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L’Unione europea tra rischi e opportunità

by Marta Moretti

di Marta Moretti. Avvocato, esperta di diritti umani.

L’emergenza sanitaria in corso e la recessione economica – prevista da molti economisti – costituiscono per l’Unione europea dei gravi rischi, ma anche un’opportunità per rilanciare il processo di integrazione europeo, restituendo centralità ai valori su cui esso si basa.

Il significato che riveste per l’Ue la crisi sanitaria ed economica innescata dalla pandemia di Coronavirus è stato efficacemente riassunto da Jacques Delors [già presidente della Commissione europea], secondo cui il clima che sembra regnare tra i capi di Stato e di Governo degli Stati membri e la mancanza di solidarietà europea rappresentano “un pericolo mortale” per l’Unione europea. 

Gli egoismi e le rivalità tra gli Stati membri sono un “virus” che, periodicamente, affligge l’Unione, impendendole di intervenire in modo tempestivo ed efficace persino dinanzi a problemi che riguardano l’intero continente o hanno addirittura portata globale, come tali non risolvibili dai singoli Stati europei.

Il Manifesto di Ventotene [1944] affermava già chiaramente che «insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente […] che troverebbero nella federazione europea la più semplice soluzione» e, pure a livello internazionale, «la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione». 

IL RIEMERGERE DELLE BARRIERE

La storia dell’integrazione europea, specialmente a partire dal 2008 (con l’inizio della crisi economico-finanziaria), è stata caratterizzata dalla riluttanza degli Stati membri a demandare all’Unione la gestione dei problemi di rilevanza europea o mondiale. Si tratta di un comportamento illogico e controproducente, ma costantemente reiterato dai Governi nazionali.

Dinanzi ad alcune problematiche, come la crisi del debito pubblico in Grecia, la situazione migratoria aggravatasi a seguito della guerra in Siria e il recesso del Regno Unito dall’Ue, è apparsa evidente la mancanza di fiducia reciproca e di solidarietà tra gli Stati membri. Ciò ha ostacolato notevolmente l’azione europea che, in vari settori, richiede la cooperazione tra i governi nazionali.

Persino di fronte alla pandemia – che, per definizione, riguarda tutti i Paesi indistintamente – i Governi degli Stati europei hanno preso iniziative unilaterali, illudendosi di poter mettere a riparo il proprio Paese a prescindere da cosa accadesse negli altri. 

Sono ricomparse le frontiere all’interno dell’Unione, che l’Accordo di Schengen, firmato nel 1985, aveva rimosso. Inoltre, alcuni Stati membri dell’Ue, noncuranti delle regole del mercato unico, hanno vietato le esportazioni di materiale sanitario verso altri Stati membri e sono giunti a sequestrare quello proveniente da Paesi terzi, già acquistato da altri Stati membri. In tal modo, i cittadini di alcuni Stati membri hanno subito le conseguenze negative dei provvedimenti emanati, senza un coordinamento a livello europeo, da altri Stati membri.

L’Unione europea ha opportunamente richiamato gli Stati membri al rispetto degli obblighi da essi assunti con la ratifica dei Trattati, tra cui in primis il dovere di solidarietà. Ma è chiaro che ciò non basta.

L’Unione non può restare “a bordo campo” mentre si gioca una partita decisiva per il destino dei cittadini europei. Essa, per contenere l’emergenza sanitaria e il suo impatto economico, deve, da un lato, impiegare nel modo più efficace possibile gli strumenti di cui già dispone, e, dall’altro, studiare soluzioni ambiziose e innovative, che siano all’altezza delle sfide attuali e rilancino il progetto di integrazione europea. 

Ed ecco l’opportunità e insieme il pericolo: l’Unione deve assolutamente fare un passo avanti verso una maggiore integrazione per evitare di farne uno verso la sua disgregazione.  

MISURE STRAORDINARIE

Le Istituzioni dell’Ue stanno adottando una serie di misure previste dalle norme esistenti per assicurare risposte coerenti ed efficaci alle sfide poste dalla pandemia. 

In ambito sanitario, l’Ue non ha competenza normativa, ma può sostenere e coordinare le azioni intraprese dagli Stati membri. Va in questa direzione l’istituzione da parte della Commissione europea di un comitato consultivo sul Coronavirus, composto da epidemiologi e virologi di diversi Stati membri e presieduto dalla Presidente della Commissione, con il compito di studiare delle misure coordinate, basate su evidenze scientifiche, per gestire il rischio epidemiologico. Il comitato ha adottato, tra l’altro, delle raccomandazioni sull’esecuzione dei test diagnostici e sulle misure di contenimento del contagio. 

Inoltre, la Commissione ha organizzato delle procedure di appalto per l’acquisto dei prodotti sanitari necessari per fronteggiare la pandemia e ha proposto la costituzione di una “riserva” europea di attrezzature mediche (ventilatori, dispositivi di protezione individuale, vaccini e medicinali), che sarà finanziata quasi integralmente dalla Commissione e servirà a garantire la distribuzione del materiale in base alle effettive necessità dei Paesi europei. 

Sono segnali importanti che, però, richiedono la collaborazione fattiva di tutti gli Stati.

L’Unione ha fornito sostegno finanziario agli Stati impiegando vari programmi esistenti ed estendendone l’ambito di applicazione per aumentare le risorse disponibili.

La Commissione ha istituito un fondo 37 miliardi di euro per supportare gli Stati membri nell’acquisto di materiale sanitario, nell’ambito della politica di coesione. Ha, inoltre, incluso la crisi per la salute pubblica tra gli interventi a valere sul Fondo di solidarietà dell’Ue, rendendo disponibili fino a 800 milioni di euro per gli Stati membri più colpiti. Sono stati stanziati 179 milioni di euro del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per il sostegno economico dei lavoratori licenziati e dei lavoratori autonomi.

Sul fronte economico, l’Unione ha, innanzitutto, assicurato la massima flessibilità nell’applicazione delle norme sulla concorrenza e sugli appalti pubblici, nonché delle regole di bilancio.

La Commissione ha fornito agli Stati delle indicazioni precise su come sostenere le imprese che operano nei settori più duramente colpiti dagli effetti dell’epidemia, come il turismo, i trasporti, la cultura e il commercio al dettaglio. 

Le imprese potranno beneficiare di aiuti destinati ad ovviare ai danni arrecati da questo evento eccezionale. L’Italia e gli altri Paesi, in cui l’impatto del Coronavirus ha assunto una notevole portata, possono essere autorizzati ad adottare misure di sostegno per porre rimedio a questo grave turbamento dell’economia nazionale. 

Per fare in modo che le imprese dispongano della liquidità necessaria, la Commissione ha adottato una disciplina provvisoria analoga a quella che ha consentito di ridurre gli effetti della crisi finanziaria iniziata nel 2008. La nuova disciplina prevede un’ampia gamma di misure di aiuto, tra cui sovvenzioni, anticipi di pagamenti, agevolazioni fiscali che possono raggiungere l’importo di 800.000 euro ad impresa.

La Commissione ha accelerato l’iter di valutazione delle misure di aiuto notificate degli Stati membri, in modo da rendere tempestivi gli interventi degli Stati a sostegno delle imprese. 

Per quanto riguarda i vincoli di bilancio, la Commissione, sfruttando al massimo la flessibilità del Patto di stabilità e crescita, ha proposto l’attivazione della clausola generale di salvaguardia, affinché la spesa pubblica necessaria a fronteggiare l’emergenza non sia calcolata nei piani di riduzione del deficit e del debito. Questa proposta è stata approvata dai Ministri dell’Economia degli Stati membri, che hanno riconosciuto la necessità di adottare le misure per sostenere i sistemi sanitari e di protezione civile e per proteggere l’economia. Si è fatto, così, ricorso ad una misura eccezionale per far fronte ad una situazione di eccezionale gravità. 

La Banca centrale europea (Bce), pur esitando a promettere di fare whatever it takes [“tutto il necessario”] per sostenere l’economia dell’Eurozona, ha lanciato un programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica da 750 miliardi di euro per l’acquisto di obbligazioni pubbliche e private dei Paesi membri dell’Eurozona, che durerà almeno fino alla fine dell’anno. Il fine è quello di contrastare il calo della liquidità del mercato.   

Il Presidente del Parlamento europeo, lo scorso 26 marzo, all’esito di una videoconferenza con i leader dei gruppi politici europei, ha affermato che le risorse finanziarie mobilitate dall’Unione potrebbero sfiorare i 2.000 miliardi di euro. Si tratterebbe della «più grande dimostrazione di potenza della solidarietà europea» nella storia, paragonabile al Piano Marshall che ha aiutato i Paesi europei a risollevarsi dalle rovine della Seconda Guerra mondiale.

NUOVE MISURE PER UNA PIÙ PROFONDA INTEGRAZIONE

Al tempo stesso, l’UE deve «gettare il cuore oltre l’ostacolo», studiando misure nuove, nel segno di una più profonda integrazione tra i popoli europei. Questo non va fatto secondo una logica ragionieristica, ma con l’obiettivo di assicurare il progresso sociale ed economico dei popoli europei, in linea con quanto prevede, sin dalle origini, il suo Trattato istitutivo.   

Secondo le ultime stime economiche, vi sarà una recessione dell’intera Europa con una perdita del 10% del Pil. Le conseguenze economiche della pandemia saranno più gravi della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008.

L’impatto sulle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini europei, così come sulla produzione industriale e sul fatturato delle imprese è già enorme e allarmante. 

C’è bisogno di un’iniezione senza precedenti di liquidità, che si traduce inevitabilmente in un maggiore intervento pubblico nell’economia e in un aumento complessivo del debito pubblico. L’ex Presidente della Bce Mario Draghi, nell’editoriale pubblicato sul Financial Times alla vigilia del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue del 26 marzo, ha detto senza mezzi termini che la perdita di reddito sostenuta dal settore privato dovrà essere assorbita dai bilanci pubblici. Pertanto, «livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie».  

Consentire agli Stati membri di aumentare la spesa pubblica attraverso l’allentamento delle regole di bilancio e di quelle sugli aiuti pubblici alle imprese è essenziale, ma non basta. 

Il sostegno degli Stati europei all’economia porterà inevitabilmente ad una crescente disparità fra di essi, perché quelli con i bilanci in ordine potranno spendere senza aumentare il debito complessivo, mentre gli altri si indebiteranno ulteriormente. Ne deriverebbero gravi disordini sociali, con il pericolo di derive autoritarie. Occorre, pertanto, scongiurare una nuova crisi del debito sovrano nei Paesi più deboli dell’Eurozona.

EUROBOND E MES

Ecco perché i governi degli Stati maggiormente esposti ai rischi sanitari ed economici, tra cui l’Italia, hanno invocato l’emissione di Eurobond. L’Eurobond, nell’accezione comune, è uno strumento di autofinanziamento dell’Ue basato sulla messa in comune di risorse nell’ambito di un bilancio europeo. Esso non dovrebbe servire solo a finanziare la spesa corrente, quanto piuttosto ad avviare un ambizioso piano di rilancio dell’economia europea. 

Si tratterebbe di un primo passo verso un bilancio federale europeo e, quindi, di un segno tangibile di solidarietà europea. 

Per il momento i governi appaiono divisi in due schieramenti. Da una parte, nove Paesi, a cui recentemente se ne sono aggiunti altri due, hanno proposto di ricorrere agli Eurobond, dall’altra, la Germania e i Paesi Bassi hanno escluso tale possibilità. Perciò, il vertice dell’Eurogruppo del 26 marzo, pur riconoscendo l’esigenza di «fare tutto il necessario per proteggere i cittadini europei e superare la crisi», ha rinviato di due settimane la decisione su un’azione ulteriore per contrastare lo shock causato dal Coronavirus che colpisce tutti i Paesi (a differenza di quello del 2012-2017).

Germania e Paesi Bassi temono che l’emissione di titoli garantiti collettivamente dai Paesi dell’Eurozona possa incoraggiare fenomeni di “azzardo morale”, ovvero una gestione economico-finanziaria “irresponsabile”. Perciò, nonostante l’eccezionale gravità della crisi, questi due Paesi preferirebbero che quelli in difficoltà si avvalessero degli strumenti previsti dalle norme esistenti, tra cui in particolare le linee di credito offerte dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes). 

Sennonché l’erogazione di tali prestiti è soggetta a stringenti condizioni, come, ad esempio, l’obbligo di attuare un programma di correzione macroeconomica. Per questa ragione l’assistenza da parte del Mes è politicamente inaccettabile per i Paesi in difficoltà. Essi temono che la loro azione politica sia fortemente limitata dalle misure di austerity imposte al Governo greco dalla cosiddetta troika.

D’altro canto, la mancanza di solidarietà finanziaria dinanzi ad un’emergenza sanitaria, che, secondo i dati riportati dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, alla data del 5 aprile ha causato 15.362 decessi in Italia, 11.744 in Spagna e 7.560 in Francia, è in aperto contrasto con i valori comuni su cui si fonda l’Ue.

UN ICEBERG INASPETTATO

Non a caso, il Ministro degli Esteri spagnolo, evocando la storia del Titanic, ha affermato che i Paesi europei sono sulla stessa barca che ha colpito un iceberg inaspettato e, poiché condividono lo stesso rischio, non c’è tempo per discutere su chi ha i biglietti di prima o di seconda classe. 

Il futuro dell’Unione dipende in larga misura dal volere dei governi nazionali. È dunque auspicabile che si instauri una fiducia reciproca tra gli Stati europei, basata sulla comprensione delle rispettive esigenze e specificità. Si dovrebbero abbandonare gli stereotipi che dipingono alcuni Stati come scialacquatori di risorse e altri come ottusi interpreti e custodi delle regole o, peggio ancora, come biechi approfittatori delle difficoltà altrui. Questa è la premessa indispensabile per collaborare tutti insieme per realizzare l’interesse comune. 

Ma il ruolo delle Istituzioni europee non è meno importante. Non si può dire di non voler passare alla storia come l’artefice del “whatever it takes 2”, né “liquidare” uno strumento come gli Eurobonds alla stregua di uno slogan di propaganda politica.

Gli Eurobonds, associati ad altri ambiziosi interventi dell’Ue – come, ad esempio, un vasto piano di investimenti della Banca Europea degli Investimenti nella transizione verde, nonché nella sanità, nella ricerca medico-scientifica e nella digitalizzazione, di cui abbiamo compreso l’importanza nell’attuale emergenza sanitaria – consentirebbero una ricostruzione del tessuto sociale e produttivo, che non sarebbe solo una soluzione ai vari problemi statali, ma anche un modo per realizzare degli obiettivi strategici dell’Unione nel suo complesso.

Risuonano attuali le parole pronunciate dall’allora Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer il 12 maggio del 2000 alla Humboldt: «Quo vadis Europa? È la domanda posta ancora una volta dalla storia del nostro continente». In effetti, il Coronavirus è per l’Unione un’opportunità per dare una soluzione europea a quello che è un problema europeo.

Come in ogni momento cruciale per la vita di qualunque istituzione o sodalizio umano, la scelta giusta può venire soltanto dal ritorno ai valori comuni, che sono alla base delle scelte iniziali. Di qui l’impellente necessità di rilanciare il progetto di «un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa». 

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