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I 500 anni di una Riforma al plurale

by redazione

intervista a Massimo Rubboli (storico della chiesa e dell’America del Nord, Università di Genova)

a cura di Claudio Paravati

A cinque secoli esatti da quel 31 ottobre in cui Lutero dette l’avvio alla Riforma protestante, abbiamo intervistato lo storico Rubboli per affrontarne alcuni aspetti, tra cui la questione della “Riforma radicale”.

Con l’ottobre del 2017 si chiudono le celebrazioni dell’anniversario dei 500 anni della Riforma protestante. È infatti il 31 ottobre del 1517 la data a cui ci si riferisce, quando il monaco agostiniano Martin Luther affisse le sue 95 tesi sul portone della Schlosskirche (la chiesa del castello) di Wittenberg. La Riforma è però un complesso ampio e articolato di “riforme”, al plurale, alcune delle quali non superarono la severità della storia. Per saperne di più abbiamo intervistato Massimo Rubboli, storico della chiesa e curatore della mostra storico-documentaria “Il retaggio della Riforma radicale”, promossa dall’Unione cristiana evangelica battista d’Italia (Ucebi).

Nelle commemorazioni del V centenario della Riforma protestante, il cui inizio viene abitualmente fatto risalire al 31 ottobre 1517, Martin Luther è ancora una volta il personaggio che più rappresenta ciò che avvenne allora. Eppure, non si dovrebbe parlare di Riforma al singolare, bensì al plurale; è valida questa affermazione?

Indubbiamente. Tutti gli storici sono oggi concordi nel sottolineare la pluralità della Riforma, anche se si continua a discutere sulle singole componenti e su quanto avessero in comune e quali fossero le loro differenze.

Ci sono movimenti che vengono ricondotti alla nozione di “riforma radicale”: che cosa s’intende con questa espressione?

“Riforma radicale” o “ala sinistra della Riforma” sono espressioni per indicare quell’insieme di gruppi, movimenti e individui (anabattisti, antitrinitari, razionalisti, spiritualisti, ecc.) che condivisero gran parte delle istanze fondamentali della Riforma magisteriale di Lutero, Melantone, Zwingli, Calvino e altri, ma furono in disaccordo su aspetti e questioni non marginali. Ad esempio, i radicali rifiutavano il battesimo degli infanti e quasi tutti ritenevano che dovesse essere amministrato a chi, coscientemente e volontariamente, lo richiedeva; la questione era strettamente legata a quella sulla natura della vera Chiesa perché, per gli anabattisti, la pratica del battesimo degli infanti era una delle conseguenze nefaste del legame tra Chiesa e Stato iniziato sotto Costantino, che era sostanzialmente accettato dalla Riforma magisteriale.

Cosa della Riforma radicale è sopravvissuto e vale la pena ricordare? Quali sono, in sostanza, gli effetti ancora presenti?

La Riforma radicale contribuì all’elaborazione e alla diffusione dei concetti di libertà religiosa e libertà di coscienza e della separazione tra Chiesa e Stato. Inoltre, la non resistenza al male (che spesso aveva le forme dei persecutori, cattolici e protestanti) è stata una fase importante nel percorso che ha portato al pacifismo e alla nonviolenza di Chiese e movimenti cristiani e non cristiani.

Qual è il ruolo, dal suo punto di vista, del protestantesimo per il futuro? Che bilancio possiamo trarre a partire dall’anniversario di quest’anno?

Il protestantesimo ha sempre contestato le incarnazioni umane che pretendevano di sostituirsi a Dio e ha costantemente riaffermato la signoria di Dio. Le celebrazioni di quest’anno hanno, a mio giudizio, accentuato troppo il ruolo di Lutero, a scapito di altri personaggi e altre componenti della Riforma protestante, cedendo anche a esigenze prettamente commerciali di marketing e merchandising.

C’è ancora spazio per un cristianesimo protestante nella società secolare e post-secolare? Che ruolo potrà avere?

L’anabattismo del XVI secolo aveva accentuato l’importanza del discepolato come elemento imprescindibile del credente, come farà poi il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer nel suo libro del 1937 che ha per titolo lo stesso termine usato dagli autori anabattisti, Nachfolge (“Sequela”). Credo che la centralità del discepolato sia ancora essenziale per la testimonianza dei cristiani e delle Chiese nella società di oggi.

Che cosa pensa che questo anniversario possa dire riguardo al tema del dialogo con le altre confessioni cristiane, con le altre fedi e con chi non crede o crede diversamente? È questo un punto importante oppure rimane sullo sfondo?

Mi pare che la riflessione sui grandi temi della Riforma abbia giovato al dialogo ecumenico, che sarebbe stato ulteriormente arricchito se non fosse stata messa in atto una damnatio memoriae della Riforma radicale.

 

(pubblicato su Confronti di ottobre 2017)

 

 

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