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Contagio (Amazzonia)

by Nadia Angelucci

di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.

Se la pandemia ha rallentato l’economia globale, la deforestazione della foresta amazzonica sta accelerando. Organizzazioni illegali continuano ad operare nella zona, portando con sé anche il virus che si fa strada fra le popolazioni indigene.

Strette tra l’avanzata del Coronavirus e quella di chi vuole occupare le terre per sfruttarle dal punto di vista economico, le popolazioni indigene dell’Amazzonia stanno vivendo una pressione sempre crescente che mette a rischio la loro sopravvivenza.

Nell’area, più di 6 milioni di km² distribuiti in otto paesi, vivono oltre 35 milioni di uomini e donne appartenenti a più di 300 etnie differenti in cui si parlano più di 200 lingue.

L’azione del famoso fotografo brasiliano Sebastião Salgado, che nelle scorse settimane ha lanciato una campagna chiedendo al presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, al parlamento e alla magistratura “misure urgenti” per proteggere le popolazioni indigene dalla minaccia rappresentata da Covid-19, ha acceso i riflettori su queste persone, i luoghi in cui vivono e il loro patrimonio culturale.

E se la campagna di Salgado ha centrato la sua attenzione sulle popolazioni che abitano la foresta pluviale brasiliana, la stessa situazione si ripete in tutta quella regione che rappresenta il cuore dell’America latina, e che chiamiamo Amazzonia.

Nelle ultime settimane molte organizzazioni che lavorano nel bacino amazzonico, così come molti leader indigeni locali, hanno denunciato la mancanza di protezione che soffrono i popoli originari, segnalando focolai di infezione, denunciando il disinteresse delle autorità statali e la mancanza di un’adeguata attenzione medica, e provvedendo a organizzare un sistema proprio di monitoraggio dell’epidemia.

Ma il Coronavirus non è l’unico problema, né l’ultimo in ordine di tempo, e si intreccia in modo indissolubile alla devastazione ambientale che la selva primaria e le etnie autoctone subiscono da quando l’Occidente le ha “scoperte”.

Se la pandemia ha rallentato l’economia globale, la deforestazione della foresta sta accelerando; organizzazioni illegali continuano ad operare nella zona e la scarsissima attività di controllo dei governi nazionali, entità perlopiù subordinate a élite economiche e a una introiezione di una visione neocoloniale, rendono queste operazioni più facili.

Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, da sempre favorevole all’esplorazione e allo sfruttamento del potenziale economico della foresta pluviale e critico verso quella che, secondo lui, è un’eccessiva quantità di terra amazzonica delimitata come territorio indigeno, ha assunto posizioni negazioniste rispetto alla pandemia e sta cercando di spingere per una legge che potrebbe consentire ai land grabbers – coloro che hanno illegalmente invaso terreni pubblici tra il 2011 e il 2018 – di entrare in possesso della proprietà legale di quei territori.

Si tratta di allevatori, minatori e taglialegna illegali, molti dei quali usano il fuoco come metodo rapido per abbattere gli alberi e far pascolare il bestiame. Il loro agire accompagna quello delle grandi imprese transazionali che ambiscono ad avere sempre maggiori concessioni e controllare questi territori per poter sfruttare le enormi riserve di materie prime come petrolio, legname, minerali.

Secondo i dati della Royal Statistical Society risalenti al dicembre 2019, nell’ultimo decennio l’intera Amazzonia, ha perso l’equivalente di 8,4 milioni di campi da calcio, un territorio più grande del Costa Rica.

E non è solo la quantità di territorio che rende preoccupante questa situazione; la perdita di fauna e biodiversità, l’inquinamento della terra, dell’aria e dei fiumi mette a rischio l’esistenza delle popolazioni indigene ed esercita una pressione sulle culture locali minacciandone l’esistenza.

E mentre il fuoco, gli allevamenti di bestiame, le miniere, lo sfruttamento petrolifero avanzano incontrollate, il Coronavirus viaggia insieme a loro e ha già cominciato a uccidere. Si fa strada tra le vie fluviali dove avvengono gli scambi di mercanzie, si trasporta nei corpi degli allevatori e dei taglialegna illegali, entra nelle comunità e raggiunge le tribù che vivono in selva che nulla possono contro questo nemico insidioso, invisibile, e contro il quale non hanno difese.

I custodi dell’Amazzonia, gli invisibili che da secoli pagano il prezzo più caro del nostro cosiddetto sviluppo, rischiano che questa nuova epidemia completi il genocidio e l’ecocidio che si sta compiendo già da tempo in nome di un idolo chiamato Denaro.

[pubblicato su Confronti 06/2020]

Photo: ©CIAT/NeilPalmer

Nadia Angelucci

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