di Enzo Nucci. Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.
Abiy Ahmed è il giovane Primo ministro etiope che ama dare di sé l’immagine di un politico illuminato e riformista. Tuttavia le recenti repressioni delle proteste di piazza e la scelta di rinviare le elezioni politiche fissate per il 30 settembre a data da destinarsi a causa del Coronavirus rivelano il suo vero volto e rischiano di riaccendere il conflitto etnico tra tigrini, oromo e amara.
Le accuse che i gruppi per la difesa dei diritti umani gli muovono sono gravissime: uso eccessivo della forza nella repressione delle proteste di piazza (in cui sono stati uccisi centinaia di manifestanti), di aver approfittato della grave crisi politica per arrestare dirigenti dell’opposizione e per mettere a tacere media indipendenti. Ed anche il probabile ricorso a gruppi paramilitari che nascosti tra i contestatori ne hanno ferito decine a coltellate e sprangate.
Sul banco degli imputati non è il “solito” dittatore africano che cerca di perpetuare il suo potere ma il giovane primo ministro etiope Abiy Ahmed, 44 anni, balzato agli onori mondiali con l’assegnazione del premio Nobel per la pace nel 2019 dopo la storica firma che ha messo fine alla guerra ventennale con la confinante Eritrea.
Un politico riformista ed illuminato, questa l’immagine che ama offrire di sé l’ex militare di etnia oromo. Ma che lo scorso 30 giugno non ha esitato ad ordinare di sparare sui manifestanti (tutti di etnia oromo) proprio come faceva il precedente governo (guidato da esponenti di etnia tigrina) di cui lui stesso faceva parte prima della nomina a premier nel 2018 dopo che le proteste di piazza spazzarono via il governo presieduto dal tigrino Hailermariam Desalegn.
A scatenare malcontento e violenze l’omicidio del musicista Hachalu Hundessa, 35 anni, simbolo della Oromia, uno dei 9 stati regionali dell’Etiopia che si estende nell’area centro occidentale. Gli oromo rappresentano il 30% dei 110 milioni di abitanti ed è la comunità etnica più numerosa. Ma accusano da tempo il governo centrale di escluderli dalle decisioni politiche e di procedere alla sistematica cancellazione della loro presenza storica e culturale. Accuse gravissime che non si sono fermate neanche di fronte alla nomina a premier di Abiy Ahmed, di padre oromo.
Le canzoni di Hachalu Hundessa (arrestato per la prima volta a 17 anni da studente liceale e condannato a 5 anni di prigione per aver partecipato alle proteste contro il regime tigrino) diventarono la colonna sonora della resistenza. Una delle sue composizioni più popolari raccontava la deportazione degli oromo dalla capitale Addis Abeba (che è il cuore della loro terra) decisa dal governo nel 2015 per costruirvi enormi edifici in nome del celebrato “miracolo etiope”.
Hachalu Hundessa era un simbolo in grado di mobilitare con le sue canzoni enormi masse di oromo, come testimonia il gigantesco concerto che tenne nella capitale nel dicembre 2017 per raccogliere fondi per gli sfollati. Più volte aveva denunciato di aver ricevuto minacce dai suoi avversari. Fino ad ora non sono emersi collegamenti tra la sua esecuzione ed esponenti governativi ma il commento a caldo del premier non è stato interpretato con favore.
Abiy Ahmed ha infatti dichiarato che l’omicidio è stato ispirato e commissionato da nemici nazionali e stranieri per destabilizzare il paese con l’intento di impedirne il raggiungimento degli obiettivi prefissi. Una allusione neanche troppo velata all’Egitto con cui il governo etiope rischia il conflitto armato per la spinosa e delicata disputa sullo sfruttamento delle acque del fiume Nilo, fonte di ricchezza e sopravvivenza per tutte le nazioni africane che ne vengono bagnate.
L’affermazione non è servita ad allontanare i sospetti ma anzi a rinfocolare le proteste a cui si sono aggiunti anche gli amara (comunità etnica pari come rilevanza numerica agli oromo) che accusano il premier di indicare false piste per eludere le sue responsabilità nella crisi che attanaglia l’Etiopia.
La scelta di rinviare le elezioni politiche fissate per il 30 settembre a data da destinarsi a causa del Coronavirus rischia di riaccendere il conflitto etnico tra tigrini, oromo e amara. Il primo ministro è accusato di usare il contagio per restare al potere.
Il parlamento regionale del Tigray annuncia che terrà proprie elezioni, sfidando così il governo centrale, mentre gli oltranzisti si stanno armando per prepararsi alla secessione. I nazionalisti amara soffiano sul fuoco del risentimento contro la classe dirigente tigrina.
L’eventuale intervento dell’esercito federale in conflitti interni che potrebbero accendersi sancirebbe la fine del sogno etiope, dove si è fermato il processo democratico avviato con grande fatica e coraggio da Abiy Ahmed appena due anni fa.
[pubblicato su Confronti 09/2020]

Enzo Nucci
Corrispondente della Rai per l’Africa subsahariana.