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Sei gradi di separazione

by Goffredo Fofi

di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.

La teoria sociologico-statistica dei “sei gradi di separazione” funziona così: A conosce o incrocia B, che ha a che fare con C, che conosce D, che incrocia E eccetera, per non più di sei passaggi. I collegamenti che ciascuno e ciascuna di noi può scoprire attraverso questo “gioco” sono sorprendenti.

Mi appassionò molto, quando ne venni a conoscenza non troppi anni fa, la teoria sociologico-statistica dei “sei gradi di separazione”. Dice grosso modo che tra un individuo X, me per esempio, e un qualsiasi altro essere umano abitante sul pianeta Terra, corrono al massimo sei gradi di separazione. Funziona così: A conosce o incrocia B, che ha a che fare con C, che conosce D, che incrocia E eccetera, per non più di sei passaggi.

Mi inorgoglii molto, per esempio, al pensiero che tra me e Gandhi e Simone Weil il grado di separazione fosse di appena uno, avendo io conosciuto il poeta-profeta siculo-francese Lanza del Vasto che fu amico della seconda e visse per un po’ in India accanto al primo (come ha raccontato in Pellegrinaggio alle sorgenti), o, su un fronte decisamente diverso, che il mio grado di separazione da Lenin, Trotskij, Gramsci, la Kollontaj fosse ancora di uno, essendo stato amico di Alfonso Leonetti, che fu tra i fondatori del Partito comunista italiano e fece parte dell’Internazionale!

Ma più ancora mi commuove pensare non solo all’un grado di separazione che, tramite la mia amicizia con Gustaw Herling – il grande scrittore polacco che è vissuto ed è morto a Napoli, dove si era rifugiato dopo la guerra sposandovi Lidia, una delle figlie di Croce – c’era tra me e il grande poeta Czesław Miłosz o il grande scrittore Witold Gombrowicz o il grande regista Andrzej Wajda, ma soprattutto con quei “dannati della storia” di cui Herling ha raccontato nella sua bellissima memoria sul gulag, Un mondo a parte.

Quando Hitler e Stalin si spartirono la Polonia, toccò in destino al giovane militante di sinistra Gustaw Herling di trovarsi dalla parte occupata dai sovietici e di venir spedito in Siberia, da cui poté uscire solo quando Stalin, per vincere la guerra, autorizzò il generale polacco Anders a ricostituire un piccolo esercito liberando i polacchi suoi prigionieri, e Gustaw si ritrovò a combattere a Montecassino…

Ebbene, l’un grado di separazione tra me e i compagni di prigionia di cui Herling ha narrato, non mi commuove certamente di meno, anzi al contrario, di quello con certi personaggi della storia e delle arti del Novecento. Con i “senza- nome”, considerati dagli storici non-protagonisti e non “eroi”, solo comparse, solo come seguaci o come vittime, come massa priva di volto.

Come dice Leopardi nella Ginestra, l’uomo degno è colui che «tutti fra sé confederati estima / gli uomini e tutti abbraccia / con vero amor». Non oso mettermi tra i degni, ma certamente è verso i senza-nome, i subalterni e le vittime che è sempre andata la mia più grande simpatia e solidarietà, forse anche perché è da lì che vengo e in tanti si viene: dai senza-nome per i quali Marx diceva che anche van fatte le rivoluzioni: perché le loro sofferenze non siano state del tutto vane…

Di Herling, la cui opera finalmente hanno scoperto in molti grazie al Meridiano che gli ha dedicato la Mondadori meno di un anno addietro, voglio anche ricordare che, disprezzato dai comunisti italiani al tempo di Stalin e di Togliatti, fu però amico e collaboratore di due grandi intellettuali che ne seppero capire subito la qualità invitandolo a collaborare alla rivista che dirigevano, Tempo presente. Erano Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, e ho avuto la fortuna di conoscere anche loro. E grazie al primo un solo grado di separazione mi separa dai contadini della Marsica da cui Silone proveniva e le cui pene e la cui rivolta ha mirabilmente narrato in Fontamara, e grazie al secondo dai tanti combattenti noti e ignoti della Repubblica spagnola al tempo della guerra civile.

Potrei continuare, ma un gioco di questo genere può farlo qualsiasi, e se è importante e degno considerare coloro che hanno lasciato un segno nella storia e nella storia della cultura, non è meno importante il legame che ci ha unito e ci unisce e deve unirci a qualsiasi altro essere umano, forse soprattutto oggi, nel presente della nostra Storia. E se tra loro ci possono appartenere di più le vittime e i ribelli, tuttavia questo deve avvenire considerando nostri “confederati” tutti i viventi. E non solo gli umani…

Alla fine del 1991 abitavo a Napoli e Gustaw mi invitò a raggiungere lui e Lidia a casa, dalle parti di piazza Amedeo, perché brindassimo alla caduta dell’impero sovietico! «Ero certo che non avrei mai visto questo giorno», mi disse, e aggiunse di aver pensato intensamente ai compagni che aveva visto morire nel gulag. Ai dimenticati assoluti, alle vittime “senza-nome”.

[pubblicato su Confronti 07-08/2020]

Photo: © Doriano Strologo

Goffredo Fofi

Goffredo Fofi

Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.

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