di Redazione Confronti.
Maddalena e le altre: questo il titolo di un’ampia riflessione – datata 31 maggio, giorno di Pentecoste – della Comunità cristiana di base di san Paolo in Roma, dedicata a La Chiesa, le donne, i ministeri nel vissuto di una storia. Si tratta di una testimonianza, per raccontare come e perché quella Comunità, animata da Giovanni Franzoni (deceduto nel 2017), dopo un lungo confronto, e ascoltati anche teologi, teologhe e competenti di esegesi biblica, mise in primo piano il “sacerdozio comune”, e già a metà degli anni Settanta del secolo scorso arrivò alla conclusione che anche le donne, al pari degli uomini, possono spezzare il pane eucaristico, e celebrare e presiedere la Cena del Signore. Questa prassi decennale, nel libro documentata, viene inserita in un quadro biblico e storico che spiega il fondamento biblico e storico delle scelte compiute. Del testo riportiamo qui alcuni paragrafi dell’ouverture.
Cercando di vivere in modo consapevole la nostra esperienza cristiana, è stato “inevitabile” imbatterci anche sul significato dell’Eucarestia, su “chi” può presiederla, e dunque sul problema dei ministeri. Spinti non solo da eventi conngenti che toccavano la possibilità stessa di esistenza della nostra Cdb, ma anche incoraggiati da alcuni input del Concilio Vaticano II e confortati dagli studi e dalle conclusioni di valentissimi e valentissime competenti dell’esegesi biblica e della teologia, in proposito siamo arrivati a capire che, storicamente e biblicamente, non sono più difendibili la dottrina e la prassi cattoliche ufficiali che escludono le donne, in linea di principio, dalla possibilità di celebrare e presiedere la Cena del Signore.
Eppure… è un dato di fatto che quasi tutte le Chiese, per secoli e secoli, hanno dimenticato il mandato di Gesù a Maria di Magdala (Migdal, in ebraico: villaggio sulle rive del lago di Tiberiade, non lontano da Cafarnao); e, perciò, hanno compiuto una ingiustizia che ha pesato moltissimo non solo sulle donne, ma sull’intera Chiesa – per quanto di ciò a lungo nesciente – , costruita appunto e pensata come maschilista e patriarcale. In merito, affronteremo in particolare la teoria e prassi della Chiesa cattolica romana che, stando così le cose, è “impossibilitata” ad uscire dalla torre teologica e dogmatica in cui si è rinserrata, a meno che, con un soprassalto di coraggio e di sapienza, non decida finalmente di calare il ponte levatoio che la rinchiude e la difende, per aprirsi alle novità che lo Spirito ispira.
Descriveremo questa torre dalle mura altissime, che non riguardano solo il passato: anche vicende ecclesiali recenti, infatti, lo confermano. A Roma, nell’ottobre 2019, un Sinodo dei vescovi dedicato all’Amazzonia aveva dimostrato una certa audacia perché – partendo dal fatto che, laggiù, comunità ecclesiali disperse nella foresta profonda vedono il prete celibe solamente una volta ogni uno o due anni – aveva dato al papa questo consiglio: «Proponiamo che l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni, nel quadro del n. 26 della Lumen gentium[costituzione del Vaticano II sulla Chiesa], per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo aver una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana mediante la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica».
Un testo – rileviamo – teologicamente e sintatticamente travagliato, segno della difficoltà di tener conto di punti di vista assai articolati perché siano ammessi al presbiterato, seppure in presenza di molte condizioni restrittive, diaconi già sposati [viri probati, di fatto]. Invece, a proposito delle donne, pur lodando tantissimo il loro decisivo apporto alla vita di quelle comunità, il Sinodo non aveva osato chiedere neanche il diaconato. Comunque, dopo tante attese, è arrivata l’Esortazione post-sinodale Querida Amazonia di Francesco, datata 2 febbraio 2020 e pubblicata dieci giorni dopo.
Siamo totalmente d’accordo con tale documento quando, con piena solidarietà e grande tenerezza, si schiera al fianco dei popoli originari dell’Amazzonia, affinché il loro ecosistema sia garantito, i loro territori custoditi, i loro fiumi mantenuti potabili: insomma a difesa del loro diritto di vivere in dignità, protetti dalle mani di rapina che vorrebbero saccheggiare quelle terre a spese di chi le abita da millenni.
L’Esortazione sostiene, poi, le ragioni degli indigeni decisi a mantenere la loro variegata cosmogonia e la loro spiritualità. Benissimo. Ma queste parole, purtroppo, sul versante ecclesiale il papa non le ha inverate: egli infatti, bypassando i consigli del Sinodo, “dimentica” la proposta che diaconi indigeni sposati possano essere consacrati presbìteri; inoltre egli non esplicita che anche donne siano ammesse in tutti i ministeri, o almeno nel diaconato; e perché no? Per non volerle “clericalizzare”, precisa.
Ma ci rendiamo conto che, forse, non è un Sinodo dei vescovi, o un papa da solo che possono cambiare profondamente teologie e prassi che durano da secoli: solo un inedito Concilio – di “padri” e “madri”, e dunque non più clericale – potrebbe farlo. Non è in questione, infatti, un dettaglio: si tratta di mettere in discussione dalle fondamenta il concetto stesso di sacerdozio ministeriale (mediazione necessaria tra il popolo e Dio) affidato ai maschi, meglio se celibi, per arrivare a edificare, invece, una Chiesa caratterizzata da ministeri (servizi per il popolo di Dio), tutti aperti a donne e uomini. Ministeri derivanti dal sacerdozio comune radicato nel battesimo, come bene ha messo in evidenza la Riforma.
Il “sacerdozio” ministeriale, se esercitato anche dalle donne, renderebbe ovviamente meno patriarcale la Chiesa, e vi indurrebbe importanti cambiamenti istituzionali e pastorali; ma risolverebbe, in prospettiva e in profondità, i problemi? Esso, infatti, è estraneo al pensiero di Gesù che mai ha parlato di “sacerdozio” per chi Lo avesse seguito, ma di “discepolato” e di “servizio” [diakonìa]; quel “sacerdozio”, d’altronde, perpetuerebbe separazioni e steccati all’interno del popolo di Dio.
Sarebbe l’ora, invece, come molte e molti nell’intera Ekklesia pensano (e anche noi ci inseriamo in questo fiume), di dilatare tutti i “ministeri”, “servizi” possibili sia a donne che uomini se chiamati a compierli in e da una comunità. Si tratterebbe, nientemeno, che di riconoscere: è stata una scelta infelice, infelicissima la costruzione, nei secoli, di una Chiesa dove il carisma della presidenza dell’Eucarestia è stato considerato – ma agli inizi non era così! – privilegio dei maschi.
Oggi, per superare questa ferrea barriera [del “no” alle donne nei ministeri] si dovrebbe, dunque, operare un cambiamento profondo e radicale di paradigma teologico, accettando che il tempo della Chiesa maschilista vada considerato compiuto e chiuso; e che ora, per gli anni e decenni a venire, ci si dovrebbe impegnare perché si dischiuda tra le doglie del parto il tempo della Chiesa dove, come Pietro e gli altri, anche Maria Maddalena e le altre possano annunciare pure nell’Ekklesia l’Evangelo e presiedere la Cena del Signore.
[pubblicato su Confronti 07-08/2020]
All’alba del XXI secolo un’inquietudine percorre il Cattolicesimo: perché mai la Chiesa ha disatteso l’esempio di Gesù verso le donne, che invece le prime comunità cristiane seguivano? E se il sacerdozio – la mediazione tra la persona umana e Dio – era estraneo al pensiero di Gesù di Nazareth, perché la Chiesa lo ha introdotto, creando una struttura patriarcale e gerarchica? L’esclusione delle donne dalla possibilità di celebrare e presiedere l’Eucaristia è un problema che riguarda solo l’ambito religioso, oppure, nella nostra società, favorisce una mentalità che porta a discriminazioni e violenze contro le donne?
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