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L’Io iperproduttivo e depresso

by redazione

di Samuele Pigoni (si occupa di filosofia e progettazione in ambito sociale ed educativo. Lavora come program manager per Diaconia valdese)

Accumulazione, crescita, iperconsumo, ingiunzione alla prestazione costituiscono l’invisibile violenza che soffoca e ammala il soggetto dall’interno di un sistema che ha espulso l’Altro. La riflessione sull’individuo occidentale di oggi nell’ultimo libro del filosofo tedesco-sud coreano Byung-Chul Han.

All’incrocio tra filosofia, psicanalisi e sociologia, la condizione bio-psico-sociale del soggetto contemporaneo è ormai oggi diffusamente rappresentata come sofferente e disagiata, in forte contrasto con l’immaginario sorridente, in forma ed ipertecnologico dell’individuo pubblicitario. È ormai classico in questo campo La fatica di essere se stessi. Depressione e societa (Einaudi, 1999), nel quale il sociologo Alain Ehrenberg legge le trasformazioni sociali a partire dalla sofferenza, identificando nella depressione la matrice di tutte le malattie psichiche del nostro tempo.

Si tratterebbe dell’inesorabile contropartita psichica pagata dal soggetto divenuto imprenditore di sé (Foucault), sovrano di se stesso, liberato da qualunque coercizione esterna o dispositivo di obbligo ma sottoposto ad un unico invisibile vincolo, un’unica Legge: l’ingiunzione, interiorizzata, alla prestazione. Il dover-essere, uscito dalla porta, rientra così dalla finestra. Evaporato qualsiasi altro ordinatore simbolico a misura del desiderio, rimane a fare economia del soggetto la logica dell’accumulazione per l’accumulazione, della performance per la perfomance. L’Io iperproduttivo e depresso è sopraffatto dalla costante sensazione di insufficienza e dalla drammatica impossibilità di essere all’altezza delle proprie/altrui aspettative e proiezioni. Se poi l’indicatore di verifica del successo è infinitamente spostato in là, la sensazione di non essere mai abbastanza dilaga, lasciando l’uomo in panne, paralizzato e/o dipendente, incapace di darsi una cornice di identità sufficientemente stabile.

In tutta la sua produzione Byung-Chul Han, filosofo tedesco-sud coreano con un passato nella metallurgia, che forse tradisce una certa durezza dello sguardo, gira intorno alla preoccupazione per l’individuo occidentale di oggi, e spesso torna a Ehrenberg, facendo propria l’impietosa diagnosi che ci trova impotenti sovrani di noi stessi. Nel recente L’espulsione dell’altro (Nottetempo, 2017) tale diagnosi prende le mosse dall’idea di scomparsa dell’Altro.

Accumulazione, crescita, iperconsumo, ingiunzione alla prestazione costituiscono l’invisibile violenza che soffoca e ammala il soggetto dall’interno di un sistema che ha espulso l’Altro e con esso i segni e la presenza del limite, della differenza, della negatività, dello scarto a qualunque positività, senza i quali l’essere e la realtà perdono dinamismo, apertura all’autentico e al possibile. Il soggetto, diseducato a costituirsi a partire dalle proprie negatività e mancanze, ed esternalizzato in una pura superficie di assorbimento e di riassorbimento di reti di influenza, è affetto da un eccesso di positività.

«L’omnipervasiva rete digitale e la totale comunicazione digitale non facilitano l’incontro con gli altri, servono piuttosto a trovare l’Uguale e chi ha la nostra stessa opinione, lasciando da parte i diversi e gli altri, e fanno in modo di rendere sempre più angusto il nostro orizzonte di esperienza. Ci ingarbugliano in un io-nodo senza fine, e conducono in ultima istanza ad “auto propaganda che ci indottrina con le nostre stesse idee”» (pag. 10). Questo passaggio è solo uno dei tanti che costellano il nuovo capitolo della fenomenologia dell’homo digitalis, che già nel precedente lavoro, Nello sciame. Visioni del digitale (Nottetempo, 2015), ci aveva posti di fronte all’impossibilità di una reale democrazia in tempi digitali, ridotti come siamo a far parte di uno sciame, un insieme di individui isolati – per quanto integrati nella Rete – cui manca però l’anima e lo spirito necessari a fare massa, costituire potere e democrazia.

Se nel precedente lavoro, sotto i colpi dell’isolamento digitale, si indicava la scomparsa del Noi, in questo nuovo lavoro a scomparire è l’Io, trascinato in un vuoto e infinito autoriferimento egoico, perché sottratto alla relazione fondativa con l’Altro. L’Altro – nella metafisica dell’alterità da cui il pensiero di Han prende le mosse – è apertura al fondamento del soggetto, inteso come relazione e limite ontologici. Per questo l’Altro ci sta di fronte e sfida in ognuna delle sue forme di trascendenza: differenza, corpo, estraneità, dissonanza, lontananza.

Lo svuotamento di ogni singolarità

Il capitalismo globale produce invece una saturazione nel segno della positività, determinando lo svuotamento per omologazione di ogni singolarità e differenza all’unica logica della compatibilità e scambiabilità con il denaro. Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria (Marx), e ogni differenza evapora nella misurabilità di se stessa con l’offerta di sistema. L’ingiunzione performante ad essere se stessi, si nutre della più profonda logica del paragone, e annulla – di principio – la possibilità del singolare di essere autenticamente sé in quanto altro, incommensurabile perché diverso, fuori luogo, imparagonabile. L’espulsione dell’Altro, lascia il cielo e la terra privi di custodia del negativo, quel negativo senza il quale è impossibile qualunque ontologia della relazione e quindi – sul piano psichico – qualunque costruzione di un sé stabile.

La pagina di Han si snoda attraverso i segni quotidiani e le dimensioni percettive della perdita, e non ha senso elencarli tutti, toglierebbe gusto alla lettura. In questa capacità di attraversamento critico del piano fenomenico sta indubbiamente l’interesse che Han sa suscitare, in quanto testimone di un fare filosofia preoccupato dello stato dell’anima e delle sorti dell’umano in tempi dominati dalla “teologia” dell’innovazione digitale.

Tuttavia la sensazione è che Han sia vittima del dispositivo omologante che condanna e che la rappresentazione della realtà che ci offre sia imprigionata in una logica tutto sommato binaria ed espulsiva, proprio come quella di cui si attende il superamento. Tutto è riportato ad un’antitesi originaria tra due poli separati e fissi tra loro: la dimensione dell’autentico e dell’umano da una parte contro la dimensione dell’inautentico e del digitale dall’altra. Han ci ricorda che la vitalità dell’espulso (l’Altro) è salvaguardata in tutte le dimensioni della corporeità (opposta alla digitalizzazione dell’esperienza); dell’universalità (opposta alla globalizzazione); del desiderio e della responsabilità (opposta a sfruttamento ed espulsione); dell’ascolto e dell’attenzione (opposte al brusio e alla distrazione narcisistica).

Nella realtà – sociale e psichica – i campi sono più di due, ed in ogni caso non stanno l’uno di fronte all’altro, l’uno contro l’altro fissi, ma al contrario, si muovono l’uno nell’altro, interconnessi e sempre più interdipendenti. Al cuore dell’oggi, l’umano ed il digitale generano complessità e si rivelano in continuo movimento e tensione entro reti polifocali di possibilità: in quest’ottica, il futuro dell’homo digitalis è una partita aperta ed ancora da scrivere. È possibile pensare tale apertura proprio alla luce dell’accelerazione permessa dalle scoperte scientifiche e dall’innovazione tecnologica. Pensiamo al contributo che la ricerca tecnologica può dare allo sviluppo di soluzioni in ambito sanitario, ambientale e sociale. Tali opportunità non possono essere colte se approcciate a partire da una logica binaria e di fatto espulsiva che fissa l’umano/autentico al di qua di tutto ciò che costituisce il proprio presente digitale/inautentico.

Certo, va meditato e rivendicato un orientamento etico radicalmente diverso, che sappia porre al centro l’interesse e la pratica di una società dell’ascolto e dell’attenzione: ma questo cambiamento non può essere progettato altrimenti se non a partire da tutto ciò che già esiste di profondamente umano e consapevole nel cuore digitale dell’oggi. Sempre che si intenda il pensiero come capace di contribuire a trasformazioni reali.

(pubblicato su Confronti di novembre 2017)

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