di Samuele Pigoni. Si occupa di progettazione sociale e filosofia. Lavora come program manager per Diaconia valdese.
In Strade a senso unico Walter Benjamin attraversa una città reale e insieme onirica, sospesa: il clima incerto e disorientato di una società, quella di Weimar, e di un uomo, Benjamin stesso, alle prese con il disfacimento delle aspettative borghesi, con l’incombente sensazione di catastrofe e l’inquieto tentativo di orientarsi per trovare nuovi approdi.
Il filosofo ha trentadue anni, grosse difficoltà economiche, ancora non è riuscito a entrare all’Università (non ce la farà) e il suo matrimonio con Dora Keller è in crisi. Ha già scritto il saggio su Le affinità elettive di Goethe e tradotto i Tableaux Parisiens di Baudelaire.
Nel maggio del 1924 lascia la Germania per un soggiorno a Capri, luogo che sembra «fatto apposta per il lavoro notturno», posto ideale dove portare a termine Il dramma barocco tedesco, lo studio con cui spera di ottenere la libera docenza all’Università. Qui conosce Asja Lacis, regista lettone, compagna del drammaturgo Bernhard Reich, assistente di Brecht, fondatrice dopo la Rivoluzione d’ottobre del teatro per ragazzi emarginati. La donna è a Capri per curare la polmonite della figlia e i due si innamorano di un amore tanto tormentato quanto generativo sul piano intellettuale: sarà lei a introdurlo al marxismo e alla possibilità di un “sentiero in salita della rivolta” anziché di una “rapida discesa dello sconforto”.
La scoperta del materialismo storico non diventerà mai per Benjamin un sistema chiuso di lettura della realtà, né una fede cieca nella realizzazione del comunismo nella storia. L’epoca è sempre più complessa e l’unica forma di pensiero che può descriverla è quella non sistematica del frammento, quasi a riflettere la vita di un filosofo in viaggio, sempre al confine tra luoghi, lavori e identità differenti (filosofo non accademico, giornalista, critico d’arte, poeta).
Proprio con frammenti di descrizione fenomenologica, “immagini di pensiero”, come quelli contenuti in Strade a senso unico, Benjamin intuisce e anticipa che la contemporaneità, il procedere dell’innovazione tecnica, dell’urbanizzazione, i suoi meccanismi sempre più imprevedibili, ambivalenti e complessi sono accostabili dalla riflessione filosofica solo rivolgendosi agli oggetti e ai comportamenti della vita quotidiana; frammenti di pensiero ispirati a cartelloni pubblicitari, insegne, annunci sui giornali, scritte sui muri, compongono un mosaico il cui valore dei singoli tasselli è tanto più decisivo, quanto meno immediato è il rapporto con l’insieme.
Proprio in questa inattualità di ogni singolo frammento sta la loro potenza evocativa e la capacità di parlare oggi. Ce n’è uno in particolare: Il carattere distruttivo. La parola d’ordine del carattere distruttivo è “fare spazio”: fare pulizia, creare il vuoto. Ogni distruttore è giovane e allegro. Giovane perché distruggere toglie le tracce del tempo e allegro perché ogni distruzione rassicura nel produrre una schiarita: tanto più qualcosa acquisisce la dignità di essere distrutta tanto più è semplificata.
Il mondo diventa così armonico nel suo essere semplice e disponibile. Chi distrugge è sempre al lavoro: deve prevenire i ritmi della natura, deve arrivare prima, potrebbe altrimenti essere lei a incaricarsi dell’opera. Non ha immaginazione: l’unica preoccupazione è sapere cosa mettere al posto di ciò che ha distrutto e poco importa cosa sia il nuovo; ciò che conta è la novità e che questa novità sia vista, applaudita, testimoniata. Proprio per questo il distruttore non è mai da solo ma deve continuamente attorniarsi di testimoni della sua attività.
Poco importa che sia “capito”, anzi, più è frainteso meglio è: egli provoca costantemente l’equivoco intorno a sé (a dire: tanti nemici, tanto onore).
Il distruttore non vede alcunché di duraturo, scorge ovunque vie d’uscita: laddove altri vanno a sbattere contro muri o montagne, vincoli, lui vede vie d’uscita; per questo ha bisogno di avere sempre la strada sgombra ed è sempre ad un bivio: nessun attimo può sapere che cosa porterà il successivo. Il distruttore riduce la realtà in macerie: non per amore delle macerie, ma delle vie d’uscita che lui vi apre. Il distruttore ha infatti un’insormontabile diffidenza nel corso delle cose: sa che tutto può andare storto da un momento all’altro e sta proprio dalla parte dell’andare storto. In questo sta il suo essere estremamente pericoloso.
[pubblicato su Confronti 11/2018]
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