di Patrizia Larese
In Nepal, il 9 agosto, il Parlamento ha deciso di vietare la pratica induista del Chaupadi. È stata approvata una legge contro questo genere di esilio. Il decreto, che dovrebbe entrare in vigore nell’agosto del 2018, ha sancito che il rituale è illegale: chiunque costringerà le donne ad allontanarsi dalle proprie abitazioni in un forzato isolamento, durante il periodo mestruale, potrà essere punito con una multa di 3000 rupie (circa 29 dollari) o con tre mesi di prigione.
L’antropologo Aldo Colucciello spiega che il Chaupadi è una prassi in uso in molte parti del mondo[1]. «Era un’usanza diffusa anche nelle regioni del Mediterraneo fino a pochi decenni fa. Nasce dalla rabbia degli dèi per il fatto che quando le donne avevano il ciclo stavano a casa e non lavoravano: questo il mito fondatore della pratica. Secondo il folclore legato alla religione si racconta che una divinità Indra, capo degli dèi, aveva ucciso un bramino e per espiare la sua colpa errava sulla Terra. Durante le sue peregrinazioni nel continente si comportava in modo simile al nostro Zeus, andava ad infastidire le donne. Per questo motivo le donne furono punite con il ciclo per una colpa che in realtà non avevano commesso. Dal momento che durante il periodo mestruale le donne non sono fertili, ancora oggi vengono allontanate dalla comunità e costrette a vivere isolate. Il Chaupadi è una pratica diffusa soprattutto nella parte occidentale del Nepal, in particolare nelle zone rurali. L’essere rinchiuse in capanne espone le vittime a grandi rischi durante la notte: dalle punture di insetti all’aggressione di animali, all’esposizione a basse temperature, dal momento che l’altitudine media del Nepal è di circa 2000 metri.
“Chaupadi” significa “essere donna”: una contraddizione, il sangue viene punito. Il Chaupadi in passato veniva messo in atto anche nel periodo post partum, in particolar modo dopo il primo parto. La donna con il neonato veniva isolata per giorni durante i quali non poteva partecipare agli avvenimenti della famiglia. La pratica del Chaupadi era diffusa anche nell’India orientale, nella regione dell’Orissa, a sud di Calcutta».
Racconta una donna nepalese:[2] «Quando abbiamo le mestruazioni stiamo nella capanna per 5 giorni, poi quando il ciclo è finito torniamo a casa, se stiamo nella capanna va tutto bene ma se torniamo a casa ci ammaliamo perché le nostre divinità non approvano».
Secondo una tradizione che si tramanda da secoli nel continente indiano, le donne sono considerate impure e portano sfortuna durante il ciclo mestruale e nel periodo successivo al parto. Per timore di una possibile “contaminazione”, devono evitare qualsiasi contatto con gli esseri umani e con il bestiame, non possono entrare nelle chiese e nella cucina. È vietato loro bere alla stessa fonte dei loro famigliari o andare a scuola, non devono consumare cibi ad alto contenuto nutritivo come latte, yogurt, burro, legumi o carne, per cui si nutrono solamente di riso insaporito con un po’ di sale e di pezzi di pane. È proibito loro usare coperte, ma possono usufruire di un tappeto su cui distendersi. Non possono svolgere le normali attività quotidiane come cucinare e lavarsi, non possono parlare, se non con lievi sussurri e solo se strettamente necessario. È credenza comune che, qualora dovessero contravvenire alle regole prescritte, eventi infausti si abbatterebbero su di esse: malattie, morte, rottura improvvisa delle ossa, sventura per il coniuge e per l’intera comunità di appartenenza. Le donne sono costrette a vivere in capanne dette “chhau goth” (capanne delle mestruazioni), dove le condizioni igieniche sono scarse e lo spazio è ridotto al minimo. Molto spesso sono capanne buie e senza finestre, le stesse utilizzate in altri periodi dell’anno per il bestiame, a volte sono scantinati, interrati sotto le abitazioni. Proprio in una di queste capanne ha perso la vita Tulasi Shahi, l’ultima vittima del Chhapuadi, morta venerdì 7 luglio dopo essere stata morsa da un serpente.
Tulasi Shani aveva sopportato la pratica dello Chaupadi probabilmente tante altre volte, ma il 6 luglio i morsi di un serpente velenoso sulla testa e sulla gamba sono stati per lei fatali. «La famiglia ha tentato inizialmente di curarla con rimedi domestici», ha raccontato alla Cnn il sindaco del distretto locale Surya Bahadur Shahi. «Le piogge monsoniche avevano in quei giorni inondato le strade e gli spostamenti erano molto più difficili da compiere. Era quindi impossibile affrontare un viaggio di tre ore per portare la ragazza all’ospedale più vicino. Dopo sette ore di lotta contro il veleno – conclude il sindaco del distretto – Shahi è morta».
Shahi è la seconda adolescente che in due mesi muore a causa del Chaupadi nella regione del Dailekh. Il 22 maggio ha perso la vita anche Lalsara Bika, 14 anni, per una grave malattia causata dal freddo delle notti trascorse in isolamento nella capanna. A fine 2016 altre due ragazze sono morte nel vicino quartiere di Achham in circostanze simili. Un fenomeno più diffuso di quanto si creda.
«Le nostre ragazze stanno morendo e lo stato è cieco», ha affermato la scrittrice e attivista per i diritti mestruali, Radha Paudel.
La pratica del Chaupadi è stata bandita dalla Corte suprema del Nepal nel 2005. Tre anni dopo il governo ha promulgato decreti per sradicarlo a livello nazionale, ma gli attivisti dicono che non ha fatto una grande differenza: la maggior parte della popolazione ha continuato a portarla avanti, soprattutto nell’ovest del Paese dove povertà ed ignoranza fomentano tabù e superstizioni.
«Quello che il governo ha emesso è solo una linea guida. Nessuno può riferire alla polizia, nessuno può presentare una denuncia e nessuno può essere punito per aver mandato mogli e figlie nelle capanne in isolamento», ribadisce l’attivista Paudel.
Il Nepal si è dotato di leggi contro i matrimoni precoci e contro la violenza domestica, ma non ha fatto nulla per i diritti mestruali. Si calcola che nel distretto di Archham il 95 per cento delle donne abbia passato i giorni mestruali recluso nelle baracche, bandito da ogni contatto con il resto della comunità. Chi si sottopone alla Chaupadi, per paura di ritorsioni divine o per costrizione da parte dei famigliari, corre molti pericoli: tante donne, lasciate sole sono molto vulnerabili, vengono violentate, rapite o morse dai serpenti (come Tulasi Shahi), altre si bruciano con il fuoco nel tentativo di scaldarsi oppure muoiono di ipotermia o asfissia.
«Le persone saranno scoraggiate a portare avanti una simile tradizione per paura delle sanzioni», ha spiegato l’avvocato Krishna Bhakta Pokhrel membro della commissione che ha firmato la legge. È diffusa però la consapevolezza che il provvedimento, da solo, non basterà: è necessario educare le donne e le loro famiglie e investire per garantire migliori condizioni igieniche. «La paura della punizione non impedirà a queste persone di seguire il loro precetto», ha affermato la parlamentare Gauri Kumari Oli all’Associated Press. «Il governo e le organizzazioni non governative devono iniziare a fare prevenzione».
Il provvedimento fa parte di un pacchetto di leggi volte a garantire una maggiore sicurezza per le donne: sono previste anche norme contro gli attacchi con l’acido, la schiavitù e il sistema della dote, secondo il quale la famiglia della donna deve assicurarsi il matrimonio pagando lo sposo e i suoi famigliari.
La fotografa Poulomi Basu nel 2013 ha iniziato il progetto “Blood speaks: a ritual of exile” in cui con immagini ha raccontato la vita di alcune di queste donne nel periodo in cui vengono allontanate dalla loro quotidianità e costrette a vivere lontano dalle famiglie. «Alcune di loro sono state aggredite sessualmente e altre hanno rischiato di morire a causa del freddo – ha raccontato Basu –. È un modo per continuare a vivere le mestruazioni come un tabù e un’arma per umiliare e sottomettere le donne».
Il progetto di Basu è diventato un libro e ha vinto il FotoEvidence book award, concorso che premia i migliori progetti dedicati alle ingiustizie sociali.
Secondo una ricerca dell’Unesco, il 45% delle donne in Nepal sono analfabete. Una percentuale quasi doppia rispetto gli uomini. Uno studio del governo del 2012 ha evidenziato, inoltre, come una donna nepalese su due abbia subito nel corso della sua vita una discriminazione legata al genere. Il 60% di queste donne non ha parlato dell’episodio con nessuno. Nella cultura nepalese molte ragazze si sposano quando ancora sono molto piccole: il 37% prima di avere 18 anni e il 10% prima dei 15, secondo Human Rights Watch, «questo avviene a causa della povertà, della mancanza d’istruzione, della diffusione del lavoro minorile, delle pressioni sociali e delle dannose tradizioni».
Una giovane nepalese che studia legge all’Università di Kathmandu alcuni anni fa ha creato su Facebook il gruppo “Elimination of Chaupadi Pratha in Nepal”, che in pochi anni ha raccolto 734 membri: persone impegnate a diffondere informazioni e cultura per abbattere credenze e tabù che esercitano ancora oggi violenze, soprusi ed umiliazioni sulle donne, solo per il fatto di essere tali.
Fonti:
http://www.ilpost.it/2017/08/10/nepal-legge-carcere-multa-per-chhaupadi-donne-mestruazioni/
https://www.agi.it/estero/nepal_chhapuadi_mestruazioni-1952523/news/2017-07-12/
https://www.internazionale.it/foto/2017/02/23/esilio-donne-nepalesi
http://www.tpi.it/mondo/asia-e-oceania/nepal/ragazza-morta-isolamento-mestruazioni/#r
http://www.ingenere.it/finestre/chaupadi-una-denuncia-dal-nepal
http://edition.cnn.com/2017/07/10/asia/nepal-menstruation-hut-deaths-outrage/index.html
[1] Radio3 Mondo, puntata del 24 agosto 2017;
[2] idem;