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2019. La corsa alle armi non si ferma

by Maurizio Simoncelli

di Maurizio Simoncelli. Vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo – Iriad

Se la spesa militare da sola non può essere considerata un indicatore diretto della capacità o della forza militare (servono anche morale, preparazione militare, esperienza di combattimento, dottrina e organizzazione), essa comunque ci segnala situazioni di tensione o intenzioni non propriamente pacifiche. 

E il segnale che ci arriva dal 2019 è decisamente preoccupante: la cifra di 1.917 miliardi, stimata dall’istituto svedese SIPRI, è quella globalmente spesa nel settore militare, con un incremento del 3,6 rispetto al 2018. 

Infatti, dopo la breve ed effimera stagione dei “dividendi della pace” post guerra fredda, in cui tali spese erano diminuite, già alla fine degli anni ’90, ben prima dell’attacco alle Twin Towers nel 2001 e alla seguente guerra permanente al terrorismo, esse erano andate crescendo di nuovo e in modo continuativo. Ad oggi si sono superati di gran lunga i livelli dell’epoca del bipolarismo e, rispetto al 1998, le spese sono quasi raddoppiate: da 1.054 miliardi di dollari nel 1998 a 1.922 nel 2019. Un’immensa cifra destinata anche a sistemi d’arma sempre più sofisticati e letali, dai droni alle armi autonome (i killer robot), dai missili ipersonici a mille altri congegni sofisticatissimi.

Ma chi sono i paesi più impegnati in questa corsa agli armamenti? 
Gli Stati Uniti, da oltre mezzo secolo superpotenza nel settore, rappresentano da soli con 732 miliardi di dollari il 38% della spesa militare mondiale: tra il 2018 e il 2019 la loro spesa è ulteriormente aumentata del 5,3%. E tale spesa è finalizzata ad affermare globalmente la supremazia statunitense, come dichiarò già nel 2017 l’attuale presidente Donald Trump.

Dietro a questi piani di riarmo della Casa Bianca in realtà vi è il grande timore della crescita non solo economica di Pechino. La Cina, infatti, pur avendo sempre dichiarato il suo impegno di soft power per la pace e per la collaborazione nel mondo, avviando anche una vasta operazione di penetrazione economica in vari continenti attraverso la “nuova via della seta”, nel corso degli anni è andata riformando le proprie forze armate, modernizzandole e dotandole di un arsenale di crescente potenza. Essa è arrivata a spendere 261 miliardi di dollari nel 2019 (+5,1% rispetto all’anno precedente), confermando un trend ormai costante: dai 60 miliardi di dollari del 2002 si è passati ai 144 del 2010 sino alla cifra attuale. Anche se le sue spese sono assai meno di quelle statunitensi, la rivalità geopolitica tra i due paesi è testimoniata anche dallo scontro economico in atto tra Washington e Pechino, sempre più influente in Africa e in altre aree, compresa l’America latina. Nel 2019 il governo cinese ha presentato il White Paper, in cui vengono ribaditi i punti fondamentali della difesa della sovranità nazionale, dell’integrità territoriale e della stabilità interna. Ma il contesto in cui opera Pechino, ormai potenza globale, è cambiato con la conseguenza che non può limitarsi alla pura dimensione nazionale, ma si trova ad operare sul piano internazionale rafforzando le proprie capacità militari (basta pensare al contenzioso con gli altri paesi dell’area relativo alle diverse isole del Mar Cinese Meridionale).

Meno nota all’opinione pubblica è la crescita della spesa dell’altro grande paese asiatico, l’India (altra potenza nucleare), che è aumentata del 6,8% rispetto all’anno precedente, a causa delle tensioni e della rivalità con il Pakistan e con la Cina. Dai 29 miliardi di dollari del 2000 si è passati ai 38 del 2005, poi ai 52 del 2010 sino ai 71 del 2019.

Sempre in tensione con la vicina Corea del Nord impegnata a sperimentare bombe atomiche e missili a lunga gittata, pure la Corea del Sud ha incrementato negli anni le sue spese, passando dai 22 miliardi di dollari del 2000 ai 34 del 2010 sino ai 46 del 2019.

Anche in Europa vi sono stati aumenti significativi: la Germania ha incrementato la sua spesa del 10% nel 2019, raggiungendo 49,3 miliardi di dollari, mentre  la Bulgaria del 127%, soprattutto per l’acquisto dei nuovi aerei da combattimento F16 made in USA, e la Romania del 17%. Se sommiamo le spese di tutti i 29 stati membri della NATO arriviamo a ben 1.035 miliardi nel 2019, ben più della metà del totale mondiale, quasi il quadruplo di quella cinese e quasi sedici volte di quella russa.

Le tensioni connesse alla vicenda ucraina e all’annessione della Crimea hanno comportato sospetti e timori crescenti da ambedue le parti nel Vecchio Continente. Nel 2019 infatti anche Mosca ha aumentato le sue spese militari del 4,5%, passando dai 23 di dollari del 2000 ai 49 del 2010 sino ai 65,1 nel 2019 (3,9% del suo PIL). Va rilevato che le spese militari russe sono aumentate del 30% in termini reali tra il 2010 e il 2019 e del 175% tra il 2000 e il 2019, ma rimangono decisamente inferiori a quelle statunitensi e cinesi.

In Africa anche paesi come il Burkina Faso, il Camerun, il Mali, la Repubblica centrafricana, la Repubblica democratica del Congo e l’Uganda hanno variamente aumentato le loro spese militari, mentre altri le hanno diminuite, come il Ciad, il Niger e la Nigeria. In generale comunque in tutta l’Africa la spesa militare, dopo vari anni, è cresciuta dell’1,5 per cento arrivando ad un totale di circa 41,2 miliardi di dollari nel 2019.

L’Arabia Saudita, impegnata particolarmente nella sanguinosa guerra nello Yemen, ha incrementato le proprie spese militari del 14% tra il 2010 e il 2019, arrivando a ben 52 miliardi di dollari, mentre per molti altri paesi mediorientali è difficile avere dati attendibili e certi. Rimane certo comunque che l’area rimane tra le più calde e con un flusso costante di armi e di munizioni per i vari conflitti armati colà presenti.

Se il buongiorno si vede dal mattino, vi è di che essere più che preoccupati, anche perché queste immense risorse finanziarie e i relativi arsenali si sono rivelate del tutto inutili a sostenere la sfida del Coronavirus 19, che ha mietuto e sta mietendo vittime in tutte le parti del mondo, con paralleli gravi danni economici diffusi a livello planetario. La pandemia ha fatto scoprire gli immensi tagli fatti nel settore sanitario: solo in Italia siamo passati dai 12,5 posti letto ogni 100.000 abitanti di terapia intensiva nel 2012 agli 8,58 del febbraio 2020, un terzo in meno.

Le spese militari crescenti e i relativi, arsenali, però, sono strumenti utili alle politiche predatorie che le  varie potenze con i loro alleati portano avanti per assicurarsi il controllo dei territori e delle varie risorse che il nostro pianeta mette a disposizione.

di Maurizio Simoncelli

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Vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio disarmo – Iriad

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