Tra i protagonisti della XVII edizione della rassegna “I dialoghi di Trani” (in programma dal 18 al 23 settembre), nella sessione Dialokids, troviamo l’illustratore svizzero Armin Greder. L’artista ha presentato a Trani la mostra delle tavole originali del silent book “Mediterraneo”, il suo ultimo toccante lavoro, pubblicato da Orecchio Acerbo con il patrocinio di Amnesty International Italia e tradotto e premiato in tutto il mondo.
L’opera è “un atto d’accusa muto, senza parole, contro la nostra indifferenza sui naufragi nel Mediterraneo”. Nella prefazione, scritta dal compianto scrittore e giornalista Alessandro Leogrande, si legge: «Il racconto di Armin Greder recupera dal mare i tanti fili che legano quell’enorme cumulo di corpi privi di vita costantemente allontanato dal nostro sguardo, a noi, a tutti noi, alle nostre vite e alle nostre coscienze».
Come è nata la collaborazione con l’editore Orecchio Acerbo?
È nata con la pubblicazione dell’albo “L’Isola”, nel 2008. Da allora si è sviluppata non una semplice collaborazione ma una vera e propria amicizia. Infatti in questo momento sono qui a Roma ospite della casa editrice.
In quest’albo narra, con il solo ausilio delle immagini, i lati più oscuri e drammatici del Mar Mediterraneo, proponendoceli con spietata lucidità e in modo diretto. Perché ha scelto di trattare l’argomento delle migrazioni nel Mediterraneo?
Io non vado a cercare le storie, al contrario sono le storie che si avvicinano a me. Quasi tutti i miei libri sono una forma di protesta, una reazione a uno stato, un qualcosa che mi crea dispiacere. Così è nato “Mediterraneo”. Precisamente è successo quando una mia amica mi ha raccontato la storia di sua nonna, che ha smesso di mangiare il pesce perché rifiutava di mangiare i corpi di gente affogata. Ogni volta che mangiava il pesce pensava a quanti morti aveva mangiato quel pesce. Sentita questa storia ho avuto un’illuminazione, la storia mi si è presentata di fronte quasi completa, e tutto quello che mi restava da fare era disegnare le immagini che avevo visto; per questo è un libro silenzioso.
A quale pubblico si rivolge, soprattutto? Adulti o bambini/ragazzi?
Io non scrivo per un lettore in particolare. Quando faccio un libro l’importante per me è dare la miglior forma alla storia che voglio raccontare. Per questo Mediterraneo è quasi senza testo. Se ne esce fuori un libro per bambini va bene, altrimenti va bene ugualmente. Sono abbastanza egoista in questo.
Mi sembra di capire che il suo obiettivo principale è quello di fare una denuncia?
Sì, esatto. Questi giorni ho fatto alcuni incontri in Curia, in memoria del giornalista Alessandro Leogrande, che mi ha fatto l’onore di scrivere la postfazione del mio libro. Io sono quasi il contrario di lui, nel senso che lui sceglieva un tema e dopo lo esaminava logicamente; le mie storie, invece, escono dallo stomaco piuttosto che dalla testa
Alcuni ritengono che i bambini debbano essere protetti dalla conoscenza di alcuni argomenti. A suo parere, c’è un modo più “giusto” di comunicare messaggi anche impegnati a un pubblico di giovanissimi?
Questa è una controversia che esiste da sempre. Per me è necessario parlare ai più piccoli di tutto, perché la vita ha un lato bello e uno brutto. Penso per esempio alle favole tradizionali, che spesso sono molto brutte, eppure nessuno si spaventa! Mentre queste favole avevano un ruolo educativo, nel senso di comunicare al bambino problemi dell’esistenza e superarli.
Come è andata la presentazione della sua mostra ai Dialogi di Trani?Quali le reazioni del pubblico?
Molto bene. Io sono sempre sorpreso del rumore che fa questo libro. Tratta di un problema, una tragedia che tocca tutti. L’accoglienza è stata meravigliosa, soprattutto da parte delle insegnanti che mi hanno ringraziato per aver prodotto un libro che serve loro come strumento didattico per educare. Io con questo libro vivo una tragedia, ma un libro solo non cambia molto. Quando il libro entra nella aule allora può aiutare a cambiare il modo di pensare.
a cura di Stefania Sarallo