di Samuele Pigoni. Direttore della Fondazione Time2. Si occupa di management, progettazione sociale e filosofia.
Da qualche tempo mi occupo di “design strategico”, cioè di individuare gli obiettivi di un certo settore di attività, nonché i modi, i mezzi e le risorse più opportune per raggiungerli.
Avendo la passione della filosofia intesa come stile di vita, applicata cioè al buon uso della vita, mi sono chiesto: un atteggiamento mentale di tipo strategico può essere utile a levarci d’impiccio quando la situazione si fa dura? Nelle difficoltà della vita, cosa vuol dire avere una “strategia”?
A questo proposito mi è tornato in mente il caso di un tale conosciuto una sera a cena da amici. Era un ingegnere, era appena stato lasciato dalla moglie, e versava in uno stato di comprensibile disperazione. Tuttavia, forse proprio perché era un ingegnere, non si dava pace per il fatto di non avere sul proprio dolore una presa che non fosse riconducibile ad una forma di controllo e calcolo. Smanettando su internet alla ricerca di informazioni sulla fisiologia del dolore d’amore si era quindi imbattuto nel servizio online di uno psicologo che non solo descriveva perfettamente il baratro nel quale era finito, ma offriva anche la soluzione definitiva per uscirne: riconquistare Lei. Tipo: «Lei è tua! Riconquistala grazie alla Strategia delle 5 mosse!» (non ricordo ma probabilmente era una strategia delle cinque P, o S, o T, o una qualche altra consonante).
Quella sera si era mangiato molto, bevuto bene, e la discussione non aveva faticato a librarsi sulla tavolata, densa delle reazioni suscitate dall’intenzione del tale di intraprendere il miracoloso programma dello psicologo (prima un “videino” gratis ma poi, consonante dopo consonante, a pagamento).
La prima questione su cui la tavolata si trovò a discutere era la seguente: come si può pensare che esista un modello valido, sempre e comunque, per risolvere un problema d’amore? Le persone non sono prevedibili e la natura dei sentimenti e delle relazioni non può essere governata con dispositivi o meccanismi lineari che ne assicurino controllo e stabilità. Le interazioni affettive non possono essere ridotte a meccanismi tipo i termostati, pronti all’uso e capaci di mantenere il sistema in costante equilibrio. A volte l’equilibrio salta del tutto, il termostato si inceppa, e avere una strategia significa innanzitutto mettersi in ascolto di quanto di nuovo e sconosciuto c’è nelle circostanze specifiche della situazione che stiamo fronteggiando.
Un’altra questione che aveva suscitato animosità era l’idea implicita nel programma dello psicologo che ci sono strategie capaci di assicurare con certezza il risultato aspettato, il nuovo equilibrio tanto agognato. Nulla di così lontano, arrivammo a dire, da un atteggiamento autenticamente strategico: ogni situazione di vita porta con sé qualche elemento di inevitabilità tale per cui è strategico sapersi muovere nell’incertezza e imprevedibilità dei risultati attesi. Altrimenti, se ogni vincolo fosse evitabile e dunque manipolabile, certamente ogni intervento sarebbe prevedibile nei suoi risultati, ma – vien da dire – di cosa staremmo parlando? Le crisi non sarebbero crisi e i cambiamenti non sarebbero cambiamenti.
La serata volgeva al termine, gli animi erano ormai surriscaldati e la stanza era densa di parole e teorie quando qualcuno si alzò in piedi, si appoggiò enfaticamente al tavolo e parlò all’ingegnere, guardandolo direttamente e con intensità nelle palle degli occhi: se, come avevamo detto, era vero che i sistemi umani sono complessi, instabili e imprevedibili, e che quindi una strategia non può essere valida in ogni circostanza e certa di raggiungere il risultato previsto, e se era vero che ogni cambiamento implica la ricerca di nuovi equilibri, allora, caro ingegnere, era indiscutibilmente vero che ogni strategia ha a che vedere più con la rinuncia che con la conquista, più con il vuoto che con il pieno, più con l’ascolto che con la parola, più con il silenzio che con il rumore. Come ci ricorda Francois Jullien quando dice che «lo stratega, così come il saggio, non agisce ma trasforma» (Pensare l’efficacia in Cina e in Occidente, Laterza 2005), una vera strategia trae il risultato voluto dal potenziale insito nella situazione e non da un piano elaborato in astratto al quale tentare di uniformare i gesti, dalla lettura attentissima del contesto e non dalla separazione in mezzi e fini, dall’adesione all’incessante trasformazione del reale e non dallo strenuo sforzo di modificazione dello stesso.
Calò, effettivamente, un certo silenzio. Ormai l’ingegnere era spettinato, stanco e vinto. Non poté fare altro che ammettere che sì, aveva cambiato idea e che no, non avrebbe contattato quello psicologo: aveva capito che una strategia utile a fronteggiare il caos della vita, più che a un qualche programma delle “cinque consonanti”, è simile a una cena tra amici durante la quale, nella caciara del cibo e del vino buoni, saltano fuori pensieri divergenti e in grado di accompagnarti nell’atto più coraggioso che c’è: cambiare e trasformarti sapendo di poter controllare assai poco come andrà a finire.
[pubblicato su Confronti 03/2020]
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