di Sara Gomel. Dottoressa in filosofia, si occupa di filosofia per bambini e didattica museale.
«Sì, pronto, chi è?»
«Buongiorno Gaia, sono Libellula, l’elfo racconta storie. Ho in consegna per sua figlia una favola filosofica! Mi sente? Bene, allora comincio: “c’era una volta…”».
Altra casa, altro giro di telefonate.
«Pronto?»
«Buongiorno! Qui parla il Signor Pensiero. Cerco un bambino chiamato Luca, è da quelle parti?». Ancora una chiamata, il telefono squilla più volte. Dopo vari giri a vuoto, qualcuno risponde.
«Buonasera Signora Gianna, sono Morgana. Suo nipote mi ha chiesto di regalarle una storia, tutta per lei. Che dice, le va di ascoltarla? È un buon momento?».
E la voce comincia a raccontare, mentre dall’altra parte del telefono qualcuno ascolta.
È da quasi un mese, più o meno dall’inizio del periodo di isolamento, che l’associazione bolognese Filò – Il filo del pensiero, di cui faccio parte, chiama bambini, adulti e anziani di tutt’Italia per tenere compagnia con il progetto Favole filosofiche al telefono.
Nella nostra vita di tutti i giorni siamo un gruppo di giovani filosofi che provano a portare la filosofia in spazi e luoghi inconsueti: scuole di ogni ordine e grado, cinema, teatri, festival, musei. Alcuni di noi hanno alle spalle un inizio di percorso accademico, altri una lunga esperienza educativa o di insegnamento. La nostra associazione è nata da un progetto di ricerca interdipartimentale dell’Università di Bologna, tra i dipartimenti di filosofia e pedagogia: l’idea era quella di esplorare i modi di far vivere la filosofia, intesa come ricerca attiva ed esperienza di comunità, e non soltanto come studio individuale o specializzato.
Abbiamo portato i nostri laboratori nelle scuole elementari e medie dell’Emilia-Romagna, oltre che negli istituti tecnici e professionali, lì dove la filosofia non è materia curricolare.
Quello che ogni volta che entriamo in classe ci stupisce, sono la quantità e la qualità delle domande che ogni bambino o ragazzo porta con sé. Il primo incontro verte tutto sulle loro domande, che spesso si ripetono in modo sorprendente: qual è il senso della vita? cosa c’è dopo la morte? perché siamo tutti diversi? Dio esiste? perché sogniamo?
Sembra quasi orchestrato: bambini diversi, stesse domande.
Forti di queste esperienze, non appena abbiamo saputo che i nostri progetti nelle scuole erano sospesi, abbiamo deciso di provare a continuare, in modo diverso. L’idea viene a una nostra tirocinante, una ragazza sognatrice, e ci convince subito: non volevamo aggiungere contenuti online alle centinaia di video già presenti sul web, né parlare a una massa indistinta di bambini, con cui non avevamo modo di dialogare per davvero.
Una persona ci scrive, e uno dei nostri meravigliosi volontari richiama, consegnando ogni volta una favola adatta all’età di chi ci ascolta, che sia un bambino, un adolescente o un nonno rimasto solo a casa.
La favola è, per l’appunto, filosofica: si potrebbe forse dire che tutte le favole lo sono, perché se una favola è buona lascia una traccia invisibile ma profonda, fatta di dubbi e pensieri che ci accompagnano nei giorni successivi. Spesso le nostre favole – alcune fanno parte del repertorio classico, come quelle di Ermanno Bencivenga, altre sono scritte da noi – finiscono con una domanda: non una chiusura, ma uno spazio lasciato aperto per chi, dall’altra parte del telefono, pensa e immagina con noi.
Alcuni dei nostri ascoltatori sono timidi, e ci congedano in silenzio. Altri ragionano, fanno domande, esercitano da subito quella traccia che già si è iscritta in loro. Altri ancora, soprattutto i più anziani, colgono l’occasione per fare due chiacchiere, raccontare le loro giornate ma soprattutto i pensieri che spesso li tengono prigionieri: la paura, la solitudine, la nostalgia. C’è chi piange, ma anche chi ride. I bambini ci chiedono di chiamarli di nuovo, disegnano, si divertono. Insomma, le nostre telefonate sono delle piccole incursioni nel mondo variopinto, allegro, sofferto, e in fin dei conti profondamente umano di questa quarantena.
«Perché proprio le favole?» ci hanno chiesto alcuni. «I filosofi non raccontano favole, si sa: cercano il vero, il bene e il giusto». Questa frase non detta è molto spesso il sotto testo di uno dei pregiudizi più inscalfibili sulla figura del filosofo, che alcuni immaginano come un gran giocoliere di parole, un sofista, o come un erudito o un sapiente distaccato dagli eventi del mondo.
Noi siamo convinti invece che la filosofia viva di occasioni, di incontri e che, anche quando è intrapresa con rigore, possa suscitare interesse in persone di tutte le età, più o meno familiari con la disciplina.
Le favole sono meno brusche delle tradizionali forme del pensiero filosofico: interrompono la noia, ci riportano all’infanzia, sono scintille nella routine sempre uguale di questi giorni. A volte, con un’esattezza che ormai è quasi possibile prevedere, le scintille ci vengono restituite, e il filosofo giova dell’esperienza tanto quanto il destinatario.
Un giorno si parla di cambiamento, e il Signor Pensiero racconta a un bambino una favola di un bruco che si trasforma in farfalla, in modo tanto imprevisto quanto spaventoso.
«Secondo te R., solo i bruchi cambiano o anche le persone?»
«Anche le persone!»
«E qual è allora la differenza fra bruchi e persone?»
«I bruchi cambiano dentro il bozzolo, le persone dentro casa!»
«E secondo te cambiare è bello?»
«Dipende quanto cambiamo e se ci è mai successo” – risponde R. intuendo, a soli 8 anni, che l’esperienza di vita già fa la sua parte.
Poi altro giro di chiamate: stessa favola, bambino diverso.
«Abbiamo visto che l’animale prima era bruco e ora è farfalla, allora chi è realmente?» – chiede il filosofo a L. di sette anni. Lui esita un secondo; prima dice farfalla, ma poi, ricordandosi che prima era anche bruco ci ripensa. Al terzo tentativo del quesito, il colpo di genio:
«È un FARFABRUCO!»
Applausi alla soluzione. Ma poi viene il tempo di trasporre il discorso sul cambiamento che più ci riguarda: quello umano.
«Tu cambi, ti è mai capitato di cambiare?»
«Sì, da neonato divento graaande!»
«E quando tu cambi da bambino a grandicello, chi sei tu allora?»
Cinque secondi di silenzio.
«UN FARFABIMBO!» – ribatte.
Qui al filosofo scappa una risata.
«Bravissimo L. mi piace un sacco questo nome! Sei anche tu un farfabimbo L. allora?»
«Sì, o anche un BRUCOBAMBO!».
E così, tra simpatiche conversazioni, i filosofi e gli ascolta-storie escono insieme dal loro bozzolo, e per un attimo, anche tra gli stretti muri di casa, ci pare per davvero di volare.
(Il dialogo qui sopra è stato riportato da Giorgio Cuconato)
Per ricevere la tua storia o regalarla, scrivici a filo@filoedu.com indicando il nome, l’età, il numero di telefono e la fascia oraria in cui vuoi essere richiamato. Vi richiameremo nel giro di qualche giorno per consegnarvi la vostra personale favola filosofica!