di Samuele Pigoni. Direttore presso Diaconia Valdese. Si occupa di management, progettazione sociale e filosofia.
Piaccia o no nella vita è abbastanza frequente attraversare periodi difficili. A un tratto ci troviamo in mezzo a un fiume impetuoso e l’unica nostra preoccupazione è approdare all’altra sponda sani e salvi, trovando un modo per porre termine il più in fretta possibile ai nostri tormenti.
Se ci siano e quali siano modi, regole o vie per portare a termine quest’impresa è una delle più profonde e antiche preoccupazioni della filosofia. Alla fin fine la risposta è che vivere è imparare a morire – l’ha detto Seneca, che della vita se ne intendeva, ma lo dice anche Stephen King, che invece di morte se ne intende parecchio. Il paradosso è infatti che proprio nei periodi peggiori della nostra vita, quando ci sentiamo a tutti gli effetti mortali, impariamo le lezioni più importanti e accediamo
a una più profonda comprensione di noi stessi. Tuttavia questo non avviene spontaneamente ed è frutto dell’applicazione di millenari consigli sul buon uso della vita. Uno di questi di solito arriva a noi grazie a qualche amico o parente saggio che nel momento del bisogno se ne esce con la regola aurea, il consiglio dei consigli: se vogliamo farcela dobbiamo imparare a lasciare andare. La gravità e rilevanza del consiglio di solito è sottolineata dai gesti che l’accompagnano: il capo si sposta leggermente da sinistra a destra e ritorno (a dire: «devi lasciare andare, non ci sono alternative, amico, è questa la strada fidati di me») mentre la mano, palmo rivolto a terra, si muove lentamente dal petto verso avanti. Una prima caratteristica comune alle occasioni della vita nelle quali ci viene consigliato di lasciare andare è che si sta parlando delle esperienze più dolorose che ci possano capitare. Litigi in famiglia per i quali non veniamo più invitati al pranzo della domenica, conflitti sul posto di lavoro e promozioni che non arrivano, concorsi persi e fallimenti d’impresa, litigi con amici di lunga data, figli che proprio non ne vogliono sapere di corrispondere a una qualche aspettativa, oppure – e qui si fa dura davvero – amori che finiscono, e addirittura malattie.
Una seconda caratteristica coincide con quanto rende queste situazioni così dolorose: sono tutte esperienze di disallineamento tra le nostre aspettative e la realtà dei fatti. Schopenauer, negli Aforismi per una vita saggia, ci dice che «quando qualcosa che si trova al di qua del nostro orizzonte, ci si presenta in modo da farci pensare di poterlo raggiungere, ci sentiamo felici; ci sentiamo, invece, infelici se quella prospettiva ci è sottratta da sopraggiunte difficoltà» e Nietzsche ci ricorda che ogni piacere (ciò che ci rende felici) «vuole l’eternità, vuole, profonda eternità». I due sembrano andare al cuore della questione: tendiamo a rappresentarci la vita come un palcoscenico dove vanno in scena solo cose belle e piacevoli e per di più pretendiamo che questo spettacolo non abbia mai fine.
Per fare qualche esempio: l’ultima volta che mi è stato consigliato (con tanto di gesto del capo, e della mano) di lasciare andare, è stato in occasione della fine di un amore: non mi sarei mai aspettato che quell’amore sarebbe finito e devo ammettere che le mie difese erano molto abbassate. Avevo forse esagerato nell’accomodarmi stando seduto a godermi uno spettacolo che pretendevo bello e eterno, ma che in realtà veniva portato in scena su un palcoscenico scriocchiolante e bisognoso di manutenzione? Di contro, l’ultima volta che io ho consigliato a una cara amica di lasciare andare, è stato in occasione dell’ennesima bocciatura del figlio. Aveva scomodato presidi, insegnanti di ripetizione, psicologi e niente, il ragazzo non ne voleva sapere di allinearsi. La mia amica aveva addirittura reimparato a fare le proiezioni ortoganali – fa la ricercatrice di lettere antiche, non la geometra – per dare una mano a quello splendido e debosciato ragazzo che tanto la faceva penare. A nulla valsero le litigate e le punizioni. Fu lui che qualche anno dopo, e ormai ben lontano dai banchi di scuola, rimise tutto a posto proprio tradendo ogni aspettativa materna e intraprendendo invece una bella e imprevedibile carriera come agrigelataio.
Ora la questione, filosofica, è: o la gente è crudele, se proprio i più cari affetti di fronte alle nostre peggiori esperienze di vita consigliano cretinate, oppure c’è della saggezza, e questo immancabile consiglio, dice qualcosa di vero proprio sul senso e il dolore di vivere. La verità è che nella vita è fondamentale accettare tanto le cose sgradevoli quanto quelle gradevoli, lasciando che gioia e dolore facciano il loro corso in eguale misura e ben sapendo che tutto è impermanente e, se osservato con gentilezza, illuminante.
Lasciare andare significa allora spostare l’attenzione dai contenuti e dagli eventi specifici della vita, alla vita in quanto tale, al suo incessante e impressionante flusso continuo di sorpresa e disallineamento tra le nostre aspettative e la realtà. Perché pare proprio che la vita scorra come un fiume, che abbia bisogno di un letto ampio e di spazio libero per la corrente, calma o impetuosa che sia. E più noi cerchiamo di costringere i flussi nelle sponde strette delle nostre aspettative più si rischiano esondazioni perdendo la magia di uno spettacolo infinito per il quale vale sempre la pena sedersi sulla riva, sorridere divertiti agli schizzi d’acqua e applaudire a piene mani.
[pubblicato su Confronti 10/2019]
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