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L’eruzione della società civile

by Neera Chandhoke

di Neera Chandhoke. Saggista, già Prof.ssa di Scienze politiche alla Delhi University (India).

Dopo le elezioni del 2019 il Bharatiya Janata Party ha iniziato a promulgare una serie di leggi terribili a suon di maggioranza in Parlamento. In particolare, in seguito alla modifica della Legge di cittadinanza (Caa) per la quale l’appartenenza religiosa è dirimente per ottenere la cittadinanza, molte le proteste sollevatesi in tutto il Paese.

Il ritorno del Bharatiya Janata Party nelle elezioni generali indiane del 2019 ha avuto conseguenze preoccupanti. Il Bjp si è rapidamente liberato dell’immagine di “buon governo” che il Primo ministro Modi aveva così tanto pubblicizzato durante il suo primo mandato e ha iniziato a promulgare una serie di leggi terribili a suon di maggioranza in Parlamento.

INDIA, “DEMORAZIA IMPERFETTA”
I politici dell’opposizione sono stati messi in minoranza e i partiti regionali, preoccupati di proteggere i loro feudi, si sono semplicemente allineati. Il disegno di legge che è stato presentato e approvato dal Parlamento dal 5 al 7 agosto 2019 ha privato lo Stato di Jammu e Kashmir dello statuto speciale sancito dalla Costituzione. Di fatto, tale legge ha anche smembrato lo Stato dividendolo in due Territori [che a differenza degli Stati, dipendono direttamente dal Governo centrale]. Di conseguenza, non è più uno Stato membro dell’Unione indiana, ma retrocesso a Territorio dell’Unione. Da allora, i politici più importanti di questo Stato sono stati messi agli arresti domiciliari, dove si trovano ancora oggi. Inoltre è stato disposto il blocco totale di internet, tutt’ora in vigore.

Secondo il Global Democracy Index 2017 pubblicato nel gennaio 2018, l’India è passata dal 32° al 42° posto della classifica. Questo declino, afferma il rapporto, è dovuto all’aumento delle ideologie religiose conservatrici in un Paese altrimenti laico, all’aumento dei vigilantes, all’incremento dell’uso della violenza contro le minoranze (in particolare i musulmani), e contro le voci dissidenti. I media sono liberi solo in parte, i giornalisti devono temere ritorsioni da parte del Governo, dei militari, di attori non governativi e gruppi radicali. Tale minaccia ha effetti pesanti sulla capacità di copertura dei media.

L’India è diventata un posto più pericoloso per i giornalisti, soprattutto nello Stato di Chhattisgarh (nel Centro del Paese) e in ciò che era al Nord lo Stato di Jammu e Kashmir. Le autorità di questi Stati hanno limitato la libertà di stampa, chiuso diversi giornali e i servizi internet mobili sono fortemente controllati. Il rapporto colloca l’India nella categoria delle “democrazie imperfette”.

Nel rapporto pubblicato nel 2019 relativo al 2018 l’India era salita di una posizione, passando dal 42° al 41° posto. Nel rapporto reso pubblico il 23 gennaio 2020, l’India è scivolata indietro di dieci posizioni rispetto alla classifica del 2019, stabilizzandosi al 51° posto. Il rapporto attribuisce la causa primaria della regressione democratica all’erosione delle libertà civili nel Paese. Il rapporto si concentrava sull’abrogazione degli articoli 370 e 35a nel Kashmir, lo spiegamento di un gran numero di truppe nel Jammu e Kashmir, l’arresto di esponenti politici, il giro di vite sull’accesso a internet e altre misure “di sicurezza” che di fatto hanno sospeso le libertà civili nello Stato.

L’applicazione del Registro nazionale dei cittadini (Nrc) in Assam ha portato a identificare 1,9 milioni di individui come “non cittadini”.

Soprattutto la nuova modifica alla legge di cittadinanza (Caa) che vincola l’acquisizione della cittadinanza da parte dei rifugiati a questioni religiose (privilegiando, di fatto, i non-musulmani), ha suscitato il timore di un gran numero di cittadini musulmani, alimentato le tensioni e portato a proteste in tutto il Paese. Per questi motivi, l’India continua a essere classificata come “democrazia imperfetta”.

LA MODIFICA ALLA LEGGE DI CITTADINANZA
Nel dicembre 2019 il Governo è andato avanti a testa bassa sulla modifica alla Legge di cittadinanza (Caa) in entrambe le camere del Parlamento. La legge prevede un percorso di concessione accelerata della cittadinanza ai rifugiati provenienti da tre stati a maggioranza islamica quali Pakistan, Afghanistan e Bangladesh. L’accesso alla cittadinanza sarà riservato a hindu, sikh, giainisti, buddisti e cristiani, mentre i musulmani ne sono esclusi. Introdurre l’appartenenza religiosa come criterio per ottenere la cittadinanza è discriminatorio e pericoloso. I media, in teoria i “cani da guardia” di una società civile democratica, sono rimasti in silenzio. Ma la società civile è comunque esplosa.

PROTESTE E REPRESSIONE
A metà dicembre 2019 gli studenti della Jamia Milia Islamia, un’università di Nuova Delhi, sono usciti in gran numero per protestare contro la modifica della Legge costituzionale. Il corteo ha marciato per le strade di un quartiere della borgesia medio-alta di Delhi sud, con studenti che portavano striscioni che respingevano il Caa chiedendo il ritiro della legge che collegava i diritti di cittadinanza alla religione. La polizia ha attaccato il corteo degli studenti e sparato a due di loro, è entrata nell’università, vandalizzando la biblioteca e picchiando i giovani che erano nella sala lettura e nei bagni. Alcuni studenti sono rimasti feriti, la biblioteca è stata saccheggiata e il campus è stato distrutto. Le violenze contro gli studenti hanno scatenato una catena di proteste da parte dei colleghi di altre università e cittadini nel resto del Paese.

Migliaia di cittadini, e in particolare studenti universitari in tutto il Paese, hanno marciato e manifestato contro il trattamento disumano riservato agli studenti della Jamia Milia e Aligarh Muslim University dalla polizia e dall’amministrazione. L’obiettivo delle grandi manifestazioni, che hanno sorpreso tutti e in particolare il Governo, è stato quello di sostenere la Costituzione e opporsi alla divisione del Paese su base religiosa. Le letture pubbliche del preambolo alla Costituzione hanno cambiato la percezione della Costituzione: da documento legislativo a un testo fondativo della democrazia. Le proteste studentesche sono state straordinariamente creative e fantasiose. Cantando canzoni rivoluzionarie, i giovani portavano cartelli che esprimevano la loro determinazione a non consentire l’attuazione del Registro nazionale dei cittadini proposto nel loro Paese. Le donne hanno manifestato in molte parti dell’India e i sit-in delle donne a Shaheen Bagh a Delhi sud, durati oltre novanta giorni, sono diventati uno dei simboli delle protesta contro le violazioni della Costituzione. I bambini si sono dipinti la bandiera nazionale sulle guance, e sono stati messi in scena spettacoli sullo sfondo dei ritratti di icone nazionali quali Gandhi, Ambedkar e Bhagat Singh [rivoluzionario indiano, impiccato dagli inglesi nel 1931].

Le scene fotografate sui giornali e riportate dai canali televisivi indicavano la natura democratica della protesta. Fra le immagini più evocative: una giovane donna che sollevava un dito ammonitore alla polizia, studenti che offrivano rose all’interdetto personale di polizia, nuove forme d’arte che si concentravano sulla natura plurale dell’India e esprimevano la volontà di proteggerla, i canti di solidarietà nei confronti dei concittadini musulmani. Migliaia di cittadini si erano radunati pacificamente per le strade e nei luoghi pubblici per chiedere al Governo di tenere fede ai dettami costituzionali.

A tutto questo si è risposto con minacce di violenza e con i peggiori stereotipi che identificavano i quartieri musulmani, principali focolai delle proteste, con il Pakistan. Nella fase che ha portato alle elezioni per l’Assemblea di Delhi nel febbraio 2020, i politici del Bjp hanno adottato un vocabolario violento e hanno apertamente invitato i loro sostenitori ad aprire il fuoco sui manifestanti. E infatti si è sparato su coloro che erano pacificamente riuniti a Shaheen Bagh e contro gli studenti che stazionavano di fronte all’Università Jamia Milia. Il linguaggio di odio che abbiamo ascoltato, e i gesti minacciosi che abbiamo visto in questi discorsi anti-protesta musulmana rafforzavano l’immagine distorta che da tempo è stata imposta sulla comunità musulmana.

Lo sgomento dei cittadini per l’attacco incessante contro le minoranze, per le spietate uccisioni e per il linguaggio di violenza era evidente nelle proteste che sono continuate fino al febbraio 2020. In una democrazia, la società civile ha il diritto di monitorare ciò che il Governo fa, o che omette di fare. Le proteste scoppiate a dicembre 2019 si opponevano alle persecuzioni delle minoranze, agli omicidi, ai discorsi offensivi e agli atti di odio che da quando il Bjp è salito al potere nel 2014 avevano reso ancor più difficile la posizione di una minoranza (i musulmani) già vulnerabile.

SOCIETÀ CIVILE E DEMOCRAZIA Il concetto di società civile ha un rilievo normativo in quanto identifica come un valore a sé stante l’esistenza di una vita di associazione nello spazio metaforico che sta tra il mercato, basato sul profitto, e lo Stato, che incarna il potere. La vita associativa neutralizza l’individualismo, l’atomismo e l’inclinazione anomica della vita moderna. Il tessuto delle associazioni permette di seguire una grande varietà di progetti ed è il terreno di coltura della solidarietà. I progetti possono variare dalla sensibilizzazione verso i cambiamenti climatici, alla discussione e all’approfondimento della cultura popolare, dal sostegno ai bambini bisognosi, vicinato alle attività di quartiere e, alla salvaguardia dei diritti umani. Soprattutto, il concetto di società civile riconosce che anche gli Stati democratici sono imperfetti. La democrazia deve essere realizzata attraverso il confronto continuo con chi ha il potere; un compito così importante richiede la partecipazione dei cittadini, la vigilanza pubblica, l’opinione pubblica informata, i media liberi e una molteplicità di associazioni di promozione sociale.

CONTRO I REGIMI AUTORITARI
A dimostrarsi politicamente efficace sin dagli ultimi decenni del ventesimo secolo è la manifestazione minima della società civile, cioè la mobilitazione contro i regimi autoritari. Questa idea ha motivato migliaia di persone in tutto il mondo a scritta sollevarsi e a prender parola contro una storia che non era stata scritta da loro.

Nei primi dieci anni del XXI secolo, dal Nepal alla Libia, enormi folle, dall’evidente carattere anti-autoritario, si sono radunate e mobilitate negli spazi pubblici per chiedere la fine di monarchie, dittature e tirannie. Ancora una volta, dopo il 1989 e la Rivoluzione di velluto nell’Europa orientale, la mobilitazione delle società civili contro i Governi non democratici, ha dimostrato che il pubblico ha la competenza necessaria per prendere nelle proprie mani quel campo d’azione che chiamiamo “politica”. È importante notare che l’obiettivo della società civile non è quello di impadronirsi dello Stato, un compito che lascia ai partiti politici. Le società civili più vivaci nascono dal completo disincanto nei confronti del sistema dei partiti. Sono e rimangono la coscienza pubblica della società. Non c’è da stupirsi che stati potenti siano crollati come il proverbiale castello di carte di fronte a manifestazioni e assemblee di piazza.

Nel 2006 in Nepal da un forte movimento antimonarchico si è sviluppato un movimento a favore della democrazia, che pose fine al Governo per diritto divino, convinse i maoisti a mettere da parte le armi e prendere parte alle elezioni per un’assemblea costituente, catapultando così i nepalesi dalla condizione di sudditi a quella di cittadini. Per due anni, dal 2007 al 2008, un movimento a favore della democrazia guidato da avvocati ha scosso il Pakistan allora sotto il dominio militare. Il movimento ha messo in ginocchio il Governo militare, sotto il generale Parvez Musharraf, e ancora una volta ha annunciato il ritorno della democrazia elettorale nel Paese. L’affermazione più spettacolare della società civile si è verificata in Tunisia, Egitto, Siria, Libia, Yemen, Bahrein, Arabia Saudita, Algeria, Marocco e altri Paesi del Medio Oriente da dicembre 2010 in poi.

Le proteste coagulatesi nella Primavere arabe si son scatenate quando il 17 dicembre 2010 un venditore di ortaggi, il 26enne Mohammed Bouazizi, si è dato fuoco davanti a un edificio governativo nella cittadina rurale di Sidi Bouzid in Tunisia. Ha commesso questo terribile atto di autoimmolazione per protesta contro l’umiliazione pubblica perpetrata ai suoi danni da un ufficiale di polizia. Il gesto ha scatenato grandi proteste in tutto il Paese richieste che chiedevano le dimissioni del presidente Zina El Abidina. Un mese dopo il presidente è fuggito dal Paese.

Alcuni fra i Paesi scossi dalle proteste erano sotto un regime militare, altri sotto despoti. Ai loro abitanti erano state negate le libertà civili di base come la libertà di espressione e il diritto di associazione. Eppure una cittadinanza ribelle si è riunita in luoghi pubblici per protestare contro i danni causati dall’abuso di autorità, dall’aumento delle tariffe degli autobus in Brasile, alla negazione dei diritti in Egitto. I manifestanti hanno denunciato gli autori di ingiustizie e insistito sulla giustizia retributiva e correttiva. Ciò che sembrava impensabile e improbabile era diventato improvvisamente probabile e realizzabile. Molti autocrati di lungo corso furono costretti a dimettersi, come Ben Ali in Tunisia, Hosni Mubarak in Egitto e Ali Abdullah Saleh in Yemen. Da giugno 2019 Hong Kong è stata scossa da un movimento che ha riunito un gran numero di persone. Dalla protesta contro le proposte del Governo di far estradare nella Cina continentale i sospetti di reato, si è sviluppato un grande movimento pro-democrazia ispirato dalla profonda avversione al regime autoritario. La protesta continua a intensificarsi nell’isola, nonostante la brutalità della repressione messa in atto dalla polizia.

IL POPOLO DELL’INDIA
Da metà dicembre 2019, gli indiani (studenti universitari, lavoratori a domicilio, nonne e attivisti), hanno marciato, manifestato, occupato spazi pubblici, cantato canzoni di azaadi (libertà) e dipinto muri con immagini della Costituzione. Attraverso reti di solidarietà si sono raccolte forti somme, per proteggere i dettami della stessa e i diritti dei cittadini vulnerabili più deboli. Gli indiani si oppongono alla cittadinanza fatta solo di documenti, ovvero al fatto che il diritto alla cittadinanza dipenda dalla burocrazia. Praticano ciò che gli studiosi hanno chiamato “cittadinanza performativa”, strappando la sovranità popolare dalle mani dei potenti, rivendicando diritti e dichiarando – per usare le parole di Hannah Arendt – «Il diritto di avere diritti».

I leader del Bharatiya Janata Party (Bjp), attualmente al potere, affermano che il disegno di legge sulla modifica della cittadinanza non toglie la cittadinanza ad alcun indiano, e che le grandi proteste in tutto il Paese sono mal informate e fuori luogo. È poco credibile che politici consumati non siano in grado di comprendere le richieste di migliaia di studenti e cittadini che marciano e manifestano contro le politiche del Governo. Il loro messaggio, scritto sui manifesti, espresso in linguaggi innovativi, canzoni, arte e graffiti, è inequivocabile. “Noi, il popolo dell’India”, non tollereremo la fusione tra identità religiosa e cittadinanza, non permetteremo l’indebolimento della laicità e dell’uguaglianza, non accetteremo emendamenti irresponsabili alla Costituzione e non cederemo ai tentativi di dividerci.

UN MIRACOLO POLITICO
Guardate questo vero e proprio miracolo politico, i termini dell’accordo fra popolo e Governo sono stati sovvertiti. Negli ultimi cinque anni e mezzo il Governo Bjp si è rifiutato di accettare critiche. Oggi i nostri giovani affermano forte e chiaro che non tollereranno alcuna scelta politica che sia contraria all’ethos democratico e secolare della nazione. Sono gli studenti adesso a insegnare ai governanti a non stravolgere i principi costituzionali forgiati nel fuoco della lotta per la libertà. Questa è la nostra eredità e questa è la nostra identità culturale di indiani.

Il vasto movimento in difesa della superiorità e del senso morale della Costituzione smentisce gli argomenti dei portavoce del Bjp, che difendono il disegno di legge sulla modifica della cittadinanza, la proposta di attuazione del Registro nazionale dei cittadini e il Registro nazionale della popolazione in quanto parte del loro “manifesto per l’India”. Ma il messaggio delle proteste è chiaro: un manifesto non si può sostituire a una Costituzione. Ma i leader del Bjp, inebriati dai risultati delle elezioni generali di maggio 2019, prendono semplicemente atto che la maggioranza degli elettori non ha votato per la National Democratic Alliance. Né riconoscono il significato del momento politico. Non mostrano alcuna familiarità con la recente storia della mobilitazione da parte della società civile che ha scosso poteri anche molto forti e smantellato Stati.

Sono state fatte molte domande sulla mobilitazione della società civile in India, su chi sia a guidarla, per quanto tempo durerà, o se i partiti politici se ne approprieranno. Non dobbiamo davvero preoccuparci di questo: il fatto che i cittadini si siano radunati negli spazi pubblici per combattere un Governo sempre più percepito come autoritario e divisivo è abbastanza. Inoltre, le società civili evitano l’organizzazione, la leadership e gli obiettivi. L’organizzazione porta alla burocratizzazione, i leader diventano rapidamente tiranni e nessun particolare attore è in grado di definire gli obiettivi di una società complessa.

Il compito della società civile non è di scatenare una guerra rivoluzionaria, ma ridestare nelle persone la coscienza di avere il diritto di poter chiamare i loro Governi a rispondere di azioni e omissioni. Quando ha a che fare con Stati autoritari, la forza della società civile sta nella sua spontaneità e capacità di mobilitazione collettiva. La sua arma è la Costituzione; la sua richiesta è il rispetto della moralità costituzionale. Infine, la società civile non è un’istituzione; è uno spazio, il luogo di molteplici progetti volti a ripristinare e rivitalizzare la democrazia. Questo è il momento della società civile indiana e questo dobbiamo festeggiare.



[pubblicato su Confronti 04/2020]

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