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Lorenzo Milani, pastore e profeta

by redazione

Lorenzo Milani

“Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici”

edizione critica e postfazione a cura di Sergio Tanzarella

Il pozzo di Giacobbe, 2017, 161 pagine, 14,90 euro.

 

di Giuliano Ligabue (redazione Confronti)

 

A un mese (maggio ’17) dal cinquantesimo anniversario della morte di don Lorenzo Milani, venivano pubblicate, nel Meridiano Mondadori, “Tutte le sue opere”: due tomi per circa tremila pagine. Se ben poco della voce del “priore di Barbiana” è giunto fino a noi, è nella scrittura che ritroviamo l’interezza del suo pensiero, dalle composizioni giovanili ai biglietti con cui cercava di comunicare – e insegnare, sempre – negli ultimi giorni di vita.

Uno dei quattro curatori di tutti gli scritti è Sergio Tanzarella, storico della Chiesa, ed è significativo che appena due mesi prima della pubblicazione dell’Opera (marzo ’17) lo stesso Tanzarella scegliesse di pubblicare una edizione critica della Lettera ai cappellani militari e della Lettera ai giudici (edizioni “Il pozzo di Giacobbe”), a testimoniare che le due Lettere scritte da don Milani nel corso del 1965  erano da considerarsi il punto più alto della lezione da lui lasciata.

È nota la vicenda delle due lettere, Nel febbraio 1965, di fronte a un comunicato di cappellani militari toscani che accusavano di “viltà” i giovani obiettori coscienza, don Lorenzo – dopo averne parlato e discusso con i suoi ragazzi, perché era sempre importante che «ascoltassero, per pensare» – scrive una lettera pubblica a difesa della libertà di coscienza e della non violenza. Denunciato per incitamento alla diserzione e vilipendio alle Forze armate, assume la propria difesa, da solo e per iscritto, con una lettera ai giudici del Tribunale di Roma (ottobre ’65). I toni si fanno alti e forti: da Maestro di storia e civiltà della prima lettera a Maestro delle coscienze: essere consapevoli tutti – e non solo i suoi ragazzi – che «non c’è scuola più grande che pagare di persona» e che, in ogni scelta della vita è da considerarsi conclusivo non il principio d’autorità ma la “luce” della coscienza, perché qualunque scelta non diventi “cieca”, anche quella di obbedire. Due documenti fondamentali che fanno capire quale fosse l’ultima vocazione di Lorenzo Milani: essere un educatore di coscienze e, in quanto tale, portatore di profezia.

A Tanzarella va il merito di saperci offrire, oggi, una lettura critica delle due Lettere. Muovendo dalla considerazione che don Milani – in ogni momento della sua attività pastorale e di educatore – ragiona su tutto alla luce della storia, riconduce le due Lettere al contesto storico di quegli anni, oltre che farle leggere nella connessione con gli altri suoi scritti. L’indagine è rigorosa, ogni passaggio viene contestualizzato, senza mai appannare o rischiare di rendere inefficace l’afflato appassionato del Maestro e del Profeta. Non a caso Tanzarella si permette di chiudere l’analisi delle Lettere con l’aggiunta dell’inedito “Un muro di foglio e di incenso”, ulteriore esaltazione della libertà di parola e di giudizio.

Ma, a questo punto, non si può non rilevare un’altra intuizione di Sergio Tanzarella, complementare a quella sulle Lettere. Cioè, come ha collocato sul podio degli scritti di don Milani le due Lettere, così non aveva esitato, a suo tempo, ad affermare che l’opera più importante e completa di don Milani  restava Esperienze pastorali, testimonianza dei sette anni (1947/54) vissuti – dal ventiquattrenne cappellano della parrocchia di S. Donato di Calenzano – «tra operai e contadini, disoccupati, casalinghe, muratori, impiegati, vedove e zitelle varie». Lì, da buon pastore che sa «l’odore delle pecore» e le conosce una ad una, conclude che, senza un minimo di istruzione, non si può modificare nulla. Esperienze pastorali conterrà, in nuce, tutto quanto sarebbe fiorito nei successivi tredici anni di Barbiana. Se, nelle Lettere ai Cappellani e ai Giudici, don Lorenzo è educatore nel segno della profezia, in Esperienze pastorali è pastore a tutto tondo.

Ma la Lettera a una professoressa? questo testo sacro della scuola italiana, il “libretto rosso” del nostro ’68, la scuola democratica che appare a soli 7 anni dalla nascita della Costituzione? Non è messa all’angolo – né da Tanzarella né da altri – ma resta ben salda nel cuore della profezia milaniana, se è vero che «il maestro deve essere, per quanto può, profeta: scrutare , ‘segni dei tempi’, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani, e che noi vediamo solo in confuso» (Lettera ai giudici).

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