di Samuele Pigoni (si occupa di filosofia e progettazione in ambito sociale ed educativo. Lavora come program manager per Diaconia valdese)
Con “La sapienza del cuore. Pensare le emozioni, sentire i pensieri” Luigina Mortari ci regala una piccola guida al lavoro – filosofico – di autocomprensione della vita affettiva: un libro prezioso, che tiene insieme filosofia antica, psicologia cognitivista, metodo fenomenologico e narrazione autobiografica.
«Aver pazienza verso quanto non è ancora risolto nel vostro cuore,
e tentare di aver care le domande stesse come stanze serrate
nei libri scritti in lingua molto straniera.
Non cercate ora risposte che non possono venirvi date
perché non le potreste vivere»
Rainer Maria Rilke, “Lettere ad un giovane poeta”
L’esperienza che facciamo del mondo è sempre connotata affettivamente. La qualità delle emozioni, degli affetti, delle passioni che viviamo determinano la qualità del nostro stare al mondo e con noi stessi. Nulla sfugge al sentire perché alla situazione emotiva, ed al lavoro del cuore, è consegnato l’intero flusso della vita della mente, ed ogni atto di pensiero è permeato di sentimento; percepire, immaginare, scegliere, ricordare, sperare, analizzare sono tutti atti cognitivi, che implicano stati d’animo affettivi.
Da sempre l’essere umano sa che, per conoscere davvero, deve conoscere innanzitutto con il cuore. Luigina Mortari con La sapienza del cuore. Pensare le emozioni, sentire i pensieri (Raffaello Cortina Editore, Milano 2017) ci regala una piccola guida al lavoro – filosofico – di autocomprensione della vita affettiva. È un libro prezioso, che tiene insieme filosofia antica, psicologia cognitivista, metodo fenomenologico, narrazione autobiografica e che per molti versi evoca l’impostazione teorica di alcune pratiche di consapevolezza oggi molto diffuse (Mindfulness su tutte).
Dobbiamo alla filosofia ellenistica prima e ad Aristotele poi il riconoscimento filosofico del nesso tra moti affettivi, esercizio del pensiero e desiderio. I vissuti affettivi sono parte costitutiva dei processi cognitivi: dentro un’emozione c’è sempre una rappresentazione dell’oggetto che attira la mia affettività, al quale attribuisco un determinato valore e per il quale mi emoziono. Le convinzioni, le credenze, sono pertanto sostanza dei sentimenti, veicolano il valore che attribuiamo alle cose e producono l’attaccamento con il quale ci leghiamo ad esse. Nello spazio tra desiderio e attaccamento si apre la possibilità di vivere con intelligenza affettiva, diventando capaci di comprendere e orientare le emozioni.
La filosofia, fin dall’origine, si pone come lavoro di discernimento intorno alle rappresentazioni che produciamo della realtà ed esercizio di coltivazione di quel tanto di sovranità di sé che ci renda capaci di «attenersi all’essenziale, coltivando l’irrinunciabile» (Plutarco). I vissuti possono diventare oggetto di una comprensione riflessiva, di un lavoro di indagine e di conoscenza. Sappiamo bene che il cuore, con Pascal, e la psiche, con Eraclito, non hanno fondo e non avremo mai conoscenza completa di noi stessi. Eppure – avverte Mortari – vivere una vita non riflessa, lasciar accadere le cose così come accadono, sganciare cuore e mente, delegando il governo di sé alle emozioni, intese come prive di razionalità, è mancare una cifra di soggettivazione: «imparare a stare in presenza dei propri vissuti, soprattutto quelli dolorosi, senza cercare inutili consolazioni, aiuta a disegnare con realtà il modo del proprio esserci, con la conseguenza di sapere poi prendere le misure dei passi che si possono e non si possono fare a partire dall’energia vitale di cui si dispone».
Imparare a vivere può essere allora il risultato di un esercizio di attenzione metodica e non giudicante sui propri vissuti affettivi; di descrizione di sé attraverso l’uso meditato delle parole per dirsi; di accettazione profonda di ciò che non possiamo evitare e di altrettanto profondo impegno in ciò che possiamo modificare nelle nostre vite; di osservazione delle connessioni tra vissuti; di indagine su dove vanno e da dove vengono, in che contesto emergono, verso cosa o chi ci muovono.
Assumere questa prospettiva ci mette al riparo da visioni irrazionalistiche delle emozioni e ci permette forse, estendendo il ragionamento alle emozioni sociali (indignazione, rabbia, sfiducia, rifiuto nei confronti di interi gruppi sociali), di avere uno strumento in più per disinnescare il portato distruttivo e antipolitico della separazione tra stati affettivi e ragione. Oggi infatti, a quello che la filosofa Zambrano definisce «l’ermetismo della vita profonda», così necessario ad una performance sociale che chiede una sorta di ingiunzione alla positività, corrisponde un’esaltazione invece pubblica delle proprie emozioni negative, che, sganciate da qualunque ragionamento, argomento e confronto razionale, incarnano una minaccia grave per i legami sociali e gli spazi della democrazia. Perché si sa, fuor di ragione, chi grida di più comanda, sia dentro che fuori di noi
(pubblicato su Confronti di marzo 2018)