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Hair Love

by Igiaba Scego

di Igiaba Scego. Scrittrice, ricercatrice e giornalista.

Per secoli considerato segno di arretratezza culturale e barbarie, il capello riccio, crespo – l’afro – è protagonista di un corto animato premiato agli Oscar, offrendo così uno spunto di riflessione sulla “politicità” del corpo.

Hair Love, un delizioso corto animato di Matthew A. Cherry sui capelli afro, ha vinto l’Oscar come The best short animation. Quando è successo io sono saltata letteralmente dalla sedia (sì, sono fra quelli che fanno nottata per seguire la notte degli Oscar) per la contentezza. È un film che ogni donna nera, grande o piccola, africana o della diaspora, ha apprezzato. Perché dei nostri capelli è raro che si parli e quando lo si fa è per denigrarli.

Il crespo, riccio – l’afro insomma – per secoli è stato considerato segno di arretratezza culturale e barbarie. Il crespo era sospetto, era il segno delle schiave, qualcosa da rigettare e mettere all’angolo. Così quando le donne e gli uomini neri si sono liberati dalla schiavitù, ma – ahimè – non dalla segregazione e dai linciaggi, i capelli sono stati le vittime sacrificali di un rito di cancellazione progressiva di orgoglio e identità.

La società diceva alle comunità nere sia in America sia in Africa che i capelli erano brutti, non a norma, pericolosi. E chi voleva entrare in un consesso civile doveva cominciare dai capelli ad annullarsi, a diventare più simile ai bianchi. Così per secoli, decenni, anni, mesi, giorni le comunità nere hanno cominciato ad allisciarsi i capelli in modi sempre più violenti per la cute e per la dignità.

Io ancora ricordo cosa faceva mia cognata alla piccola figlia S., ricordo la puzza di bruciato e quell’odore di acido che asfissiava. Poi mia cognata si è pentita di aver fatto fare quegli allisciamenti così violenti alla figlia, ma è così che le avevano insegnato a essere bella. Le dicevano frasi come «Mettiti in ordine. Non devi assomigliare ad una scimmia!». E questo odio per i capelli è stato interiorizzato dalle comunità nere. Questa inadeguatezza davanti ad un mondo considerato a torto civilizzato, moderno, metropolitano, aveva proprio nei capelli il diavolo da esorcizzare.

È molto significativa in questo senso la scena in cui Malcolm X, che ancora non era diventato un’attivista per i diritti civili, si descrive nel suo diario da giovane mentre si alliscia i capelli con la liscivia.

Anche lì immagino la puzza di bruciato e l’odore penetrante che ha soffocato la personalità di un giovane Malcolm non ancora conscio della sua lotta.

Ma è proprio dalla consapevolezza che quella violenza fatta al proprio corpo non era altro che la violenza che il sistema infliggeva ai corpi dei neri, che Malcolm inizierà a diventare Malcolm.

I capelli quindi hanno sofferto insieme al nostro corpo nero. Ecco perché parlare di capelli è sempre un fatto politico per le nere e per i neri. E non è un caso che i capelli afro tornano ad essere accettati grazie ai movimenti per i diritti civili, perché tra i tanti diritti c’era e c’è anche il diritto al proprio corpo. Sempre di più oggi le donne afrodiscendenti stanno prendendo consapevolezza che black is beautiful, e molte hanno smesso di violentare i capelli con gli acidi.

Molte donne sono in transition come mostra un video fortunato di Zina Saro Wiwa dove lei decide di fare il big chop, ovvero il taglio rasato, per poter abbandonare i capelli trattati con sostanze alliscianti e tornare al proprio riccio naturale. Ancora non tutti sono pronti ad accettarsi. E anche le conseguenze dei metodi violenti, non solo le creme alliscianti ma anche braid troppo strette portate per troppo tempo, spesso vengono nascoste.

Recentemente il black is beautiful ha aggiunto un altro tassello alla lotta per la dignità dei capelli afro. La congresswoman Ayana Pressley infatti ha confessato davanti alle telecamere la sua alopecia. Infatti per molte donne nere dopo trattamenti violenti succede che i capelli se ne vadano via. Pressley mostrando il suo cranio libero dai capelli ha infranto un tabù importante per le comunità nere: amatevi per come siete e si può parlare anche di assenza di capelli.

Nessuna donna nera aveva avuto il coraggio prima di Ayana Pressley di mettere al centro il dolore che le pratiche sui capelli nascondono. Di fatto il suo gesto ci vuol dire che essere se stessi è forse l’unica cosa che conta. Il corpo quindi in questo senso è sempre politico.

[pubblicato su Confronti 03/2020]

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