Una risposta a “Eden: il peccato originale, un malinteso” - Confronti
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Una risposta a “Eden: il peccato originale, un malinteso”

by redazione

Pubblichiamo volentieri questa lettera inviataci dall’ingegner Roberto Paggi, che si riferisce all’articolo di Giovanni Franzoni pubblicato su Confronti di giugno 2017.

Gent.mo direttore Paravati,

vorrei inserirmi, se me lo consente, nel tema essenziale espresso da Giovanni Franzoni nell’Articolo “Eden: il peccato originale, un malinteso”. È la prima volta infatti, che mi risulti, che un autore cattolico riconosce esplicitamente e diffonde la diversa interpretazione attribuita dalle tradizioni ebraica e cristiana all’episodio biblico sintetizzabile nel “peccato originale”.

Tale episodio, come si sa, è raccontato nel secondo capitolo della Genesi. Nel primo capitolo si racconta la creazione e quindi anche quella dell’uomo. L’uomo viene creato infondendo “ruah” , l’anima, ad una creatura ricavata dalla “adamah”, la terra. Quando la creatura uomo viene chiamato “ha-adam”, con l’articolo, viene tradotto “l’uomo”; quando sparisce l’articolo viene tradotto Adamo, quale fosse nome proprio. Ma l’uomo (ha-adam), come riconosce lo stesso Creatore, non ha il suo corrispondente partner di genere femminile. Il femminile di ha-adam sarebbe la terra (ha-adamà), la terra con cui è stato fabbricato. Ricorre quindi all’espediente di ricavare la donna  dal fianco dell’uomo. Da questo momento in poi, la donna e l’uomo vengono chiamati “ishà”, lei (Alef, Shin, He) e “ish” (Alef, iod, Shin) lui. Per inciso, i cabbalisti fanno notare che ciascuno di loro ha una lettera del Tetagramma: la He alla ishà e la iod all’Ish. Ciò, a suggello definitivo della assoluta parità di dignità e di presa di responsabilità stabilita dalla Genesi, a dispetto di tutto quello che capiterà dopo, fino ai giorni nostri, per ragioni di potere e in parte forse per necessità  di sopravvivenza della specie, necessità che ha imposto per tanto tempo la divisione dei ruoli nella società e nella famiglia.

Chiuso l’inciso, ishà e ish si preparano a mangiare il frutto rilevatore del bene e del male. Ishà e ish si preparano quindi a distinguere il bene dal male, cioè ad assumersi le loro responsabilità, per sé e per i propri discendenti. Sono infatti costretti da allora in poi a lavorare con fatica e a generare con gioia e con dolore. Ciò è confermato nella successiva tradizione, ad esempio nei Salmi, dove viene usato il termine ish e ishà per i gli uomini pensanti o comunque impegnati a capire. Cito per primi i Salmi 49 e 92. Tutta la tradizione ha invece riservato il termine adam all’uomo di potere (adam be-iakar). Ciò, per ribadire che è l’uomo di pensiero la vera creatura a immagine divina, mentre l’uomo di potere tende a mantenere la sua natura primitiva. La circostanza è confermata via, via anche dalle Massime dei Padri, che fanno parte della Misnà, dove la diffidenza per gli uomini di potere è predicata ai massimi livelli. Ciò a mio parere è importante a essere ribadito, perché spesso i traduttori traducono ish come uomo importante e non come uomo pensante, mistificando e tradendo così completamente le intenzioni degli estensori del Testo Biblico originale.

RingraziandoLa per l’attenzione, invio i più cordiali saluti.

Ing. Roberto Paggi

Training Director & Scientific Advisor

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