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After Lockdown

by Gaetano De Monte

di Gaetano De Monte. Giornalista

Dimenticate o quasi, ormai, dalla fine in maggio in poi, le misure restrittive delle libertà applicate dal Governo Conte per contrastare l’epidemia da Covid-19, il dolce e l’amaro che emerge dalla fotografia della società italiana scattata da Amnesty International in un rapporto scritto nei tre mesi di lockdown e consegnato ieri al presidente Conte. Il duro monito lanciato dall’organizzazione: «le istituzioni, a ogni livello, devono fare tutto il possibile perché le discriminazioni e gli abusi avvenuti durante la Fase 1 non si ripetano». Nel rapporto di Amnesty, però, vengono raccontate anche alcune delle tante buone prassi solidali messe in atto da associazioni, attivisti e spazi sociali.

Ventimila persone multate in Italia, soltanto nel primo fine settimana di aprile, perché trovate fuori casa senza giustificato motivo. Tra di loro c’era un uomo originario del Marocco che era stato sanzionato a Roma, il 6 aprile, nei pressi della stazione Termini, il  quale sul verbale alla voce  dichiarazioni del trasgressore aveva fatto annotare: «Vivo per strada». Eppure, ciò non gli aveva evitato di ricevere l’importo della sanzione: 280 euro se pagata entro 30 giorni, altrimenti 400. E, come l’uomo, almeno cinquantamila persone hanno vissuto, letteralmente, per strada, in Italia, al tempo del lockdown, durante i mesi dello stato d’emergenza proclamato dal Governo Conte, e tutti loro hanno rischiato anche di prendere le multe.

Ora una corposa indagine di Amnesty International e contenuta in un rapporto consegnato ieri a Palazzo Chigi (insieme alle firme raccolte per la campagna Nessuno Escluso) rivela compiutamente, in maniera sistematica, il paradosso dell’obbligo di “restare a casa” «per le oltre 50.000 persone che una casa non ce l’hanno e che vivono per strada, senza cibo, servizi igienici e assistenza sanitaria», è questo l’allarme lanciato dall’organizzazione internazionale che nel rapporto ha denunciato storie realmente accadute negli scorsi mesi, di questo tipo: «a Roma pur in assenza di alternative, per quattro giorni consecutivi è stato sgomberato il presidio di accoglienza allestito dietro alla stazione Tiburtina da Baobab Experience». E ancora, ha riferito notizie rimaste quasi sotto traccia nel dibattito pubblico, come questa: «a causa delle ripercussioni economiche della pandemia, oggi un milione di bambini in più, in Italia, potrebbe trovarsi in condizioni di povertà assoluta, stato in cui vivono già 1,2 milioni di minori nel nostro paese, passando dal 12 al 20 per cento».

Racconti di discriminazioni e di ricatti, come quello subito dall’operaio dell’Ex Ilva ‒ ora Arcelor Mittal ‒ la fabbrica di Taranto da cui l’uomo è stato licenziato per aver denunciato l’insufficienza di dispositivi di protezione individuale per gli operai di uno dei posti di lavoro più pericolosi in Italia, a prescindere dal Covid, l’ex l’Ilva di Taranto, appunto; dove il sindacato Usb ha denunciato che non sarebbe neppure il primo caso, di primo provvedimento, del genere, punitivo e discriminatorio. Punitivo come il licenziamento subito da un lavoratore della Cooperativa Ampast che operava all’interno della Rsa Fondazione Don Gnocchi che è da mesi al centro di una delle inchieste della Procura di Milano che indaga per epidemia e omicidio colposi.

Dunque, dalle multe ai senza dimora e pure in alcuni casi ai volontari che distribuivano il cibo, alle discriminazioni subite dai gruppi vulnerabili nell’accesso ai servizi essenziali, fino alle condizioni di lavoro insicure denunciate dai lavoratori delle “filiere giudicate essenziali” come il personale sanitario, i corrieri, gli operai, i rider ‒ con i dati dell’Inail aggiornati al 22 maggio che raccontano di più di 40.000 contagi da Covid-19 di origine professionale denunciati tra la fine di febbraio e il 15 maggio in Italia ‒​ ecco di tutto ciò hanno riferito ieri da Amnesty International alla Presidenza del Consiglio; di come, cioè, «la pandemia ci ha messo di fronte ad alcune storture del tessuto socio-economico, vissute nell’ordinarietà da coloro che sono relegati al ruolo di invisibili», hanno spiegato da Amnesty: «È il caso delle carceri, dove l’esigenza di contenere il Covid-19 si è scontrata con i problemi cronici del sistema penitenziario italiano, dal sovraffollamento ai vari fattori che rendono difficili le condizioni di detenzione e di lavoro all’interno delle case circondariali». Contesto in cui si è manifestata l’ossessione e l’ansia di sicurezza che affama questo paese, come denunciato da altre organizzazioni.

Una società, quella italiana, che però non ha mancato l’appuntamento durante i giorni più duri della pandemia con la sfida politico-sociale decisiva rappresentata dal mutualismo. E da Amnesty non hanno dimenticato di riferirle, molte di quelle esperienze. Buone prassi, le hanno definite. Così, si va dalla distribuzione di mascherine e prodotti igienizzanti, l’iniziativa solidale lanciata da mediterranean hope per i migranti che abitano nei ghetti della Piana di Gioia Tauro, alle donazioni fatte da cittadini di Ferrara nei confronti di un gruppo di studenti stranieri rimasti esclusi dai bonus spesa a causa dei criteri restrittivi decisi dalla giunta comunale; e poi: dalle undici mila famiglie di Milano raggiunte dagli aiuti alimentari e dai beni di prima necessità distribuiti dalla Brigata Lena-Modotti di Milano, alle esperienze romane di solidarietà dal basso; Bologna, dove è stato organizzato un Pronto soccorso psicologico destinato agli operatori sanitari e ai lavoratori precari.  E in tanti altri posti, da Nord, a Sud, le buone prassi solidali sono sbocciate.

È tra il dolce e l’amaro la fotografia della società e delle istituzioni italiane scattata da Amnesty International nell’indagine portata avanti nei tre mesi di lockdown «In Italia, come in altri stati europei, le misure per il contenimento del virus hanno avuto un forte impatto sui diritti delle persone. In due mesi di monitoraggio ci siamo imbattuti in tante criticità e in molteplici forme di esclusione e discriminazione, che accrescono il livello di diseguaglianza e ledono i diritti umani», dice Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty. Gli fa eco, nella denuncia, Giulia Groppi, responsabile delle relazioni istituzionali dell’organizzazione. Che dice: «Le ripercussioni delle misure adottate durante il lockdown continueranno a produrre effetti, abbattendosi soprattutto su coloro che si trovano in condizione di svantaggio socio-economico». E poi conclude: «Le istituzioni, a ogni livello, devono fare tutto il possibile per tutelare i diritti fondamentali di ogni persona e per garantire, qualora dovessero replicarsi le circostanze che hanno portato al lockdown, che le discriminazioni e gli abusi avvenuti durante la Fase 1 non si ripetano».

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Gaetano De Monte

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