di Gaetano De Monte. Giornalista
Dopo le rivolte dei detenuti avvenute nelle scorse settimane, richieste di trasparenza giungono da parte delle associazioni come Antigone, e del deputato dei Radicali, Riccardo Magi, che ha presentato una interpellanza al Ministro della Giustizia, mentre la situazione delle carceri è ancora potenzialmente esplosiva in tutto il Paese.
Erial Ahmadi, 37 anni. Alì Bakili, di anni 52. Agrebi Slim e Ben Masmia Lofti, entrambi 40 anni di età. Hafedh Couchane, 36 anni. Deceduti tutti il 9 marzo all’interno del carcere Sant’Anna di Modena. Ante Culic, Marco Boattini e Carlo Samir Perez Alvarez di anni, invece, ne avevano rispettivamente 41 e 28, e sono morti il giorno dopo all’interno del penitenziario di Rieti. Ai loro decessi si sono aggiunti lo stesso giorno quello di Kedri Haitem, di 29 anni, al Dozza di Bologna. E le morti di altri 4 detenuti, Hadidi Gazi, Artur Iuzu, Salvatore Cuono Piscitelli, infine, Abdellah Rouan, di età compresa tra i 35 e i 40 anni, spirati in altri carceri dove erano stati trasferiti il giorno precedente dal Sant’Anna di Modena, in seguito alle rivolte che da Nord a Sud erano scoppiate in tutto il Paese in un solo weekend in più di venti penitenziari italiani.
I nomi di quei detenuti deceduti sono stati resi noti soltanto qualche giorno dopo, i quali da subito, fin dalle prime ore erano stati classificati tutti come decessi per overdose. Ipotesi che in alcuni casi le autopsie avevano poi confermato. E, tuttavia, alcune di questi morti restano ancora per «cause da accertare», secondo il centro studi di Padova Ristretti Orizzonti che da più di vent’anni fotografa la situazione carceraria italiana; aggiornando, tra le altre cose, quasi quotidianamente, il triste bollettino dei suicidi e delle morti, spesso per «cause da accertare».
Gli ultimi dati diffusi e risalenti al 4 Aprile raccontano che dall’inizio dell’anno i suicidi sono stati già quindici, un terzo del totale dei decessi avvenuti quest’anno in carcere. A volte, restano per «cause ancora da chiarire», come è la morte di Ziad Dzhihad Krizh, deceduto a 22 anni, lo scorso 15 marzo, nel carcere di Udine, e sulla cui tragedia l’ex sottosegretario alla giustizia Franco Corleone ha chiesto di far luce, denunciando «il silenzio allarmante». «Altro che carcere trasparente; l’omertà è davvero il tratto distintivo di questo disgraziato Paese», ha ribadito Corleone. Già, la trasparenza, spesso di chi sceglie di togliersi la vita in cella non vengono diffusi per scelta dell’amministrazione penitenziaria neppure i nomi. E allora si sa ad esempio che lo scorso 15 marzo un detenuto di 53 anni che si trovava nel carcere di Portoferraio, all’isola d’Elba, «si sarebbe tolto la vita inalando il gas di una bomboletta in dotazione per scaldare cibi e bevande». Oppure che soltanto quattro giorni fa, il 2 aprile: «un detenuto si è tolto la vita nel carcere di Cavadonna, a Siracusa, impiccandosi nella sua cella». Intanto, come è stato riferito all’agenzia Ansa da Antonietta Fiorillo, presidente del tribunale di Sorveglianza di Bologna: «il primo aprile è morto all’ospedale di Sant’Orsola di Bologna il primo detenuto positivo al Covid-19. Si tratta di un uomo di 76 anni, Vincenzo Sucato, affetto da altre patologie». Alla stessa agenzia, il garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, ha poi riferito che: «altri due detenuti del carcere di Bologna sono positivi al Covid-19 e sono in isolamento. Ed è positivo anche un agente della Polizia penitenziaria dello stesso istituto».
A questo contagio si è aggiunto nelle ultime ore quello di un uomo risultato positivo all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere, che, come ha riferito il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella: «ci dà l’idea di quanto sia complicato gestire casi di positività al Covid-19 negli istituti di pena. In questo momento siamo fortemente preoccupati e ci auguriamo che vengano prese tutte le misure per isolare i detenuti e il personale penitenziario (poliziotti e operatori) che è stato a contatto con l’uomo, allo scopo di garantire la tutela della salute», ha aggiunto Gonnella.
Fatti, questi, che hanno riacceso il dibattito sul rischio concreto di diffusione dell’epidemia del Covid-19 nelle carceri italiane, e con lo stesso Procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, che attraverso una nota inviata a tutti i Procuratori generali delle Corti d’Appello ha ricordato: «nel nostro sistema il carcere costituisce l’extrema ratio», e dunque, «mai come in questo periodo in carcere devono rimanerci solo chi è pericoloso o ha commesso reati particolarmente gravi», ha scritto così il Procuratore generale della Cassazione nella nota, ribadendo la necessità di «incentivare la decisione di misure alternative idonee ad alleggerire la pressione dalle presenze non necessarie in carcere». Parole coraggiose, quelle dell’alto magistrato, che hanno scatenato da subito le reazioni di chi ritiene che dietro la rivolta delle scorse settimane ci sia l’ombra delle mafie.
Mentre nelle ultime ore proprio su quei fatti e sul possibile contagio da Covid-19 nelle carceri torna a chiedere trasparenza allo Stato il deputato Riccardo Magi [+Europa], il quale avanza un duro attacco al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, accusato di: «aver messo in campo misure totalmente insufficienti sulle carceri nell’emergenza Covid-19». Di più: «a distanza di settimane mancano ancora ricostruzioni complete riguardo la morte di 13 detenuti a seguito delle rivolte avvenute in tutta Italia», attacca Magi in una interpellanza che ha presentato due giorni fa al Ministro della Giustizia, in cui riferisce di detenuti che sarebbero stati pestati dopo le rivolte. Non solo. Il deputato dei Radicali ha chiesto al Ministro di conoscere al più presto «quali siano le cause della morte per ognuna delle 13 persone decedute, come accertate dalle autopsie, e nello specifico, ove dovute all’assunzione di farmaci, quali farmaci siano stati assunti e se fossero opportunamente custoditi». E, tra le altre cose, «quante morti siano avvenute nei luoghi della protesta e quante durante o a seguito delle traduzioni ad altro carcere, dettagliando luoghi, circostanze e tempistica».
Dunque, di sapere cosa sta accadendo nei penitenziari italiani al tempo della grande epidemia, come del resto ha chiesto alla Procura di Milano l’avvocato Eugenio Losco che ha depositato qualche giorno fa un esposto chiedendo di far luce su alcuni abusi e violenze che sarebbero avvenuti all’interno del carcere milanese di Opera.
Chiarezza e trasparenza, quindi, le stesse che chiedono all’istituzione penitenziaria, da diversi anni dall’associazione Antigone; nodo importante di tutela e di garanzie a cui continuano ad essere segnalati, in questi giorni, «casi di violenze e ritorsioni avvenute, secondo quanto riportato, da parte della polizia penitenziaria in alcuni degli istituti che sono stati coinvolti nelle rivolte».