di Stefano Allievi. Sociologo e islamologo. Professore di Sociologia presso l’Università degli studi di Padova.
Un’umanità senza figli è un’immagine al limite dell’impensabile: se non si riproduce, una specie si estingue. Eppure non è del tutto paradossale. Basta leggere qualche segno tra quelli che abbiamo intorno, almeno nelle società ricche, per accorgercene.
L’invecchiamento della popolazione, per esempio. Che non è tale solo per i progressi della medicina, che allontanano a poco a poco la morte dal nostro orizzonte persino cognitivo, e nel frattempo ci fanno vivere meglio. È che proprio di figli ne facciamo sempre meno.
E non solo perché costano: certo, si potrebbero attivare politiche in favore delle famiglie (incentivi economici, deduzioni di spese e detrazioni fiscali, servizi, a cominciare dai nidi, e una diversa articolazione dei contratti e del mercato del lavoro). In altri paesi hanno anche funzionato.
Resta il fatto che il dato non è solo economico, ma più profondamente culturale. Non a caso a fare meno figli sono i paesi più ricchi, rispetto a quelli più poveri: e, all’interno degli uni come degli altri, sono sempre i più ricchi a riprodursi di meno. Risultato? L’inversione (quasi) della piramide demografica, o almeno la sua trasformazione in una specie di botte: più larga al centro e nella fascia medio-alta (nelle età più mature), e più piccola in basso. Un dato che non ha quasi precedenti nella storia, almeno non per cause naturali.
Già oggi, in alcune regioni d’Italia, ogni due persone con più di 65 anni ce n’è una sola con meno di 15. Per limitarci alla forza lavoro, in questo momento per ogni 3 lavoratori attivi ci sono 2 pensionati: ma nel 2050 saranno 1 contro 1 (letteralmente).
E rischierebbe di aprirsi un conflitto generazionale che, se fosse consapevole (ma non lo è), potrebbe far impallidire i conflitti tra classi, o quelli tra destra e sinistra. Una delle principali fratture sociali sta proprio lì: ma, appunto, è poco percepita nel dibattito pubblico, e soprattutto i vincitori sono già noti.
A meno di svolte epocali, anche di metodo di conduzione della lotta politica, gli anziani sono di più, e hanno una maggiore propensione al voto. Inevitabile, in una democrazia i cui orizzonti si accorciano sempre di più (le prossime elezioni, non le prossime generazioni), che si privilegino loro e i loro interessi. Sta già accadendo, no?
Ma a parte la sostenibilità del sistema pensionistico, e l’ineguaglianza nell’allocazione delle risorse (aprire un nuovo reparto geriatrico o una patologia neonatale? Finanziare le pensioni o le borse di studio universitarie? Gli anziani non autosufficienti o i mutui per le giovani coppie? La risposta è già scritta nei numeri), abbiamo veramente idea di cosa significhi una società in cui prevalgono numericamente gli anziani?
Non sono loro, di solito, a produrre l’innovazione, le nuove scoperte scientifiche e tecnologiche, le start up, gli investimenti, le nuove mode, le nuove imprese: il loro orizzonte è più breve, segnato com’è dalla maggiore vicinanza e consapevolezza della fine. Anche se, va detto, oggi si è molto più vitali e in salute, a parità di età, rispetto al passato: e quindi la fase creativa della vita si allunga.
Ci sono poi altre svolte in corso. L’idea di riproduzione si è staccata (o può farlo) da quella di famiglia, e di sessualità: il concepimento artificiale, la maternità surrogata, e altre pratiche per ora di frontiera aprono scenari inediti e ulteriori cambiamenti culturali. Già passare al figlio unico aveva fatto perdere di realtà concetti fondativi della vita sociale moderna, come quelli di fraternità e sorellanza: che per i nuovi nati privi di compagnia familiare non significano più nulla.
Certo, il mondo è largo: ci sono le migrazioni, che potranno compensare la mancanza di bambini e giovani. Sapendo che c’è una generale tendenza all’integrazione che porta ad adeguarsi ai costumi dominanti. E poi presuppongono un mondo aperto, che non sembra nelle corde dell’oggi. Innovazione tecnologica e intelligenza artificiale ci daranno poi una mano in molti modi: umanoidi e replicanti potranno farci compagnia.
Ma è bene almeno sapere che si può andare verso una utopia felice, o una distopia alla Ballard.
E in questo momento è difficile prevedere quale possa essere più probabile.
[pubblicato su Confronti 11/2018]