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Coltivare la Memoria, assumersi le responsabilità

by redazione

di Pawel Gajewski

(pastore, professore incaricato di Teologia delle religioni alla Facoltà valdese di teologia di Roma)

In Polonia una legge approvata dal parlamento a fine gennaio punisce chiunque affermi o anche solo ipotizzi una qualunque forma di partecipazione del popolo polacco alla gestione dei campi nazisti.

Yad Vashem, queste due parole ebraiche significano letteralmente monumento e nome. Il concetto è tratto dal libro di Isaia 56,5: «Io darò loro, nella mia casa e dentro le mie mura, un monumento e un nome, che avranno più valore di figli e di figlie; darò loro un nome eterno, che non perirà più». Yad Vashem quindi è una sorta di cifra simbolica dell’Ente nazionale per la Memoria della Shoah, istituito dal Parlamento israeliano con la legge del 19 agosto 1953. Yad Vashem è un’istituzione complessa che comprende diversi archivi storici, istituti di ricerca, spazi museali ed espositivi, giardini (tra cui il Giardino dei Giusti) e istallazioni artistiche di grande valore simbolico. Verosimilmente la legge israeliana sulla memoria è una delle migliori al mondo.

In questo solco si colloca la legge 211 approvata dal Parlamento italiano il 20 luglio 2000 con cui si istituisce la Giornata della Memoria, fissandone la data il 27 gennaio, giorno in cui furono abbattuti i cancelli di Auschwitz. Il percorso tracciato dalle parole monumento e nome porta anche a Berlino, in Bernauer Strasse, dove nel 2008 in base a una legge emanata dal Senato di Berlino e confermata dal Governo federale, fu istituito il Memoriale del Muro di Berlino e delle sue vittime, un’ampia area della capitale tedesca del tutto simile al Memoriale di Yad Vashem.

Quando la memoria si manifesta nei monumenti è piuttosto semplice tutelarla. Il 7 maggio 1999 il Parlamento polacco promulgò la legge 412 sulla tutela di tutti gli ex-campi nazisti presenti sul territorio polacco, dichiarandoli «monumenti nazionali del martirio e della memoria». Dieci anni dopo le sanzioni penali contenute in questa legge hanno rivelato la loro efficacia. La mattina del 18 dicembre 2009 alle autorità competenti venne denunciato il furto della scritta Arbeit macht frei posta sopra il cancello di ingresso di Auschwitz. I responsabili del delitto, tre neonazisti polacchi legati a due militanti di estrema destra svedese, furono arrestati, processati e condannati a pene detentive piuttosto severe.

In Germania invece una legge simile ha dimostrato i suoi limiti. A Dachau il cancello del campo di concentramento venne danneggiato nella notte tra il 1° e il 2 novembre del 2014 e la cancellata con la scritta rubata. Il 2 dicembre 2016 la polizia dell’Alta Baviera annunciò il ritrovamento della cancellata nella città norvegese di Bergen. I ladri però non sono stati identificati.

La memoria non è solo monumento ma anche nome, essa appartiene cioè alla sfera delle idee, delle convinzioni e delle ricerche. Qui la situazione si complica. La legge approvata dal Parlamento polacco il 26 gennaio scorso introduce pene detentive (oltre a quelle amministrative) nei casi in cui venga esplicitamente affermata o ipotizzata una qualunque forma di partecipazione del popolo polacco alla gestione dei campi nazisti. Le sanzioni scattano anche nei confronti di chi menziona i lager nazisti che si trovano in Polonia senza un’esplicita precisazione che negli anni 1939-1945 si trattava dei territori occupati dalla Germania.

Questa legge rischia di diventare un limite alla ricerca della piena verità sulla Shoah, come ha giustamente ricordato il governo israeliano nelle sue note di protesta. Ciò che invece preoccupa di più molti osservatori è il sospetto che il governo polacco voglia distrarre l’attenzione dei più da un problema grave e preoccupante: numerose e sempre più esplicite manifestazioni dell’antisemitismo e del razzismo. Basta ricordare il “corteo nero” di Varsavia dell’11 novembre scorso e i suoi slogan xenofobi (vedi Confronti 12/2017).

La memoria deve essere coltivata nella piena disponibilità ad assumersi la responsabilità anche per i suoi lati oscuri. Un palese antisemitismo della destra nazionalista polacca negli anni Venti e Trenta del Novecento è un dato di fatto innegabile. Se tale sentimento antiebraico diffuso all’epoca in Polonia debba essere collegato alla tragedia dei lager nazisti resta ancora da stabilire. Il compito, tuttavia, spetta alla comunità scientifica internazionale e il suo risultato non può essere pregiudicato da una legge. Un monumento e un nome di cui parla il profeta appartengono all’eternità e non alla contingenza.

 

(pubblicato su Confronti di marzo 2018)

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