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Liberi di essere

by Savino Carbone

Intervista a Savino Carbone a cura di Valeria Brucoli (Giornalista)

Cosa significa essere liberi? Dopo un lungo viaggio segnato da torture e violenze, dopo essere stati costretti a lasciare casa, famiglia e amici per vivere liberamente la propria sessualità, cosa significa per due migranti omosessuali arrivare in Italia e confrontarsi con il crescente clima d’odio derivante dalle nuove politiche migratorie, e con le comunità migranti legate ai loro paesi d’origine?
Ne abbiamo parlato con Savino Carbone, il regista del documentario
Libertà, scritto in collaborazione con Gabriele Labianca, e patrocinato da Amnesty International Italia.

Il documentario Libertà è stato prodotto dal Centro Documentazione e Ricerca “Möbius” di Cooperativa Quarantadue, che indaga la marginalità̀ e le minoranze sociali presenti sul territorio meridionale e racchiude profili professionali eterogenei comestudiosi di scienze umane e sociali, giornalisti, fotoreporter, videomaker ed esperti di broadcasting. Come è nato questo progetto e come hanno cooperato queste diverse professionalità nella sua realizzazione?
 Il Centro è stato fondato da un gruppo di giovani amici accomunati dall’esperienza di redazione in un giornale web. Col tempo ognuno di noi ha iniziato a seguire percorsi paralleli, specializzandosi sempre più: c’è chi ha intrapreso una carriere di ricerca in ambito universitario, chi si è specializzato nel reportage multimediale, chi, invece, ha deciso di specializzarsi in alcuni settori del cinema. L’abbandono del giornalismo, dunque, e stato naturale. Sentivamo l’esigenza di trovare nuove forme, più lente, più ragionate per affrontare i temi a noi cari. Di qui l’approdo al documentario e la nascita del Centro (gestito dalla nostra Cooperativa Quarantadue), vincitore di un bando della Regione Puglia a sostegno delle start-up per under-35. Libertà è il nostro primo progetto ‒ realizzato in parallelo ad una mostra multimediale dedicata ad Alessandro Leogrande ‒, in grossa parte realizzato “in casa”, grazie alle professionalità maturate. D’altronde il nostro obiettivo era proprio questo, riuscire a produrre un lavoro filmico di documentazione con le stesse affiatate persone. Il cinema è un lavoro collettivo, riesce meglio se c’è coesione tra chi contribuisce a realizzarlo. 

Come siete entrati in contatto con i due protagonisti di Libertà? Le realtà volte all’accoglienza presenti sul territorio barese riescono a fornire sufficiente supporto psicologico, medico, legale e sociale ai migranti?
Ho incontrato B. e C. durante i tre mesi passati a seguire le attività dello sportello migranti di Arcigay Bari. Tra i tanti migranti ascoltati ho scelto loro due perché avevano le storie più archetipiche, più rappresentative della condizione vissuta da migliaia di ragazzi e ragazze e in più mi offrivano la possibilità di raccontare la questione dei migranti LGBT seguendo binari duplici: le differenze tra uomini e donne, francofoni e anglofoni, musulmani e cattolici. È ovvio che Libertà rappresenta una “riduzione” per lo schermo di un fenomeno complesso, però abbiamo provato ad articolarlo quanto più possibile. 
Quanto al supporto che ricevono i ragazzi è bene ricordare che le attività baresi di Arcigay si poggiano sul volontariato. Dalla consulenza al supporto psicologico, è tutto basato sull’opera gratuita di uno sparuto gruppo di attivisti. È chiaro che sarebbe opportuno attivare misure più organiche, strutturate ‒ sulla scorta di alcune best practice, soprattutto al centro-nord (penso all’esperienza de Il Grande Colibrì) ‒ ma c’è bisogno dell’aiuto (e dei finanziamenti) del settore pubblico. 

La parola “libertà” risuona spesso nel video. Alcune scene sono anche ambientate nell’omonimo quartiere di Bari, che accoglie migranti e famiglie a basso reddito. Qual è la situazione in questo quartiere? Chi è in difficoltà può trovare al suo interno uno spazio di libertà?
Il Libertà è un quartiere dal passato importante, che si sviluppa a ridosso di quello che oggi è considerato il centro economico e culturale di Bari. Negli ultimi quarant’anni, come è accaduto in molte città del Sud Italia, è stato abitato dalle fasce più deboli della comunità, quindi da numerosi migranti. È uno dei quartieri più multietnici della città e come tale ci sono molti spazi di “libertà” e tolleranza. Bari è una città accogliente, che si affaccia sul mare. Tuttavia non si può negare che anche qui abbiano attecchito narrazioni populiste, il Libertà è diventato per politici e giornali il “quartiere ghetto abitato da criminali e clandestini”. E la convivenza tra le componenti sociali è stata sempre più compromessa da politiche e campagne mediatiche irresponsabili incentrate sull’odio e sulla caccia allo straniero.

In molti Paesi, come il Senegal e la Nigeria, da cui provengono i due protagonisti, le persone LGBT non solo subiscono discriminazioni, persecuzioni e violenze, ma l’omosessualità è un reato punito con il carcere. In questi casi l’Italia prevede la possibilità di richiedere la protezione internazionale, eppure spesso la domanda non viene accolta. Oltre al tutte le difficoltà connesse con la burocrazia, come vengono accolti i migranti LGBT in Italia? Le comunità migranti legate al paese d’origine presenti sul territorio italiano, come si rapportano con le persone LGBT?
Questi ragazzi vengono accolti, ma rischiano di subire le stesse discriminazioni che li hanno portati a fuggire. Non dimentichiamo che le politiche degli ultimi anni, legittimate da un razzismo che è diventato quasi di Stato, hanno creato numerose tensioni. E molti migranti preferiscono frequentare i loro connazionali. Ora, immaginate un ragazzo senegalese omosessuale, scappato dal suo paese perché minacciato, arrivare in Italia ed essere costretto a continuare a vivere con altri senegalesi, nascondendo la propria identità. È un corto circuito, amplificato in molti casi dall’assenza di documenti, senza i quali è impossibile trovare un lavoro stabile, che consenta loro di emanciparsi economicamente e allontanarsi da alcune situazioni.

La religione ha una presenza importante nella vita dei due protagonisti. Come vengono accolti all’interno delle diverse comunità religiose di cui fanno parte?
Nessuno all’interno delle comunità religiose sa che B. e C. sono omosessuali. Quindi non si può parlare di accoglienza. I protagonisti di Libertà vivono la sfera religiosa in maniera molto personale e questo mi ha colpito molto. Siamo abituati a pensare a religione e omosessualità come due universi in eterno conflitto. La realtà, però, è sempre più complessa. Ho ritrovato una profonda fede in questi ragazzi. B. e C. si aggrappano alla spiritualità per non affondare. A mio avviso, sono la dimostrazione di quanto in fondo alcune strutture legate alla religione siano profondamente “umane” e, in quanto tali, utilizzate, strumentalizzate per fini più politici che teologici. Libertà parla di fede, non di Chiesa.

Come sarà distribuito il documentario in un momento come questo in cui i festival e gli eventi legati al cinema sono sospesi?
Libertà è distribuito da Premiere Film ed è stato già selezionato al Film Festival di Chennai, in India, e al boyOHboy di Parigi. Purtroppo stiamo vivendo giorni di incertezza a causa dell’emergenza Covid-19 e stiamo provando a capire con il distributore se il documentario potrà presto tornare ad avere un normale percorso festivaliero, soprattutto in Italia, e poi un approdo sulle piattaforme di streaming. Al momento stiamo aspettando e confidiamo nella riapertura delle sale a giugno, ad ogni modo, dopo l’eventuale prima italiana, abbiamo intenzione di impegnarci in un piccolo tour di presentazione, soprattutto nel mondo dell’associazionismo. È importante ricordare che Libertà gode del patrocinio di Amnesty International. Il documentario è cinema politico, è suo dovere alimentare un dibattito.

Guarda il trailer

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Savino Carbone

Regista e fotoreporter

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