di Adriano Gizzi (redazione Confronti)
Fra poche settimane andremo alle urne per delle elezioni che non suscitano grande entusiasmo: molti voteranno spinti più dalla paura che vincano gli avversari che dalla convinzione verso la lista votata.
Alla vigilia delle elezioni politiche del 2008 ci capitò di titolare “Voglia di votare, saltaci addosso!”. Qualcuno storse il naso, interpretandolo come un invito a restare a casa o annullare la scheda, ma registrare uno stato d’animo diffuso nel paese – oggi ancor più di dieci anni fa – non implica necessariamente l’intenzione di invitare gli elettori all’astensione. Così come constatare che viviamo in un mondo pieno di tragedie non costituisce istigazione al suicidio. Forse sarà un po’ retorico ricordarlo, ma in tempi di rigurgiti fascisti la retorica è meglio della mancanza di memoria: la Costituzione repubblicana e antifascista, entrata in vigore esattamente settant’anni fa, all’articolo 48 definisce il voto un «dovere civico». Allora era fondamentale ribadirne l’importanza, dopo un ventennio in cui questo diritto-dovere veniva negato da un regime che oggi molti connazionali ricordano solo per la bonifica dell’Agro Pontino o per i treni che pare arrivassero in orario.
Sarebbe quindi utile che la classe politica si interrogasse seriamente sul perché questa voglia di votare sia diminuita negli ultimi decenni e, una volta individuate le cause, tentasse anche di studiare alcune soluzioni. Fino ai primi anni Ottanta, l’affluenza alle urne si è tenuta sempre sopra il 90%, per altri trent’anni è rimasta comunque sopra l’80% (molto più delle altre democrazie occidentali) e alle scorse elezioni del 2013 è scesa al 75%. Tutti i sondaggi prevedono ora un ulteriore calo, probabilmente consistente: se si presentassero ai seggi anche solo due terzi degli elettori potremmo già considerarlo un successo.
A ogni tornata elettorale in cui aumenta l’astensione, l’intero mondo politico esprime profonda preoccupazione per due o tre giorni (ultimamente, ormai, anche solo poche ore) e poi tutto prosegue come se niente fosse. Purtroppo, alla maggior parte degli elettori che si astengono illudendosi di fare un dispetto ai partiti sfugge un particolare: il numero di seggi attribuiti (come l’ammontare delle indennità parlamentari) resterebbe sempre uguale anche se votassero solo mille persone in tutta Italia.
La scelta di astenersi non può quindi essere vista come un duro colpo al sistema. Si tratta tuttavia di una scelta legittima, che non va criminalizzata. Perché è vero che la Costituzione esprime disapprovazione per chi non vota, ma è anche vero che i partiti di settant’anni fa – in gran parte nati, o risorti, dalle ceneri della guerra – avevano una carica ideale e uno spessore intellettuale decisamente superiori rispetto alle forze politiche di oggi, che sono spesso dei comitati elettorali i cui mediocri leader sarebbero stati scartati anche solo come “portaborse” dei parlamentari del dopoguerra.
C’è poi un altro elemento che non favorisce l’entusiasmo degli elettori: non è neanche iniziata la campagna elettorale ufficiale e tutti già ripetono che queste elezioni saranno inutili, perché non daranno una maggioranza certa, e dovremo presto tornare a votare. Persino Berlusconi, dando quasi per scontato che nessuno vincerà, ha già detto che il governo Gentiloni può restare in carica ancora qualche mese per poi portarci di nuovo alle urne, magari in autunno (quando, come lui spera, arriverà la riabilitazione dalla Corte di Strasburgo che gli permetterà di candidarsi). Una mossa che ha fatto infuriare i suoi alleati Salvini e Meloni, che a questo punto potrebbero anche decidere di scaricarlo presentandosi da soli, per ottenere più voti di quelli che prenderebbero “imbrigliati” in un’alleanza poco convinta con Forza Italia ma anche per impedire a Berlusconi di governare assieme a Renzi dopo le elezioni. Un’eventualità, quest’ultima, che i diretti interessati continuano ad escludere.
Tornare a votare dopo pochi mesi sarebbe un caso unico, mai verificatosi in questi settant’anni, ma è anche vero che c’è sempre una prima volta. Si fa fatica però a immaginare centinaia di parlamentari appena eletti che accettino tranquillamente di tornare subito alle urne, senza alcuna garanzia di essere rieletti e soprattutto con la stessa legge elettorale, quindi con buone probabilità di ottenere lo stesso risultato di stallo. Ed è subito Razzi.
(pubblicato su Confronti di gennaio 2018)