di Raul Caruso. Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.
Una proposta, certamente “non convenzionale” per far fronte alla crisi economica che farà seguito all’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus è quella del buyback delle armi a livello globale.
Il dissesto economico che seguirà alla pandemia sarà pervasivo e prolungato. Inutile dire che i Paesi che subiranno le peggiori conseguenze saranno quelli più poveri la cui struttura economica risentiva ancora della grande crisi del 2008.
In particolare, tali Paesi già profondamente indebitati non avranno la possibilità di attuare le necessarie politiche di sostegno a imprese e famiglie con conseguenti ricadute sul benessere, le diseguaglianze e la pace sociale.
Nel contempo, non solo molti conflitti armati che hanno cause economiche evidenti potrebbero esacerbarsi ma nuovi potrebbero manifestarsi.
È quindi il momento giusto per proporre una politica non convenzionale che potrebbe portare benefici sostanziali a molti paesi, vale a dire un riacquisto globale di armi convenzionali e armi leggere.
In pratica la comunità internazionale dovrebbe costituire un fondo destinato ad acquistare armi dai governi, principalmente di paesi in via di sviluppo e di Paesi meno sviluppati, per poi distruggerle.
Tale buyback globale dovrebbe essere implementato e finanziato attraverso un accordo multilaterale e gestito da un’agenzia o commissione speciale presso l’Onu.
È evidente che due sarebbero gli scopi che si andrebbero a perseguire. In primo luogo si darebbe una nuova spinta a processi di disarmo che sembrano ormai un ricordo del passato. L’ultimo rapporto dell’Istituto internazionale di Ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) mostra che nel 2019 la spesa militare a livello globale ha raggiunto un nuovo picco ed è superiore del 7,2% rispetto al 2010.
In secondo luogo, i Paesi potranno beneficiare di iniezioni di liquidità ricevendo in cambio delle armi pagamenti diretti in tempo breve o creare una riserva a cui attingere per far fronte alle difficoltà negli anni a venire. Questi pagamenti sarebbero decisamente diversi dai prestiti del Fondo monetario internazionale che, come è noto, sono soggetti a una dura condizionalità.
In secondo luogo, tale compensazione monetaria potrebbe anche creare maggiori incentivi al rispetto dei cessate il fuoco e dei trattati di pace se i paesi belligeranti partecipassero nello stesso periodo.
Inutile nascondere, però, che Governi opportunisti potrebbero cedere armi (magari in disuso e obsolete) all’agenzia designata ma poi alla fine comprare nuove armi. Servirà, quindi, un sistema
di monitoraggio efficiente nonché un insieme di incentivi e condizioni vincolanti.
Tra le altre cose, ad esempio, il riacquisto potrebbe essere collegato non solo a una disponibilità di liquidità in tempi brevi ma anche a un programma di riduzione del debito nel medio termine.
Per molti paesi vi sarebbero benefici sostanziali. Nel 2017 le importazioni di armi dei paesi nel quinto quintile in termini di Pil pro capite – vale a dire i paesi più poveri – sono state pari a quasi 8 miliardi di dollari (fonte: World Military Expenditures and Arms Transfers – Wmeat). Tale cifra supera il piano globale umanitario da 2 miliardi di dollari lanciato dal segretario generale dell’Onu per i Paesi più poveri, ma anche la dotazione del Catastrophe Containment and Relief Trust (Ccrt) del FMI (adesso di 500 milioni di dollari per crescere fino a 1,4 miliardi nei prossimi due anni).
Consideriamo alcuni casi concreti. Il Mali nel 2017 ha acquisito 0,1 miliardi di dollari di armi e nelle ultime settimane ha ricevuto 9,95 milioni (0,01 miliardi) in ambito Ccrt. Il Ruanda nel 2016 ha importato armi per 0,1 miliardi di dollari e ha ricevuto 10,9 milioni (ovvero 0,01 miliardi) in ambito Ccrtt oltre a 109,2 milioni (0,109 miliardi) secondo il meccanismo di credito rapido del Fmi.
In breve, per molti Paesi a basso reddito le compensazioni da parte di un fondo di riacquisto potrebbero essere sostanziali anche se a essere ceduta fosse solo una percentuale ridotta degli arsenali esistenti.
Invero, dato che la pandemia determinerà tendenze alla rottura e alla disgregazione del sistema esistente, è necessario proporre idee, regole e strumenti nuovi. L’idea di un fondo globale per il buyback delle armi risponde a questa esigenza, ma soprattutto potrebbe costituire un elemento cardine di una nuova strategia per il disarmo e la costruzione della pace.

Raul Caruso
Economista, Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Direttore del Center for Peace Science Integration and Cooperation (CESPIC) di Tirana.