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Mediterraneo frontiera di pace

di Luigi Sandri

di Luigi Sandri. Redazione Confronti.

Mediterraneo frontiera di pace, questo il logo dell’Incontro di riflessione e spiritualità promosso e organizzato a Bari dalla Conferenza episcopale italiana dal 19 al 23 febbraio. All’iniziativa hanno partecipato sessanta vescovi di una ventina di paesi rivieraschi del Mediterraneo, del nord e del sud: quindi europei, africani e medio-orientali. All’ultima giornata ha partecipato Francesco.

Nei suoi discorsi, anche a braccio, il papa ha toccato vari temi. «A me – ha detto – fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismi. Seminano la paura e l’odio e mi fa venire in mente quello che accadeva nella decade degli anni Trenta del secolo scorso». Si è poi riferito, senza citarlo espressamente, al Deal of the century [l’affare del secolo] di Donald Trump – reso noto il 28 gennaio – esprimendo preoccupazione per «il pericolo di soluzioni non eque, e quindi foriere di nuove crisi» rispetto al conflitto tra israeliani e palestinesi che, invece, il presidente statunitense vorrebbe risolvere con proposte del tutto favorevoli ad Israele. E poi: «La retorica dello scontro di civiltà serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio. L’inadempienza o, comunque, la debolezza della politica e il settarismo sono cause di radicalismi e terrorismo. La comunità internazionale si è fermata agli interventi militari, mentre dovrebbe costruire istituzioni che garantiscano uguali opportunità e luoghi nei quali i cittadini  abbiano la possibilità di farsi carico del bene comune».

Poi, parlando di migranti, il papa rileva: «Certo, l’accoglienza e una dignitosa integrazione sono tappe di un processo non facile; tuttavia, è impensabile poterlo affrontare innalzando muri».

Quindi, tornando alla bruciante attualità: «Mentre siamo riuniti qui a pregare e a riflettere sulla pace e sulle sorti dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, sull’altra sponda di questo mare, in particolare nel nord-ovest della Siria, si consuma un’immane tragedia. Dai nostri cuori di pastori si eleva un forte appello agli attori coinvolti e alla comunità internazionale, perché taccia il frastuono delle armi e si ascolti il pianto dei piccoli e degli indifesi; perché si mettano da parte i calcoli e gli interessi per salvaguardare le vite dei civili e dei tanti bambini innocenti che ne pagano le conseguenze». Il riferimento è alla zona di Idlid, dove migliaia e migliaia di civili sono intrappolati e rischiano la vita a casa dello scontro in atto, là, tra i guerriglieri islamici protetti dalla Turchia e gli attaccanti siriani aiutati dai russi. Il leader di Ankara, Recep Tayyip Erdogan, non vuol assolutamente che nella zona si formi una qualche area autonoma curda, che potrebbe unirsi ai curdi turchi.

Da parte sua, il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha sottolineato l’importanza  del Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi dal papa e da Ahmad Al-Tayyip, grande imam di al-Ahzar – il più importante centro culturale del mondo sunnita, che si trova al Cairo. Esso, ha detto il porporato, ci aiuta a sbriciolare pregiudizi e diffidenze.

Infine, monsignor Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del patriarcato latino di Gerusalemme, di fronte al papa ha sintetizzato attorno a tre parole – ascolto, esperienze, prospettive – le idee emerse nell’Incontro:

«Beatissimo Padre, questi tre giorni di riflessione e preghiera sono stati una bella esperienza di Chiesa, che ci ha avvicinati l’uno all’altro più concretamente. Ci siamo ascoltati e, soprattutto, ascoltato il grido che viene dai territori della sponda sud del Mare Nostrum; ci siamo scambiati esperienze e proposte e, infine, ci siamo dati alcune prospettive».

«Ascolto. Per prima cosa abbiamo voluto ascoltare la realtà nella quale siamo calati. Il Mediterraneo da secoli è al centro di scambi culturali, commerciali e religiosi di ogni tipo, ma è anche stato teatro di guerre, conflitti e divisioni politiche e anche religiose. Nel presente, anziché diminuire, tutto ciò sembra aumentare. Guerre commerciali, fame di energia, disuguaglianze economiche e sociali hanno reso questo bacino centro di interessi enormi. Il destino di intere popolazioni è asservito all’interesse di pochi, causando violenze che sono funzionali a modelli di sviluppo creati e sostenuti in gran parte dall’Occidente. Nel passato anche le Chiese – basti pensare al periodo coloniale – sono state funzionali a tale modello. Oggi desideriamo chiedere perdono, in particolare, per aver consegnato ai giovani un mondo ferito. Le nostre Chiese del Nord Africa e del Medio Oriente sono quelle che pagano il prezzo più alto. Decimate nei numeri, rimaste piccola minoranza, non sono però Chiese rinunciatarie. Al contrario, hanno ritrovato l’essenziale della fede e della testimonianza cristiana. Sono comunità che anche a fronte di enormi difficoltà e addirittura di persecuzioni, sono rimaste fedeli a Cristo. La “via della croce” è propria dell’esperienza delle Chiese del Mediterraneo. Al riguardo, pensiamo in particolare al destino di migliaia di migranti, che fuggono da situazioni di persecuzione e di povertà e che hanno cambiato il volto di molte delle nostre Chiese.  Le Chiese del Medio Oriente e del Nord Africa hanno più volte ribadito che non hanno bisogno solo di aiuti economici, ma innanzitutto di solidarietà, di sentirsi ascoltate, che qualcuno faccia propria la loro difficile realtà, dove però vi è anche la luce di tante testimonianze di fedeltà e di solidarietà umana e cristiana».

«Esperienze e proposte. Cosa fare dunque, come Chiese, di fronte a tutto ciò? Se gli attuali modelli di sviluppo assoggettano la persona umana al consumo e alla violenza, le nostre comunità non smettono di costruire vie diverse, alternative, di pace, sviluppo e crescita; vie che sono testimonianza del nostro stile cristiano di stare dentro la realtà; vie che pongono al centro la persona: nelle scuole, negli ospedali, nelle innumerevoli iniziative di solidarietà e di vicinanza ai poveri. Il dialogo è l’altra forma di espressione della nostra vita ecclesiale. Attraverso il dialogo ecumenico tra le Chiese ci impegniamo a organizzare stabilmente preghiere comuni per la pace; a istituire, laddove non esistano, comitati interreligiosi soprattutto con i credenti musulmani, per realizzare insieme opere di solidarietà e condivisione. Vogliamo fare crescere e trasformare in esperienza, la fratellanza e la solidarietà umana. Questa prospettiva comporta anche la parresia, cioè la franchezza della denuncia del male che causa la povertà e crea situazioni strutturali di ingiustizia. In un contesto spesso ricco di manipolazioni, le nostre Chiese desiderano diventare un’unica voce profetica di verità e di libertà».

«Prospettive. Abbiamo insistito, infine, nel rafforzare iniziative di conoscenza reciproca, anche agevolando gemellaggi di diocesi e parrocchie, scambio di sacerdoti, esperienze di seminaristi, forme di volontariato. “Venite e vedete” è stato il nostro motto. Finora, forse si è molto “parlato sulle Chiese e le loro realtà”. Ora bisogna passare al “parlare con le Chiese e le loro realtà”. L’ospitalità, che è tipica della cultura mediterranea, deve iniziare innanzitutto tra noi. In una realtà complessa e articolata come quella mediterranea, intendiamo farci carico delle sue contraddizioni, imparando e insegnando a viverla con speranza cristiana. Siamo solo all’inizio di un percorso che sarà lungo, ma certamente avvincente. Per questo abbiamo deciso di continuare a incontrarci, stabilmente, per poter poco alla volta, nei tempi che il Signore ci indicherà, costruire un percorso comune costruire un percorso comune dove far crescere nei nostri contesti feriti e lacerati una cultura di pace e comunione».

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