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Irrilevanti

by Fulvio Ferrario

di Fulvio Ferrario. Professore di Teologia sistematica e decano della Facoltà valdese di teologia di Roma.

Se, durante il lockdown, si era acceso un dibattito sulla necessità di riaprire le chiese per consentire l’esercizio di culto ai propri aderenti, dopo la quarantena, qualcosa sembra essere rimasto come prima: la diserzione della liturgia da parte delle cristiane e dei cristiani.

Ulrich J. Körtner, uno dei più interessanti teologi europei, rilevava recentemente, su una rivista evangelica, che la pandemia ha mostrato con chiarezza che le Chiese sono «irrilevanti dal punto di vista sistemico».

In parole povere, ciò significa che se chiudi il tabaccaio, va in crisi qualcosa di importante, perché chi fuma resta senza la dose giornaliera; se invece chiudi la chiesa non succede nulla. Dunque il tabaccaio, in ogni caso «rilevante dal punto di vista sistemico», resta aperto e la chiesa no.

I vescovi italiani, per la verità, se n’erano accorti da un pezzo e avevano alzato la voce, ma con un successo inferiore, o almeno differito, rispetto a quanto avrei immaginato.

Anche esponenti cattolici non abitualmente allineati con la Conferenza Episcopale non hanno
nascosto una viva perplessità, forse uno scandalo. Circolava il sospetto, menzionato anche
da Körtner, di un attentato alla libertà di culto: un tema polemico che, se capisco bene, non è poi stato cavalcato fino in fondo, forse anche perché subito strumentalizzato dal populismo più deteriore.

In realtà, i regimi attaccano la libertà di culto quando essa rischia di essere, dal punto di vista sistemico, rilevante: quando cioè il suo esercizio o meno cambia qualcosa nella vita della società.

Nel caso contrario, che è quello che si verifica nella nostra Europa, non c’è nessun bisogno di attaccare la fede e le sue agenzie: sono già atrofizzate per conto loro.

Quello che però non viene sottolineato, nemmeno da Körtner, è che le Chiese sono irrilevanti anche per i loro membri: la percentuale dei protestanti tedeschi che frequenta regolarmente il culto è ben al di sotto del 10% di quanti appartengono ufficialmente alla Chiesa, che a loro volta sono una minoranza nella società.

Tra i cattolici va solo leggermente meglio. Prova del nove: quando le chiese sono state riaperte, non risulta che, nonostante le limitazioni, ci fossero folle debordanti, tenute a bada con difficoltà nel loro tentativo di accedere alle chiese, mandando in crisi il distanziamento.

Sembra dunque che, dopo la quarantena che si dice abbia cambiato il mondo, almeno qualcosa sia rimasto come prima: la diserzione della liturgia da parte delle cristiane e dei cristiani.

Naturalmente si può sempre osservare che l’appartenenza cristiana ed ecclesiale non coincide con la sola frequenza liturgica ecc. È un argomento soprattutto protestante, ma almeno nella società secolarizzata si tratta di clamorosa panzana.

Certo: appartenere a una Chiesa non vuol dire soltanto frequentarne le liturgie, così come vivere non significa soltanto mangiare e bere. Se però non si fanno queste due cose, si muore di inedia, che è esattamente quel che sta accadendo alle Chiese europee.

Il loro stato comatoso non è dovuto a pressioni esterne: anzi, in molti Paesi, alcune di esse continuano a godere di rendite di posizione che non corrispondono affatto alla loro «rilevanza dal punto di vista sistemico».

In Germania si assiste a sante alleanze ecumeniche per difendere tali vantaggi; in Italia, poiché li detiene quasi solo la Chiesa cattolica, è normale che essa li difenda in proprio. A mio parere non c’è da scandalizzarsi.

I privilegi sono come il potere secondo Andreotti: logorano, ma solo chi non li ha. Basta sapere, però, che si tratta di una battaglia di retroguardia. Il potere garantisce vantaggi alle Chiese perché le considera(va) «rilevanti dal punto di vista sistemico». Che si accorga che non lo sono più e ne tiri le conseguenze, è solo questione di tempo.

Anziché piagnucolare sul bel tempo andato, mi chiedo perché le Chiese cristiane non facciano uno sforzo per essere rilevanti almeno per chi dice di farne parte.

Le micidiali discussioni su come far giungere il messaggio alla “società” (tema spesso etichettato come “evangelizzazione”), meritano il loro posto, in testa a tutte le classifiche sulla produzione di aria fritta, finché non ci si chiede per quale motivo questo benedetto “messaggio” non è accolto nemmeno dalle Chiese stesse.

Il dramma delle Chiese europee non è l’incredulità che le circonda, bensì quella che le attraversa. Normale poi che, nel medio termine, la seconda trapassi nella prima.

[pubblicato su Confronti 09/2020]

Fulvio Ferrario

Fulvio Ferrario

Professore di Teologia sistematica e decano della Facoltà valdese di teologia di Roma

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