di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.
La vita dei coniugi Trocmé e della loro lotta nonviolenta contro il nazismo, fra visioni e memorie personali.
Tanti anni fa a Parigi vidi in tv, dopo il telegiornale, un breve servizio su un film documentario americano di Pierre Sauvage, che era il corrispondente hollywoodiano di una rivista di cinema su cui scrivevo, Positif. Il film si chiamava Weapons of the Spirit, “Le armi dello Spirito”, e investigava su un episodio bellico che aveva avuto protagonisti André e Magda Trocmé, un pastore protestante e la moglie (fiorentina), che avevo avuto modo di conoscere prima in Sicilia, quando vennero in visita da Danilo Dolci con cui allora lavoravo, e una seconda volta al Centro ecumenico Agape in Piemonte, ri-presentatimi dal pastore Tullio Vinay, una persona a cui devo tantissimo.
Sapevo dell’attività presente dei Trocmé nel campo della nonviolenza, ma niente della loro storia, del loro passato. Corsi a vedere il film, e ne appresi parecchio.
Molti anni dopo, la Claudiana pubblicò un libro molto bello su di loro e sulla storia di Le Chambon-sur-Lignon, un paese di contadini e montanari delle Cevenne di storia ugonotta. Il libro, opera anche questa di un americano, Philip Hallie, aveva un titolo italiano, Il tuo fratello ebreo deve vivere, che era meno bello di quello originale, Lest innocent blood be shed, citazione biblica: «Affinché non si sparga sangue innocente».
Della predicazione e azione nonviolente dei Trocmé sapevo dunque molto, anche per il contatto diretto, ma niente della loro storia. In breve: quando la Francia venne divisa in due e ancora dopo, quando l’occupazione nazista la dominò per intero, Le Chambon si trovava nella cosiddetta Repubblica di Vichy. E i nazisti facevano partire da lì verso i campi di sterminio ebrei e altri indesiderabili del Sud della Francia. I pastori della zona di Chambon, ma anche vari membri della minoranza cattolica, organizzarono un’attività clandestina che coinvolse di fatto tutti o quasi gli abitanti della zona, pochi artigiani e soprattutto contadini che abitavano in case sparse, anche oltre il territorio del comune (che nel 2014 aveva in tutto 265 abitanti!). Accolsero e nascosero fuggiaschi assistiti e organizzati da gruppi partigiani di valle e di costa, avviandoli in seguito e nottetempo verso la lontana frontiera con la Svizzera. Si trattò di circa 5.000 persone, e due su tre erano bambini, che vennero salvati in questo modo dalla spietatezza nazista.
Solo a guerra finita i Trocmé e gli altri pastori vennero a sapere, come sospettavano, di essere stati protetti da qualcuno dall’interno del comando nazista: si trattava di un tal maggiore Schmehling, cattolico, che nascondeva o falsava le notizie che potevano insospettire i suoi superiori!
«Non c’era tempo per discussioni teoriche, quelle persone, quei bambini, dovevamo o aiutarli o lasciarli morire, e per aiutarli bisognava, sfortunatamente, anche mentire», una cosa che ai nonviolenti costa una particolare fatica perché, ha scritto Gandhi, la nonviolenza consiste di tre cose; non fare il male, non collaborare al male che altri fanno, non mentire.
Pierre Sauvage, il regista del film, era stato uno dei bambini salvati dagli chambonnesi, ed era tornato ormai adulto per raccontare la loro storia (e sarebbe bello che il suo film potesse avere un’edizione italiana sottotitolata, ma conosciamo fin troppo bene la miseria intellettuale e morale delle nostre televisioni. O potrebbe pensarci la Claudiana?). Il libro di Hallie racconta però un risvolto terribile della storia dei Trocmé. Jean-Pierre, il figlio 14enne che aveva preso parte a molte delle loro azioni, aveva trovato in casa, assenti i genitori e mentre giocava con una piccola amica, una pistola lasciatavi da un resistente, e da quella era partito un colpo che aveva sciaguratamente ucciso la bambina; Jean-Pierre si uccise impiccandosi tempo dopo, mentre i genitori erano assenti per essere andati a dirimere un conflitto tra parrocchiani… Conoscendo i Trocmé e la loro solidità e serenità, mai avrei sospettato una storia come questa: strano destino, per chi aveva aiutato a sopravvivere così tanti bambini! Nel film di Sauvage una vecchia contadina si irritava alla domanda sui rischi che aveva corso: «Abbiamo fatto quel che abbiamo fatto perché era giusto farlo, che ci trovate di strano? E se fosse da rifare, lo rifaremmo».
Ancora una cosa devo ricordare. Leggendo la grande biografia di Albert Camus scritta da Olivier Todd, vi si racconta che Camus si rifugiò nel ‘43 per diverse settimane, per curarsi dalla tisi incombente, nella locanda di un villaggio vicino a Le Chambon, e che vi si incontrò spesso con i pastori Trocmé e Theis e col maestro Darcissac, e che da lì vengono le discussioni del dottor Rieux di La peste con i suoi amici e contraddittori.
I Trocmé, quando li conobbi a Partinico (e di lei mi colpì che portasse le lunghe trecce annodate sul capo in un modo un tempo comune e oggi del tutto scomparso!), mi invitarono a seguirli in alcune loro peregrinazioni, io e il mio amico Alberto L’Abate, che lavorava come me da volontario nel gruppo di Dolci.
Non lo feci, pensavo di avere cose più urgenti da fare, e ancora me ne pento.
[pubblicato su Confronti 03/2019]