di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia sistematica e Decano della Facoltà valdese di teologia di Roma.
Sulle questioni teologiche sempre più spesso si assiste a prese di posizioni superficiali, motivate da un certo analfabetismo religioso (di ritorno). Tale “boicottaggio antiteologico” sembra essere incoraggiato in primis dalle stesse Chiese, come se la teologia fosse materia ostica e astratta, quando essa è – in realtà – un modo di essere, davanti a Dio.
Supponiamo, nonostante l’inverosimiglianza, che io sia invitato, come teologo, a un “festival” della scienza e che, in quella sede, sostenga la seguente tesi: «L’impresa scientifica è un cumulo di frottole. Lo dice anche il grande filosofo Karl Popper, secondo il quale una teoria è scientifica quando la si può “falsificare”, che in questo caso significa: “smentire”».
La mia affermazione verrebbe,evidentemente e giustamente, ridicolizzata. Il riferimento a Popper dice, in un certo senso, qualcosa di vero, ma lo fa in modo talmente deformante da costituire una grottesca strumentalizzazione.
Ebbene: mentre il non scienziato che parla di scienza deve stare attento a quello che dice, il che peraltro sarebbe buona norma di ogni discorso pubblico e non solo, l’“intellettuale” (astrofisico, filosofo, giornalista) che parla di cristianesimo è socialmente autorizzato a elargire qualunque sciocchezza: non solo senza che la sua incompetenza sia denunciata, ma addirittura accreditando le proprie opinioni pseudo antiteologiche con l’autorità acquisita in altri ambiti.
Gli esempi sono molteplici. Il caso più raccapricciante è costituito dalla presentazione di dottrine cristiane classiche (peccato originale, incarnazione, redenzione) in termini che nessun credente, un poco consapevole, farebbe propri: segue, naturalmente, una liquidazione sommaria. Il fatto che la Bibbia sia da diversi secoli studiata criticamente, che tali metodi siano stati elaborati nelle facoltà teologiche (protestanti) e che siano oggi tenuti presenti, nelle forme opportune, da ogni catechesi seria, è tranquillamente ignorato.
Ogni tanto, poi, qualcuno presenta (magari intervistando specialisti opportunamente scelti) qualche frammento, parziale e non sempre aggiornatissimo, di indagine critica, spacciando come scoperta esplosiva quello che uno studente di teologia del primo anno trova nei corsi introduttivi e interpretandolo in modo banalmente scandalistico. In passato, si trattava di una caratteristica legata soprattutto ai paesi di tradizione cattolica, dominati dalla convinzione (bipartisan), che la religione fosse una cosa da preti. In Paesi come la Germania e la Svizzera si poteva leggere ottima teologia nei grandi quotidiani. Oggi la secolarizzazione spinta contribuisce anche oltralpe all’analfabetismo religioso di ritorno.
Ancora più malinconico è che le Chiese stesse snobbino la teologia. L’attuale pontefice ha preso più volte le distanze dalla fatica critica dei teologi, salvo poi tirarli in ballo per evitare di prendere una posizione netta su questioni ritenute scottanti: «bisogna approfondire». Quanto alle chiese evangeliche (forse Germania a parte, ancora oggi), spesso si direbbe che la selezione delle competenze sia più accurata se si tratta di contabilità o gestione immobiliare che in fatto di teologia: «In fondo l’Evangelo è una cosa semplice e concreta», mentre la teologia, come tutti sanno, è complicata e astratta.
Temo che il boicottaggio antiteologico della cultura di massa sia incoraggiato dalla freddezza delle Chiese nei confronti del pensare cristiano: se non interessa a loro, perché dovrebbe riguardare altri?
Naturalmente tocca ai teologi e alle teologhe interrogarsi sulle ragioni di questa emarginazione. La fede, certo, non è una costruzione teorica, bensì una relazione, che afferma di avere un carattere personale, con Gesù. Gli uomini e le donne che la vivono, tuttavia, sono esseri pensanti, esattamente come gli altri: e il loro rapporto con Gesù riformula i grandi e piccoli interrogativi della vita e ne genera di nuovi. «Cristo è la risposta», dice qualcuno. Certo. Ma la teologia cristiana nasce, insieme alla fede, là dove è udita una domanda: «Voi, chi dite che io sia?».
Per tale ragione, più che un aiuto, oppure un ostacolo, oppure un’appendice al credere, essa ne è una dimensione; per lo stesso motivo, essa è un’attività intellettuale che coinvolge e trasforma anche il piano personale: non a torto, un grande autore del Novecento parla di “esistenza teologica”.
Per quanto capisco, il “rilancio” della teologia nella Chiesa e nella cultura inizia riscoprendo che questa forma di pensiero costituisce, in realtà, un modo di essere, davanti a Dio.
[pubblicato su Confronti 03/2019]