di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.
Lo scorso 8 maggio la popolazione del Sudafrica è stata chiamata alle urne per scegliere i nuovi membri dell’Assemblea nazionale, delle assemblee provinciali e un nuovo presidente. I risultati hanno visto vincente African national congress, il partito di Nelson Mandela che è al governo ininterrottamente dal 1994, anno della caduta del regime dell’apartheid. Ciononostante, non si tratta di una vittoria su tutta la linea.
Prendendo in prestito l’espressione dall’usurato gergo sportivo, possiamo dire che l’African national congress vince ma non convince. Nelle elezioni dell’8 maggio per il rinnovo del parlamento ha conseguito il 58% dei consensi. Ha inoltre conservato la leadership nelle 9 province in cui è suddiviso il Sudafrica, a eccezione della provincia di Città del Capo che resta nelle mani di Alleanza democratica, il principale partito di opposizione.
È il peggior risultato elettorale dell’Anc, il partito di Nelson Mandela, che per la prima volta dal 1994 (quando finì la segregazione razziale) è sceso sotto la soglia dei 9 milioni di voti. Negli anni ruggenti raggiungeva il 70% dei suffragi. Cyril Ramaphosa, delfino di Madiba, ex leader sindacale poi diventato miliardario, è il presidente designato dal parlamento. Secondo gli analisti, se il partito è riuscito a contenere le perdite il merito è di Ramaphosa che ha promesso un nuovo inizio dopo gli 8 anni di presidenza di Jacob Zuma che (costretto alle dimissioni nel dicembre 2017 per gli infiniti scandali) stava portando il paese verso la bancarotta. Ramophosa è subentrato a Zuma alla guida del paese fino alle elezioni.
Alleanza Democratica, storica formazione liberal, si è fermata al 21% dopo l’exploit alle amministrative del 2015 in cui aveva vinto nelle città più importanti come Johannesburg, Pretoria e Città del Capo. La formazione guidata dal brillante Mmusi Maiamane è ancora percepita come il partito di bianchi e meticci incapace di “sfondare” tra la popolazione di colore.
La vera sorpresa è il risultato dei Combattenti per la libertà economica (Eff), formazione radicale e populista, nata da una scissione a sinistra dell’Anc. I “baschi rossi” di Julius Malema hanno conseguito l’11% dei voti, quasi raddoppiando i consensi del 2014 nonostante gli scandali bancari che hanno coinvolto alcuni leader di primo piano.
Il tratto saliente di queste elezioni è però l’aumento dell’astensione: in totale 18 milioni di voti persi comprese le tante schede bianche o nulle. Alle urne si è recato il 65% degli aventi diritto al voto, 26 milioni su 58 milioni di abitanti, in forte calo rispetto al 73% del 2014 in particolare tra la popolazione di colore.
Ma il vero campanello di allarme arriva dai giovani. Ben 6 milioni di nuovi elettori hanno scelto di non registrarsi, un preciso e inequivocabile segnale di sfiducia delle nuove generazioni nei confronti della politica ritenuta incapace di risolvere la crisi economica così come di fermare la corruzione diffusa a tutti i livelli.
La disoccupazione giovanile è salda al 27%. Le diseguaglianze economiche e sociali restano fortissime, nonostante il Sudafrica sia la seconda economia del continente e che tanti passi in avanti siano stati fatti dalla fine dell’apartheid.
L’erogazione dei servizi è insufficiente e disorganizzata: a Città del Capo si convive con la crisi idrica, mentre i continui black out elettrici rendono difficile le attività produttive. La criminalità comune rende difficile la vita quotidiana.
Cyril Ramaphosa ha promesso che libererà l’Anc da coloro che hanno utilizzato la loro posizione per arricchirsi e formerà un governo composto da persone capaci e animati da idealità. Sarà la prima prova che lo attende perché proprio nel partito restano saldamente al potere molti uomini di fiducia del dimissionario Zuma ancora in grado di condizionare fortemente la politica dell’Anc. Intanto è cominciato il processo all’ex presidente accusato di avere intascato tangenti da una ditta francese nel 1999 quando era vicepresidente della Nazione Arcobaleno per favorirne la vendita di armi al governo.
Secondo l’African national congress, per fronteggiare la crisi e rispondere alle richieste di cambiamento è necessario innanzitutto il varo della riforma agraria con un programma di espropri terrieri senza indennizzo per i proprietari bianchi.
Per portarla al termine è necessario il 67% della maggioranza parlamentare. Bisognerà capire a quali compromessi è pronto Ramaphosa per conseguire il risultato mentre il voto della destra moderata afrikaner (i bianchi di origine olandese) è già virato verso un partito radicale che ha conseguito il 2%, raddoppiando i voti. Forse, come ha titolato un autorevole settimanale sudafricano, questa è l’ultima occasione per l’Anc.
[pubblicato su Confronti 06/2019]
Photo: ©GovernmentZA/Flickr