di Matteo Cionti
Una «visibilità media» dell’informazione estera in continuo aumento nei telegiornali ma, contemporaneamente, un «oscuramento quasi totale» delle periferie del mondo. È questo il quadro che emerge dal primo Rapporto “Illuminare le periferie”, promosso dalla Federazione nazionale della stampa italiana insieme con Usigrai, Cospe e Osservatorio di Pavia. La ricerca nasce «dalla necessità di analizzare quantità e qualità dell’informazione in tema di esteri», per capire quali sono gli strumenti di cui realmente dispongono i cittadini italiani nella lettura dell’odierno e complesso mondo globalizzato.
Il documento analizza 5 anni di tg italiani (2012-2017) e nel dettaglio gli esteri nell’informazione televisiva tra il 2016 e il 2017. La narrazione che ne emerge sembra essere estremamente parziale, con una copertura di «una realtà molto limitata geograficamente e che più o meno volutamente oscura temi chiave per una comprensione minima di fenomeni quali la migrazione e il terrorismo», giocando dunque un ruolo centrale nella formazione delle percezioni e delle paure che contraddistinguono il presente.
Un racconto che contribuisce a creare un’immagine del mondo “altro” da quello occidentale dove «carestie, catastrofi naturali, fughe e migrazioni capitano ciclicamente in modo ineluttabile. Cause politiche o ambientali che siano, poco cambia. Ciò che appare è una situazione apparentemente inscalfibile del mondo dove l’unica cosa che cambia sono le zone di confine e di scontro che si illuminano in modo discontinuo e parziale».
Quelle del terrorismo e delle migrazioni rappresentano inoltre i motivi principali dell’aumento “virtuale” della presenza delle notizie estere nel mainstream: dal 2015 questi due temi insieme alle questioni politiche ad esse legate costituiscono, infatti, il 70% dell’agenda dedicata (rispettivamente 25%, 15% e 30%).
Un approccio – denuncia la ricerca – viziato da un eurocentrismo piuttosto accentuato: il 63% delle notizie riportate riguarda, infatti, solo Europa e Nord America (rispettivamente 43% e 20%), con intere aree del pianeta relegate alla marginalità (Asia 12% e Medioriente 11%) o all’oscurità pressoché totale (Africa 9% e Centro-Sud America 5%). Proprio l’eurocentrismo appare essere il filo rosso che lega i principali telegiornali pubblici europei (la ricerca confronta i nostrani con quelli di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna), che dedicano il 45% delle notizie della pagina esteri solo al Vecchio Continente.
Tra i criteri che sembrano guidare la selezione delle notizie vengono individuati dall’inchiesta la prossimità con l’Occidente, l’eccezionalità, la minaccia, il coinvolgimento di occidentali e la presenza di testimonial (il papa in primis); non, però, il numero delle vittime. Il quadro che affiora è dunque quello di un’informazione «fatta di lampi, ma priva di un retroterra politico-culturale adeguato».
L’auspicio dei promotori è che la ricerca – divisa in tre parti: analisi cronologica degli esteri e delle periferie dal 2012 al 2017 (I semestre), approfondimento sulle periferie con focus sulla guerra in Siria e confronto tra i principali telegiornali europei sugli esteri e sul racconto delle periferie – possa diventare una «occasione annuale di riflessione e scambio tra mondo delle Ong, della ricerca e gli operatori dei media come contributo al miglioramento della qualità dell’informazione e al pluralismo».