intervista ad Alberto Negri, inviato speciale de “Il Sole 24 Ore” (a cura di Mostafa El Ayoubi)
Quali sono i motivi socio-economici e politici che hanno scatenato le manifestazioni di fine dicembre/inizio gennaio in Iran?
È una rivolta che si è distinta dalle altre che sono avvenute negli anni recenti in Iran. Quella del 1999 è stata la rivolta degli studenti dell’università, che puntavano sul presidente Khatami per alleggerire i lacci della censura. Khatami era stato eletto come riformista e aveva suscitato grandi speranze, però poi alla fine abbandonò gli studenti al loro destino. Nel 2009 fu una rivolta soprattutto politica, animata dalla rabbia di gran parte degli elettori, che ritenevano l’elezione di Ahmadinejad frutto di brogli. La rivolta della fine del 2017 invece si è svolta prima di tutto in città piccole e medie. Era animata in gran parte da giovani delle classi più povere e aveva delle motivazioni economiche (insoddisfazione da parte dei giovani, aspettative deluse rispetto al lavoro) che poi si sono trasformate anche in una rabbia politica. Ci sono problemi socio-economici e socio-politici abbastanza chiari ed evidenti: una popolazione al 50% sotto i trent’anni, dove ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro più di un milione e mezzo di giovani in cerca di occupazione. La legge di bilancio ha tagliato le sovvenzioni, rendendo quindi più cari dei beni di prima necessità, tra i quali il gas e la benzina, che colpiscono gli strati più poveri. C’è poi la questione delle aspettative mancate. Quando era stato eletto Rohani nel 2013 ed era stato poi firmato l’accordo del 2015 sul nucleare, si era diffusa l’idea, in tutti gli strati sociali del paese, che l’Iran avrebbe visto affluire nuovi investimenti dall’estero e ci sarebbero state più occasioni di avere posti di lavoro, ma ciò non è avvenuto.
Ma le sanzioni hanno colpito l’economia del Paese…
Sì, soprattutto a causa dell’atteggiamento degli Stati Uniti: le grandi banche internazionali hanno evitato di aprire linee di credito all’Iran temendo una reazione negativa e delle sanzioni da parte del Tesoro Usa. Questo non ha frenato alcuni investimenti, come quello della Total di un miliardo di dollari, e non ha frenato nemmeno l’Italia che, attraverso una partecipata statale (Invitalia), ha appena aperto una linea di credito da cinque miliardi di euro proprio per le grandi commesse delle imprese italiane in Iran. Tuttavia, non c’è stato quel grande afflusso che avrebbe risollevato l’economia del Paese.
Gli iraniani temono quello che è accaduto in Libia e in Siria e sono scesi in piazza in tanti a sostegno del governo…
Sì, ci sono state anche le manifestazioni a favore del regime: non ci dobbiamo meravigliare, sappiamo che la Repubblica islamica ha ancora una grande capacità di mobilitazione. Poi, quando Trump e gli Stati Uniti mettono il naso in queste faccende, naturalmente si scatena nella popolazione iraniana una reazione opposta a quella auspicata. Nella popolazione, anche quelli che sono contrari alla Repubblica islamica continuano a diffidare degli Usa.
Rohani e il guardiano della rivoluzione Khamenei avevano accusato gli Stati Uniti (e anche l’Arabia Saudita e Israele) di fomentare gli ultimi scontri di piazza. Come valuta questa accusa?
È ovvio che rispetto a un problema interno si cerchi poi all’esterno un modo per giustificarlo. Ma, al di là del fatto contingente specifico, questo risponde purtroppo a una realtà. l’Iran è stato attaccato dagli arabi (dall’Iraq di Saddam Hussein negli anni Ottanta), sostenuti dagli Usa. Ha gli statunitensi da diciassette anni ai suoi confini e l’Arabia Saudita non perde occasione per sostenere degli elementi anti-iraniani. E poi c’è stata la guerra di Siria, un momento fondamentale nella storia del Medio Oriente di questi anni: una guerra civile che si è presto trasformata in una guerra per procura che ha sconvolto l’intera regione, cambiando i dati strategici della situazione.
I rapporti tra Iran e Israele si sono deteriorati progressivamente a partire dal 1979, ossia dalla caduta del regime dello Scià. Gli iraniani accusano Israele di essere dietro i tentativi di destabilizzare il loro paese. Tu che ne pensi?
Ci sono dei fatti evidenti e sotto gli occhi di tutti: Israele è in guerra con gli hezbollah libanesi, questa guerra è diventata ormai una battaglia in campo aperto; la Siria è stata un altro capitolo lungo di questa vicenda; e poi Israele occupa dal 1967 le alture del Golan e ritiene strategicamente fondamentale continuare a occuparle, così come ha ritenuto fondamentale appoggiare le forze anti-Assad: Israele ha bombardato la Siria. Episodi che noi guardiamo a volte come difficili da districare, dal punto di vista politico, in realtà hanno davanti a noi dei risvolti molto chiari ed evidenti, basti guardare allo Yemen: un’altra guerra per procura. In realtà non si è arrivati ancora allo scontro diretto tra Israele e Iran e tra Arabia Saudita e Iran, però questo scontro si è avuto su diversi quadranti del Medio Oriente e continua a essere costantemente una fonte di tensione.
Il presidente Trump sta mettendo in questione l’accordo sul nucleare con l’Iran. Ulteriore benzina sul fuoco…
Se Trump desse seguito alle sue minacce, naturalmente ci troveremmo di fronte a una situazione molto delicata. Ricordiamoci che ha appena rinunciato a varare sanzioni generali contro l’Iran e ha congelato per altri sei mesi l’idea di ritirarsi dal trattato, però ha già fatto una lista di personaggi iraniani messi sotto sanzioni. Però se Trump decidesse di ritirarsi da questo accordo del 2015, prima ancora che contro l’Iran si troverebbe schierati contro questa decisione l’Europa, la Russia e le Nazioni Unite, perché questo è un accordo internazionale, non è un accordo bilaterale tra Usa e Iran. È l’unico accordo internazionale di successo, in campo nucleare, di questi anni, perché comunque ha messo sotto monitoraggio l’industria nucleare iraniana. In un momento in cui c’è una proliferazione nucleare evidente (e non mi riferisco solo a Corea del Nord, Pakistan e India, ma probabilmente anche all’Arabia Saudita), perché tutti vogliono questa bomba nucleare, per il semplice motivo che così possono evitare attacchi e “cambi di regime”. L’Iran è stato sanzionato perché ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, cosa che non hanno fatto né Israele né India né Pakistan. L’Iran in un certo senso ha rinunciato ad avere il nucleare militare ben sapendo che in qualche modo rinunciava a un’arma essenziale per evitare ingerenze esterne. E il grande reclamo della Repubblica islamica iraniana è proprio quello di non avere ingerenze esterne che determinino un cambio di regime.
Tornando alle ultime manifestazioni in Iran: diversamente da quanto avvenuto nel 2009, quando tutte le cancellerie europee sostenevano la “rivoluzione verde”, questa volta sia il governo francese sia l’Unione europea si sono pronunciate nel senso di non ingerirsi in questa che sia Emmanuel Macron sia Federica Mogherini hanno considerato una questione interna all’Iran. L’Europa sta cambiando la sua strategia verso l’Iran?
Sì, penso che qualcosa sia cambiato e l’accordo del 2015 sul nucleare è stato assolutamente fondamentale in tal senso, perché ha riaperto il mercato iraniano e gli europei vedono nell’Iran un partner economico importante. Ma oltre agli affari vi sono delle considerazioni politiche importanti. All’indomani delle “primavere arabe”, dopo il crollo di Gheddafi, dopo la guerra in Siria, con la Turchia di Erdogan molto sfuggente e assai poco controllabile, l’Iran ha rappresentato comunque in questi anni un fattore, se non di stabilità, perlomeno di riferimento. Se immaginassimo un crollo del regime iraniano (cosa non semplice, ma potrebbe accadere), avremmo di fronte a noi un altro vuoto nel cuore del Medio Oriente che scatenerebbe altre ondate di instabilità, di profughi…
Trump accusa il regime iraniano di essere il principale sponsor del terrorismo, anche se poi in realtà, sul campo, il ruolo dell’Iran nello sconfiggere Daesh in Siria e in Iraq è stato importante…
Non c’è dubbio, infatti questo argomento della propaganda statunitense non solo sta mostrando la corda, ma è probabilmente uno di quegli argomenti che più hanno dimostrato di essere inutilizzabili, al di là del fatto che l’Iran compia delle azioni di destabilizzazione (cosa che fanno gli Usa, la Russia, la Gran Bretagna, la Francia…), è stato evidente a tutti che la guerra di Siria ha messo a nudo la politica statunitense e dei suoi alleati, le monarchie del Golfo in primo luogo, ma anche la stessa Turchia (per questo è stata definita “il Vietnam del Medio Oriente). Per destabilizzare il regime di al Assad hanno sostenuto gruppi jihadisti, gruppi radicali ed estremisti che poi si sono rivoltati contro i loro stessi sponsor quando sono stati abbandonati nel 2015 e allora hanno cominciato a fare attentati anche in Europa. Mentre l’Iran, con l’alleanza con gli hezbollah e la Russia, è uno di quei paesi che hanno combattuto contro l’Isis. Ora, al di là di quello che noi possiamo pensare, è evidente a tutti che tra i terroristi che hanno fatto gli attentati in Europa non ce n’è uno che sia sciita. Il signor Trump sa benissimo chi ha fomentato il terrorismo e da dove deriva questa storia: è una vecchia storia che deriva dal 1979, quando l’Urss invase l’Afghanistan e cominciò la più grande opera di destabilizzazione contro Mosca, che ha generato il fatto che i mujaheddin sono diventati jihadisti e via discorrendo, fino a Bin Laden, che era uno strumento della politica statunitense e saudita e poi alla fine si è rivoltato contro di loro.
(pubblicato su Confronti di febbraio 2018)