica e dell’impegno cristiano.
Quando Dossetti richiamò gli italiani a difendere la Costituzione in presenza del grave degrado della vita politica Luigi Pedrazzi, politico e politologo, era pronto a dare l’impegno che era stato il suo connotato di sempre. Una lezione di stile che mancherà non solo a Bologna.