di Nadia Angelucci. Giornalista e autrice.
Negli ultimi stiamo assistendo, in Sud America a dei grandi sommovimenti sociali e a spostamenti di equilibri. Ma, fra i tentativi di rovesciare l’ordine costituito e le varie resistenze, a chi giova il caos in questa parte di mondo?
L’aumento del prezzo del biglietto della metro scatena le proteste in Cile. L’Ecuador è scosso da settimane di manifestazioni e blocchi stradali in seguito all’aumento del prezzo del gas e del trasporto. In Bolivia i militari esercitano pressioni sul presidente per cedere il potere, e una presidente che non ha alcuna legittimità costituzionale si ritrova a governare e gestire una fase di transizione.
E ancora la Colombia, che protesta contro le politiche economiche del governo Duque, Haiti attraversata ormai da settimane da manifestazioni monumentali, e l’Honduras dove continua una ostinata resistenza dopo il golpe del 2009.
La tentazione di spiegare il caos analizzando in maniera puntuale la situazione di ogni paese e riportandola alla naturale dialettica politica c’è, ma è necessaria un’analisi più ampia che restituisca la complessità e proponga alcune linee comuni utili a orientarsi.
Il ciclo dei governi progressisti degli anni ‘90 e 2000, che hanno avuto l’enorme merito di ridurre in maniera drastica le disuguaglianze e la povertà, ha negli ultimi anni registrato una battuta d’arresto.
Il progressivo esaurirsi di queste esperienze si deve da una parte una compatta controffensiva geopolitica delle élite per riprendere il controllo su grandi settori dell’economia e sulla gestione delle materie prime, dall’altra alla crisi economica che ha colpito il prezzo delle commodities che avevano finanziato lo stato sociale e le riforme pubbliche, rivelando i limiti delle esperienze dei governi progressisti basati su un’economia radicata principalmente nell’estrattivismo e nell’agricoltura estensiva, e svelando la mancanza di coraggio nell’implementazione di politiche più radicali di cambiamento di modello e strutture.
Su tutto questo aleggia lo scontro per il controllo dei mercati e delle materie prime tra Stati Uniti e Cina. Un modello di penetrazione puramente commerciale quello scelto dalla Cina in America latina, con l’acquisto di azioni e partecipazioni in società latinoamericane e finanziamento a grandi progetti di investimento nei settori dell’energia, dei trasporti e di sviluppo regionale e al quale i governi progressisti hanno aderito per sganciarsi da un interlocutore commerciale unico rappresentato da sempre dall’asse Usa/ Gran Bretagna/Europa.
Un modello di penetrazione politica quello degli Stati Uniti, che hanno bisogno di ricollocarsi per controbilanciare la debolezza della loro posizione in Medio Oriente, Asia e Africa, e cercano di assicurarsi l’accesso ai propri interessi economici attraverso un controllo geopolitico dei territori.
La diffusione dei cosiddetti lawfare, golpe parlamentari, utilizzo di strumenti giudiziari accompagnati da un potente uso dei media, e impiegati come armi contro l’avversario politico è parte di questa strategia. Una tecnica che negli ultimi anni è riuscita a installare un’ondata di governi conservatori e ubbidienti alle regole del Washington consensus, caratterizzati dalla presenza di uomini “forti”, in realtà legati a classi dirigenti straniere, da una componente legata a una narrazione antisistema, e da un uso dell’antipolitica e dei mezzi di comunicazione come strumento di manipolazione.
A ciò si aggiunge una nuova saldatura tra religione e politica che sta spostando l’elettorato, in particolare le fasce più deboli, verso i partiti conservatori facendo leva sull’insicurezza e sulle precarie condizioni di vita di queste masse emarginate, con una retorica che si oppone a una modificazione dell’ordine patriarcale e alle conquiste degli ultimi anni in termini di diritti civili, sfruttando politicamente la potenza mediatica basata sui propri mezzi di comunicazione e una capacità economica basata sulle “decime” versate dai propri fedeli.
Una lettura olistica che voglia spiegare quale possa essere il fattore che determina il ritmo delle decisioni politiche in America latina non può non guardare nella direzione di quell’impulso alla frammentazione che sta colpendo, alternativamente, i vari protagonisti di queste vicende e fa sospettare che il soggetto sovrano, colui che muove i fili, sia un attore esterno, non necessariamente riconducibile a una nazione, ma economico e geopolitico, che trae vantaggio dalla divisione e dal caos.
[pubblicato su Confronti 01/2020]
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