di Luigi Sandri (redazione Confronti)
Quando, tra qualche tempo (non sappiamo se poco o molto) l’incontro tra il vescovo di Roma e i patriarchi delle Chiese ortodosse e orientali diverrà normale e, almeno, annuale, ci si ricorderà che la “prima” di questo decisivo stile ecclesiale è stata a Bari, il 7 luglio 2018. Infatti, in quella “porta dell’Oriente” che è il capoluogo pugliese, quel giorno papa Francesco ha incontrato i Capi delle Chiese e delle Comunità cristiane del Medio Oriente per riflettere insieme sul tema: “Su di te sia pace! Cristiani insieme per il Medio Oriente”.
LE RAGIONI DEL SINGOLARE INCONTRO
Perché questo convenire insieme di cristiani per riflettere su quell’area del mondo? Perché in questi ultimi anni l’infuriare, là, di guerre e conflitti, e le violenze dell’Isis/Daesh (il cosiddetto “Califfato islamico”), hanno provocato la persecuzione – e talora la dissoluzione – di antichissime comunità cristiane. Qualche cifra, per inquadrare il problema: alla vigilia della prima Guerra mondiale, i cristiani in Medio Oriente erano il 20% della popolazione, in gran maggioranza musulmana; oggi sono il 4% e inarrestabile appare la loro emorragia. Un pericolo che incombe su tutte le Chiese: per questo, adesso, cercano di unirsi per affrontare insieme una situazione drammatica. È vero che il numero maggiore di vittime, negli anni recenti, sono stati musulmani uccisi da altri musulmani; e aspra è stata la persecuzione dell’Isis/Daesh contro gli yazidi (antichissima religione mesopotamica); ma la tendenziale scomparsa delle discepole e dei discepoli di Gesù là ove egli compì la sua missione, e nacque la prima Comunità cristiana, è particolarmente angosciante per i leader delle Chiese.
All’incontro barese, tra patriarchi e loro delegati, erano presenti una ventina di prelati. Tra essi: il patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I; Theodoros II, patriarca greco-ortodosso di Alessandria; Tawadros II, papa di Alessandria e patriarca (copto) della sede di san Marco; Aram I, catholicos di Cilicia degli armeni; Ignatius Aphrem II, patriarca siro ortodosso di Antiochia e di tutto l’Est; Mar Gewargis III, catholicos patriarca della Chiesa assira dell’Est. Invece il patriarca di Mosca, Kirill, era rappresentato dal suo “ministro degli esteri”, il metropolita Hilarion di Volokolamsk. L’arcivescovo Nektarios rappresentava il patriarca greco ortodosso di Gerusalemme; e il metropolita Vasilios la Chiesa di Cipro. Presente, ancora, Sani Ibrahim Azar, vescovo della Chiesa evangelica luterana della Terrasanta. E, inoltre, tutti i patriarchi cattolici orientali (armeno, caldeo, copto maronita e siro); solo il melkita, assente, era rappresentato dall’arcivescovo di Aleppo. Monsignor Pierbattista Pizzaballa, amministratore sede vacante del patriarcato latino di Gerusalemme, ha introdotto i lavori che si sono svolti a porte chiuse nella basilica di san Nicola.
LA “MONIZIONE” DI PAPA FRANCESCO
Arrivato da Roma in elicottero, il papa è stato subito portato, in macchina, alla basilica di san Nicola, dove ha salutato ciascuno dei dignitari nel frattempo giunti e, entrati tutti nella chiesa – retta dai padri domenicani – sono scesi nella cripta, dove hanno venerato le reliquie di san Nicola. Quindi in pullman papa e ospiti, applauditissimi dalla folla, hanno raggiunto il lungomare dove vi è stato l’incontro di preghiera, durante il quale sono intervenuti quasi tutti i capi di Chiese: il papa ha parlato in italiano, e gli altri nelle varie lingue (inglese, greco, siro, assiro, armeno); un possente coro della diocesi di Bari guidava i canti.
Bergoglio ha pronunciato la sua monizione, spiegando il perché dell’incontro a Bari: «Qui riposano le reliquie di San Nicola, vescovo dell’Oriente la cui venerazione solca i mari e valica i confini tra le Chiese». In effetti Nicola era vescovo di Mira, in Asia minore, nel quarto secolo. Nel 1087 marinai baresi trafugarono da là le reliquie del santo che, portate a Bari, furono da subito, e fino ad oggi, oggetto di grande devozione, anche da parte ortodossa (in Russia san Nicola è veneratissimo!).
E perché parlare di Medio Oriente? Perché là, ha spiegato Francesco, «ci sono le radici delle nostre stesse anime. Da lì si è propagata nel mondo intero la luce della fede. Lì sono sgorgate le fresche sorgenti della spiritualità e del monachesimo. Lì si conservano riti antichi unici e ricchezze inestimabili dell’arte sacra e della teologia, lì dimora l’eredità di grandi Padri nella fede… Ma su questa splendida regione si è addensata, specialmente negli ultimi anni, una fitta coltre di tenebre: guerra, violenza e distruzione, occupazioni e forme di fondamentalismo, migrazioni forzate e abbandono, il tutto nel silenzio di tanti e con la complicità di molti. Il Medio Oriente è divenuto terra di gente che lascia la propria terra. E c’è il rischio che la presenza di nostri fratelli e sorelle nella fede sia cancellata, deturpando il volto stesso della regione, perché un Medio Oriente senza cristiani non sarebbe Medio Oriente».
E ancora: «Preghiamo uniti, per invocare dal Signore del cielo quella pace che i potenti in terra non sono ancora riusciti a trovare. Dal corso del Nilo alla Valle del Giordano e oltre, passando per l’Oronte fino al Tigri e all’Eufrate, risuoni il grido del Salmo: “Su di te sia pace!” (122,8). Sia pace: è il grido dei tanti Abele di oggi che sale al trono di Dio. Per loro non possiamo più permetterci, in Medio Oriente come ovunque nel mondo, di dire: “Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,9). L’indifferenza uccide, e noi vogliamo essere voce che contrasta l’omicidio dell’indifferenza. Vogliamo dare voce a chi non ha voce, a chi può solo inghiottire lacrime, perché il Medio Oriente oggi piange, oggi soffre e tace, mentre altri lo calpestano in cerca di potere e ricchezze».
I PERMANENTI CONTRASTI INTRA-ORTODOSSI
Poi, papa e patriarchi sono tornati alla basilica di san Nicola e là, a porte chiuse, hanno scambiato opinioni e ipotesi per salvaguardare la presenza cristiana in Medio Oriente. Terminato il colloquio, di quasi tre ore, Francesco e ospiti sono usciti sul sagrato della basilica: apparivano rasserenati e fiduciosi, al termine di un incontro al tempo stesso normale e straordinario. Se esso si ripetesse, approfondendo di volta in volta un particolare problema, forse si individuerebbe quel nuovo modo di esercitare il primato petrino, spesso auspicato da Roma nel post-Concilio, ma difficilmente realizzato.
D’altronde, non solo il vescovo di Roma deve fare un lungo cammino, ma anche l’Ortodossia. E, qui, i problemi non sono da meno: Kirill e Bartolomeo rimangono totalmente contrapposti nei modi di intendere l’autocefalia (in particolare quella, ipotetica, della Chiesa ortodossa ucraina riunificata). Forse per questo il patriarca di Mosca – che in questi anni molte volte ha levato la voce in difesa dei cristiani del Medio Oriente – non è venuto personalmente a Bari. E insoluto rimane l’aspro dissidio tra il patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme e quello di Antiochia a proposito della giurisdizione canonica sul Qatar (nell’emirato sono immigrati migliaia di operai di varie Chiese ortodosse).
Per dire quanto siano intricati e spinosi i problemi intra-ortodossi, basterà ricordare che al Concilio ortodosso di Creta – del giugno 2016, tenacemente voluto da Bartolomeo [Confronti 7-8/16] – su quattordici Chiese autocefale, quattro polemicamente erano rimaste assenti; e, tra esse, quella russa che da sola rappresenta circa il 65% dei duecento milioni di ortodossi sparsi nel mondo.
IL PAPA: «IN MEDIO ORIENTE I CRISTIANI CITTADINI A PIENO TITOLO»
Non vi è stata una dichiarazione comune, al termine dell’incontro. Per tutti, e attorniato dai patriarchi, ha parlato Francesco: «Sono molto grato per la condivisione che abbiamo avuto la grazia di vivere. Ci siamo aiutati a riscoprire la nostra presenza di cristiani in Medio Oriente, come fratelli. Essa sarà tanto più profetica quanto più testimonierà Gesù Principe della pace (cfr Is 9,5). Egli non impugna la spada, ma chiede ai suoi di rimetterla nel fodero (cfr Gv 18,11). Anche il nostro essere Chiesa è tentato dalle logiche del mondo, logiche di potenza e di guadagno, logiche sbrigative e di convenienza. E c’è il nostro peccato, l’incoerenza tra la fede e la vita, che oscura la testimonianza. Sentiamo di doverci convertire ancora una volta al Vangelo, garanzia di autentica libertà, e di farlo con urgenza ora, nella notte del Medio Oriente in agonia. Come nella notte angosciosa del Getsemani, non saranno la fuga (cfr Mt 26,56) o la spada (cfr Mt 26,52) ad anticipare l’alba radiosa di Pasqua, ma il dono di sé a imitazione del Signore».
Quindi, un appello: «Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi: uomini di buona volontà e di credo diversi che non hanno paura di parlarsi, di accogliere le ragioni altrui e di occuparsi gli uni degli altri. Solo così, avendo cura che a nessuno manchino il pane e il lavoro, la dignità e la speranza, le urla di guerra si muteranno in canti di pace. Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! Basta usare il Medio Oriente per profitti estranei al Medio Oriente!… Tanti conflitti sono stati fomentati anche da forme di fondamentalismo e di fanatismo che, travestite di pretesti religiosi, hanno in realtà bestemmiato il nome di Dio, che è pace, e perseguitato il fratello che da sempre vive accanto. Ma la violenza è sempre alimentata dalle armi. Non si può alzare la voce per parlare di pace mentre di nascosto si perseguono sfrenate corse al riarmo. È una gravissima responsabilità, che pesa sulla coscienza delle nazioni, in particolare di quelle più potenti».
E, infine, dopo un pensiero alla martoriata Siria: «Per aprire sentieri di pace, si volga invece lo sguardo a chi supplica di convivere fraternamente con gli altri. Si tutelino tutte le presenze, non solo quelle maggioritarie. Si spalanchi anche in Medio Oriente la strada verso il diritto alla comune cittadinanza, strada per un rinnovato avvenire. Anche i cristiani sono e siano cittadini a pieno titolo, con uguali diritti. Fortemente angosciati, ma mai privi di speranza, volgiamo lo sguardo a Gerusalemme, città per tutti i popoli, città unica e sacra per cristiani, ebrei e musulmani di tutto il mondo, la cui identità e vocazione va preservata al di là delle varie dispute e tensioni, e il cui status quo esige di essere rispettato secondo quanto deliberato dalla Comunità internazionale e ripetutamente chiesto dalle comunità cristiane di Terra Santa. Solo una soluzione negoziata tra Israeliani e Palestinesi, fermamente voluta e favorita dalla Comunità delle nazioni, potrà condurre a una pace stabile e duratura, e garantire la coesistenza di due Stati per due popoli… La speranza ha il volto dei bambini. In Medio Oriente, da anni, un numero spaventoso di piccoli piange morti violente in famiglia e vede insidiata la terra natia, spesso con l’unica prospettiva di dover fuggire. Questa è la morte della speranza. Gli occhi di troppi fanciulli hanno passato la maggior parte della vita a vedere macerie anziché scuole, a sentire il boato sordo di bombe anziché il chiasso festoso di giochi. L’umanità ascolti – vi prego – il grido dei bambini, la cui bocca proclama la gloria di Dio (cfr Sal 8,3). È asciugando le loro lacrime che il mondo ritroverà la dignità».