di Gaetano De Monte. Giornalista
All’indomani della decisione della Giunta per le immunità del Senato di respingere la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini sul caso Open Arms, la condizione dei migranti in Italia è sempre più emergenziale. Emblematico, sul piano delle lotte sociali, lo sciopero dei braccianti migranti dello scorso maggio.
Venticinque maggio, stazione Tiburtina, Roma. È il trentaquattresimo sgombero dei migranti transitanti che da alcuni anni trovano “alloggio” in un riparo di fortuna allestito nei pressi dell’area Est della stazione, a Piazzale Spadolini. Mentre circa una ventina di loro veniva accompagnato in questura per le procedure di identificazione, Andrea Costa, il coordinatore di Baobab Experience – associazione che dal 2014 fornisce assistenza sociolegale ai migranti transitanti in quel versante della Capitale – così commentava con i giornalisti presenti: «Nei due mesi del lockdown non si è visto nessuno e ora che la vita torna alla normalità queste persone tornano a essere scomode», aggiungendo: «Noi siamo d’accordo che sia vergognoso che ci sia gente costretta a vivere in strada ma per evitare che questo accada bisogna investire in accoglienza. Queste persone hanno bisogno di soluzioni strutturali».
LE VIOLAZIONI DI SALVINI: NON LUOGO A PROCEDERE
Nel frattempo, nelle stesse ore, a pochi chilometri di distanza, la giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere presieduta dal senatore Maurizio Gasparri, è riunita per decidere se concedere o meno l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sul quale pende come una spada di Damocle la richiesta di processo avanzata a Palazzo Madama dal Tribunale dei Ministri di Palermo. I magistrati contestano all’attuale leader della Lega i reati di sequestro di persona e di rifiuto di atti d’ufficio, per aver impedito lo sbarco di 150 migranti bloccati al largo per giorni, nell’agosto del 2019, prima di sbarcare nell’isola di Lampedusa. Il 26 maggio, con 13 voti a favore della relazione del presidente, Maurizio Gasparri (FI), 7 contrari e 3 senatori che non hanno partecipato al voto, la Giunta per le immunità del Senato ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini sul caso Open Arms. Tra i 13 voti favorevoli alla relazione si contano, oltre ai 5 della Lega, i 4 di Fi, uno di Fdi e uno delle Autonomie, anche quello del senatore ex M5s Mario Michele Giarrusso e quello della senatrice M5S Alessandra Riccardi.
Un «segnale preoccupante che non ci aspettavamo». Così la Ong spagnola Open Arms commenta la decisione della giunta del Senato, sottolineando che «esistono diritti inalienabili che non possono essere messi in discussione, primo tra tutti quello alla vita». La decisione della Giunta, aggiunge Open Arms, «segna una battuta di arresto verso l’accertamento della verità e verso l’affermazione di un principio inderogabile, alla base della nostra Costituzione e di qualunque Convenzione internazionale, che stabilisce l’inviolabiltà della vita e della dignità delle persone, a prescindere dalla loro provenienza, dal loro sesso, dalla loro appartenenza politica o religiosa». La Ong catalana si augura che «il Senato voglia compiere una scelta diversa in un momento in cui è sempre più necessario affermare il diritto di tutti ad essere tratti in salvo se in difficoltà, a chiedere protezione, a ricevere accoglienza e cure».
È la terza volta in pochi mesi in cui la giunta parlamentare è chiamata a pronunciarsi su Salvini: nella prima, per il caso analogo dei migranti bloccati per giorni in mare a bordo della nave della guardia costiera italiana, Diciotti, la richiesta fu respinta con il voto decisivo del senatore componente della commissione, il “Cinque stelle”, Mario Gianrusso.
Sul caso Gregoretti che ha visto, invece, il Senato pronunciarsi in favore della richiesta di autorizzazione a procedere per l’ex ministro, ovvero quello che lo vede oggi imputato sempre di sequestro di persona per i migranti trattenuti a bordo della nave militare Gregoretti, il processo doveva aprirsi a Catania il prossimo 4 luglio, ma è stato rinviato ad ottobre a causa del Coronavirus.
Al di là dei risvolti penali delle vicende, comunque, sul piano del giudizio storico-politico pesa quanto dichiara il portavoce di Amnesty international, Riccardo Noury: «Nell’ambito delle politiche in tema di immigrazione nel periodo in cui Salvini era ministro dell’Interno sono state commesse gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di migranti e richiedenti asilo soccorsi in mare. Compresi ritardi non necessari e crudeli negli sbarchi».
UMANITÀ IN RIVOLTA: LO SCIOPERO DEI BRACCIANTI
Ventuno Maggio, Piazza Santi Apostoli, Roma. Un gruppo di migranti, accompagnati da alcuni sindacalisti di Asia-Usb, si avvicinano verso la sede della prefettura capitolina per depositare simbolicamente una cassetta di ortaggi, ma vengono “bloccati” immediatamente e in maniera energica dalle forze di polizia.
È il giorno dello sciopero dei braccianti migranti, a cui hanno espresso solidarietà anche i contadini italiani che hanno fermato i trattori, e in diverse città italiane si sono tenuti presidi di protesta. Il più significativo dei presidi era cominciato la mattina presto nelle campagne di Torretta Antonacci, dove in migliaia di braccianti avevano marciato fino alla prefettura di Foggia guidati dal sindacalista Usb, Aboubakar Soumahoro, da sempre impegnato nelle lotte per i diritti dei lavoratori agricoli. Mentre era alla guida di questa sorta di nuovo quinto stato fatto di braccianti invisibili, Soumahoro scandiva al megafono le parole della protesta, così: «Questo fiume di esseri umani è la dimostrazione che nelle campagne mancano i diritti, non le braccia». Ha ribadito il sindacalista: «Cari politici, non ignorate il grido dei braccianti, dei consumatori e dei contadini/agricoltori che si è innalzato all’unisono per chiedere diritti e dignità per tutti i lavoratori della terra».
E ancora: «Abbiate l’audacia di rivedere lo strapotere dei Giganti del cibo, se volete contrastare lo sfruttamento e il caporalato. Mettete gli stivali, venite nel fango della miseria e della sofferenza per ascoltarci, noi dannati della filiera agricola».
Una giornata di protesta che era stata considerata come un «segnale importante» da Paolo Naso, coordinatore del programma migranti e rifugiati – Mediterranean Hope – della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), realtà che da qualche tempo ha attivato un progetto di sostegno sociale ai braccianti nelle campagne di Gioia Tauro.
Paolo Naso ha ribadito la propria posizione in una intervista all’agenzia Nev (Notizie evangeliche): «Chiediamo la regolarizzazione di chi lavora e il sostegno alle imprese sane, quelle che lottano contro la mafia ma anche contro regole di mercato che privilegiano i grandi gruppi agroalimentari». E poi ha aggiunto: «Lo sciopero di oggi ci dice che i lavoratori immigrati hanno deciso di denunciare questa situazione e non sono avversari ma alleati degli italiani che vogliono un’agricoltura sana, giusta e sostenibile».
È il 20 maggio. Siamo all’indomani della presentazione del Decreto Rilancio all’interno del quale è contenuta la procedura per una parziale regolarizzazione per sei mesi, degli stranieri impiegati come braccianti, colf e badanti, e Camillo Ripamonti, il presidente del Centro Astalli – una delle realtà italiane più attive nell’accoglienza degna ai migranti – dice così intervenendo durante la presentazione annuale del rapporto annuale dell’associazione: «è un primo passo ma non è abbastanza». Perché, ha spiegato padre Ripamonti: «La precarietà, la povertà, l’invisibilità a cui abbiamo costretto i migranti non sono stati causati dalla pandemia e in queste settimane di “io resto a casa” è diventato ancora più evidente».
ALLA FRONTIERA, TRA VECCHIE E NUOVE POLITICHE
Intanto, sul piano delle nuove politiche europee in materia di asilo e migrazioni, si è osservato che: «le procedure volte alla redistribuzione sono state caratterizzate da una serie di violazioni dei diritti dei cittadini stranieri».
È quanto denuncia Ombre in frontiera, un recente report dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e in cui si legge: «in primo luogo, le persone sono state trattenute illegalmente negli hotspot per diversi giorni e non è stato garantito loro un adeguato diritto all’informazione e alla difesa: nessun verbale relativo ai colloqui da loro sostenuti è stato consegnato ai cittadini stranieri».
Non solo. Nel rapporto si fa riferimento a un vero e proprio “svilimento” del diritto d’asilo che è avvenuto in Italia negli ultimi due anni, in particolare, nelle zone di frontiera: zone di transito di porti e aeroporti, centri di permanenza per i rimpatri e centri hotspot, «dove sono state attuate politiche informali di selezione e detenzione volte a ostacolare l’ingresso e l’eventuale acquisizione di un titolo di soggiorno da parte dei cittadini stranieri».
In mare come in terra, nei confronti degli esseri migranti, prima e dentro la pandemia.

Gaetano De Monte
Giornalista