di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.
Le conseguenze del ciclone Idai che tra la notte del 14 e il 15 marzo si è scagliato con forza contro Mozambico, Zimbabwe e Malawi sono devastanti. Secondo l’Onu almeno 3 milioni di persone soffrono per le conseguenze dell’uragano.
Le conseguenze del ciclone Idai sul Mozambico sono devastanti, peggio di quanto ipotizzato nella prima fase. Le inondazioni hanno cambiato profondamente l’assetto idro-geografico di alcune aree. Ad esempio immagini riprese via satellite mostrano la formazione di un nuovo lago lungo 125 chilometri.
Tutto è cominciato nella notte tra il 14 ed il 15 marzo, quando dall’Oceano indiano l’uragano si è abbattuto sulla città portuale di Beira, la seconda del paese, con una forza inaudita. I venti hanno raggiunto la velocità di 315 chilometri orari, una intensità paragonabile a quella dell’uragano Irma che colpì la Florida nel 2017, uno dei più violenti degli ultimi anni. Secondo le Nazioni Unite, «si tratta del più grave disastro legato al cambiamento climatico mai accaduto nell’emisfero meridionale».
In Africa australe questi eventi sono un fenomeno abbastanza raro e difficilmente sprigionano una violenza tanto distruttrice. Nel 2000 Mozambico e Zimbabwe furono investiti dal ciclone Eline che causò 115 morti con una velocità dei venti di 200 chilometri all’ora.
Gli scienziati teorizzano che i cicloni diventeranno più pericolosi grazie al riscaldamento globale. Traggono infatti la loro forza dagli oceani che diventano ogni giorno più caldi per lo scioglimento delle calotte polari che ne favorisce di conseguenza l’innalzamento del livello dell’acqua.
Un cane che si morde la coda specialmente per quei paesi (come il Mozambico) che si sviluppano lungo la fascia costiera e che affacciano sull’Oceano Indiano il cui mare è già strutturalmente caldo.
Ma il ciclone Idai non ha comunque risparmiato nazioni interne (come Zimbabwe e Malawi) che pur non affacciandosi sul mare hanno anche loro subìto danni gravissimi due giorni dopo, poco alla volta che l’uragano si spostava.
Proprio nelle stesse ore della tragedia, l’assemblea mondiale delle Nazioni Unite sui cambiamenti ambientali riunita a Nairobi lanciava l’ennesimo grido di allarme: tutti i governi devono prendere decisioni concrete per fermare il degrado ambientale ed in tempi brevissimi perché ne resta poco a disposizione.
Sarà difficile che questo invito possa essere accolto dall’esecutivo del Mozambico che si è impegnato a fagocitare miliardi di dollari con accordi in odore di corruzione dopo la scoperta di enormi giacimenti di gas al largo delle sue coste settentrionali.
Lo Zimbabwe (prostrato da 37 anni di dittatura di Mugabe, a cui è succeduto il nuovo presidente Emmerson Mnangagwa che non si è distinto per discontinuità dal predecessore) è un altro paese a rischio ambientale e con enormi potenzialità economiche ma è stato talmente depredato dalla cleptocrazia che si è succeduta al potere che la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale si rifiutano di aiutarlo: così il governo non ha fondi per affrontare le emergenze.
Le cose non vanno meglio in Malawi dove i fratelli Mutharika che si sono alternati alla presidenza non hanno pensato ad incrementare il livello di vita dei loro concittadini e la difesa dell’ambiente è al di là del bene e del male. Difficile anche pensare che il Sudafrica (sulla carta la vera potenza regionale dell’area) possa guidare un processo di difesa dell’ambiente. Lo stato (fiaccato da anni di malgoverno) è stato costretto a razionare l’erogazione dell’energia elettrica come conseguenza del black out delle linee elettriche in Mozambico.
Ora però bisogna rimboccarsi le maniche. Secondo l’Onu almeno 3 milioni di persone (tra cui un milione di bambini) soffrono per le conseguenze del ciclone. 600 mila sfollati e 700 morti le cifre della tragedia mentre andiamo in stampa ma è un tragico bilancio destinato a crescere perché alcune zone non state ancora raggiunte dai soccorritori.
Inoltre quella che è oggi una emergenza alimentare potrebbe trasformarsi in una carestia di lunga durata. È andata completamente distrutta tutta la produzione agricola di quest’anno, già messa a dura prova dalle piogge che hanno flagellato il Mozambico all’inizio di marzo, prima del ciclone Idai, che hanno causato 65 morti. E poi c’è lo spettro di malattie infettive: colera, alterazioni intestinali e respiratorie, malaria. Già si contano le prime vittime e se non si fermano in tempo queste patologie rischiano di fare più danno dell’uragano.
[pubblicato su Confronti 04/2019]
Photo: © MODIS image captured by NASA’s Aqua satellite / Wikimedia Commons