di Marta Moretti. Avvocato, esperta di diritti umani.
L’Unione europea (UE) ha saputo reagire all’emergenza sanitaria e alle ricadute economiche su Stati, imprese e lavoratori con maggiore tempestività e determinazione di quanto fosse avvenuto all’indomani dello scoppio della crisi finanziaria nel 2008 e di quanto sia mai riuscita a fare nella gestione dell’immigrazione.
Dopo qualche esitazione iniziale e alcune battute d’arresto, dovute principalmente alle divergenze politiche tra i governi nazionali, a partire da marzo, tutte le Istituzioni europee hanno intrapreso delle iniziative importanti, dando un contributo significativo alla soluzione dei molteplici problemi legati alla pandemia.
In particolare, per far fronte alla grave situazione economica e sociale, l’UE ha fatto ricorso a vari strumenti innovativi come il programma di acquisto di titoli di Stato della Banca centrale europea (il Pandemic Emergency Purchase Programme), l’applicazione flessibile delle norme sugli aiuti di Stato alle imprese e delle regole di bilancio europee (grazie all’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita), la possibilità di ottenere prestiti dal Meccanismo europeo di stabilità per sostenere spese sanitarie e di prevenzione legate al Coronavirus (condizionati solo all’effettiva destinazione dei fondi), la creazione del fondo “SURE” (sostegno per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza, ad esempio, per integrare la cassa integrazione), i finanziamenti erogati alle imprese dalla Banca europea per gli investimenti.
L’ultimo importante sviluppo dell’azione dell’UE per contrastare la crisi economica innescata dalla pandemia è rappresentato dall’accordo raggiunto nel vertice del Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020 sul quadro finanziario pluriennale (QFP) per il 2021-2027 e uno specifico strumento per la ripresa, il Next Generation EU.
Sorprendentemente indicato come un successo sia dai leader dei Paesi “frugali” che da quelli dello schieramento opposto (come Francia e Italia), l’accordo ha suscitato per lo più un cauto ottimismo verso il futuro dell’UE.
Infatti, chi non ha interesse a celebrare o a denigrare l’esito di questo difficile negoziato non può che constatare che l’UE si stia sforzando di diventare più solidale (un traguardo essenziale per la sua stessa tenuta), ma deve vedersela (ancora una volta) con gli egoismi nazionali e i pregiudizi tra i popoli europei, alimentati dalla propaganda politica.
Il cammino verso la solidarietà finanziaria, che appare essenziale per la ripresa socio-economica, è in salita perché manca la fiducia reciproca tra gli Stati membri e persino tra i loro cittadini. Di qui il cauto ottimismo.
La proposta franco-tedesca e l’endorsment della Commissione
Facciamo un passo indietro e vediamo come si è arrivati all’accordo del Capi di Stato e di Governo sul Recovery Plan.
Sin da marzo la Francia aveva proposto la creazione di uno strumento di solidarietà finanziaria tra Stati membri indispensabile per evitare che la crisi socio-economica derivante dall’emergenza sanitaria potesse aggravare le divergenze tra gli Stati e minacciare l’esistenza stessa dell’UE.
Difatti, un mercato unico e una moneta unica esigono la progressiva convergenza tra le economie nazionali. Di qui la proposta francese di correggere gli squilibri macroeconomici (aggravati dalla pandemia) mediante l’emissione di titoli di debito comune, a valere su un bilancio europeo alimentato da risorse proprie, cioè non dipendente dai contributi degli Stati membri.
La proposta francese ha trovato un seguito tra i Paesi più duramente colpiti dalla pandemia, specialmente Italia e Spagna[1].
Sennonché altri Paesi, tra cui la Germania, hanno ribadito la loro contrarietà ad una mutualizzazione del debito, ritenendo che essa possa spingere i Paesi ad indebitarsi nella convinzione che gli altri Paesi interverranno in loro soccorso (moral hazard).
Il 5 maggio la Corte Costituzionale tedesca, in una discussa sentenza, ha espresso seri dubbi sulla legittimità (dal punto di vista del diritto europeo!) del piano di acquisto di titoli di Stato attuato dalla BCE sotto la presidenza di Mario Draghi (il quantitative easing), che ha salvato l’Euro durante la crisi finanziaria scoppiata nel 2008. Si è così profilato il rischio che potesse essere ostacolato l’attuale Pandemic emergency purchase programme della BEI, che finora si è rivelato lo strumento più efficace per preservare la stabilità finanziaria.
Ciò ha indotto il cancelliere tedesco Angela Merkel a rinnovare l’alleanza franco-tedesca per lo sviluppo dell’integrazione europea[2]. Si è così delineato un piano per la ripresa, incentrato su un ingente ammontare di risorse da reperire sui mercati finanziari, mediante l’emissione di titoli rimborsati dal bilancio europeo.
Questa proposta è stata recepita e ulteriormente elaborata dalla Commissione europea. Per quest’ultima gli Stati membri avrebbero dovuto ottenere dal Recovery Fund 500 miliardi di euro in sovvenzioni e 250 miliardi di euro in prestiti.
Il Parlamento europeo ha manifestato a più riprese il proprio favore per la proposta della Commissione.
Entrambe le Istituzioni hanno sottolineato che, per attuare questo ambizioso piano per la ripresa, si dovesse aumentare il bilancio europeo, che attualmente è pari a circa l’1% del prodotto interno lordo dell’UE.
Difatti, senza un aumento del bilancio europeo, quest’ultimo sarebbe per la gran parte destinato al rimborso dei prestiti contratti dall’UE sui mercati dei capitali. Perciò l’UE sarebbe priva di risorse per condurre le proprie politiche e attuare i programmi esistenti.
Il vertice del Consiglio europeo è stato preceduto da intense trattative tra i governi nazionali. Sono emerse profonde divisioni tra gli Stati. Sui temi economici i Paesi “frugali” (tra cui Paesi Bassi e Austria) si sono contrapposti a quelli del Sud Europa (come Italia e Spagna), mentre, per quanto riguarda il rispetto della rule of law, vari Paesi europei hanno cercato di contrastare il cosiddetto fronte di Visegrad (formato, tra gli altri, da Ungheria e Polonia).
Il Presidente del Consiglio europeo ha cercato di trovare una soluzione di compromesso che, senza stravolgere la proposta della Commissione, fosse però accettabile dai Capi di Stato e di Governo.
Il contenuto dell’accordo sul Recovery Plan
Il Vertice del Consiglio europeo si è concluso con un accordo sul QFP per il 2021-2027 e su uno specifico fondo per la ripresa pari a 750 miliardi di euro, che la Commissione potrà reperire sui mercati dei capitali, contraendo prestiti per conto dell’Unione.
L’emissione di titoli di debito comune a livello europeo rappresenta un passo in avanti dell’integrazione europea, essendo un segno tangibile di solidarietà nei confronti degli Stati maggiormente colpiti dall’emergenza sanitaria e dai suoi risvolti socio-economici[3].
Tuttavia, l’accordo è sotto vari profili insoddisfacente rispetto alla proposta della Commissione. Innanzitutto, la quota di sovvenzioni erogabili agli Stati membri (l’unica che conti per i Paesi già indebitati) scende da 500 a 390 miliardi di euro.
Sotto questo profilo, è essenziale che il beneficio derivante da questi aiuti europei non sia azzerato dal ripristino troppo veloce dei vincoli di bilancio[4], che imporrebbe tagli alla spesa pubblica e altre misure di austerity.
Per quanto concerne l’erogazione delle somme, pur non essendo stata accolta la richiesta dei “Frugali” di subordinare la loro assegnazione ad un voto all’unanimità del Consiglio (che avrebbe garantito un potere di veto a ciascuno Stato), è stabilito che se un membro del Consiglio ravvisa dei gravi scostamenti dal soddisfacente coseguimento da parte di uno Stato delle tappe intermedie del suo programma di riforme e investimenti, possa chiedere che la qustione sia deferita al Consiglio europeo. In tal caso, i pagamenti sono sospesi fino a quando quest’ultimo non abbia discusso la questione.
Il rischio è, dunque, di assistere ad aspri confronti tra i Capi di Stato e di Governo nei futuri vertici europei.
Inoltre, l’importo complessivo del QFP per il 2021-2027 sarà pari a 1.074 trilioni di euro, risultando inferiore a quello del 2014-2020, mentre la Commissione aveva chiesto di portarlo a 1,1 trilioni e il Parlamento, addirittura, a 1,3 trilioni[5].
Non a caso, sono previsti dei tagli agli importi destinati ad alcuni programmi europei, inclusi quelli relativi ad obiettivi prioritari dell’UE, come la ricerca e la transizione verde.
L’accordo prevede, poi, delle riduzioni (rebates) dei contributi annui al bilancio dell’UE versati da Danimarca, Paesi Bassi, Austria, Svezia e Germania. Essi dovranno essere compensati dagli altri Stati membri.
L’accordo è piuttosto vago su un aspetto cruciale per l’attuazione del piano di ripresa, vale a dire l’aumento delle risorse proprie dell’Unione, che sono le entrate del bilancio europeo diverse dai versamenti degli Stati in base al reddito nazionale lordo. L’accordo si limita a prospettare l’introduzione, tra il 2021 e il 2023, di una plastic tax, di una carbon tax e di una web tax e, nel prossimo QFP, anche di un’imposta sulle transazioni finanziarie. Non vi è, però, un chiaro impegno a riformare il sistema delle risorse proprie nel senso auspicato dalla Commissione e dal Parlamento.
Per quanto riguarda il rispetto del principio dello Stato di diritto come condizione per accedere ai finanziamenti, l’accordo si esprime in termini meno stringenti della proposta della Commissione. Si prevede che «in caso di violazioni, la Commissione proporrà misure che dovranno essere adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata».
Infine, ma non da ultimo, l’accordo mette in chiaro che l’emissione di un titolo di debito comune da parte della Commissione costituisce una risposta eccezionale ad una situazione estrema e transitoria.
Le questioni aperte e i possibili sviluppi
Come ha sottolineato il Parlamento, l’accordo del Consiglio europeo non mette la parola fine sul QFP per il 2021-2027. Esso sarà seguito da un negoziato tra Parlamento e Consiglio, nel corso del quale il Parlamento cercherà di apportare importanti miglioramenti, soprattutto per quanto attiene alla distribuzione delle risorse tra i programmi europei e alle nuove “risorse proprie”[6].
A tal proposito, va sottolineato che la proposta della Commissione di aumentare il “budget headroom”, ossia la differenza tra la spesa effettiva e l’ammontare massimo che l’UE può chiedere agli Stati, dev’essere approvata dai Parlamenti nazionali.
L’aspetto più deludente dell’accordo sta nell’aver sottolineato il carattere eccezionale e provvisorio della mutualizzazione del debito, associato ad un bilancio europeo in diminuzione. Ciò rende difficile considerarlo un primo passo verso una crescente solidarietà tra i Paesi europei.
Vi è però la possibilità che questo nuovo strumento si riveli così efficace per superare la crisi economica da essere visto come un precedente da ripetere quando se ne verificherà un’altra[7].
L’accordo, in linea con la proposta della Commissione, prevede che le risorse siano ripartite tra gli Stati membri tenendo conto dell’impatto della crisi su di essi. Perciò il nostro Paese ne dovrebbe ricevere una percentuale significativa.
Per accedere ai finanziamenti gli Stati devono presentare dei “piani per la ripresa e la resilienza” in linea con le raccomandazioni specifiche per Paese formulate dalla Commissione in materia di politica economica e con gli obiettivi europei (come la trasformazione verde e digitale).
I piani sono soggetti all’approvazione del Consiglio a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. La valutazione positiva dei piani dipende anche dal soddisfacente raggiungimento delle tappe intermedie e finali entro tempi ben definiti.
Per il nostro Paese si tratta di condizioni sfidanti[8], che però potrebbero costituire un’occasione per migliorare la propria capacità di pianificare e realizzare – con la necessaria tempestività – le riforme strutturali e gli investimenti essenziali per la ripresa economica e il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.
Affinché l’Unione e gli Stati membri superino questa profonda crisi socio-economica è fondamentale che si acquisti la consapevolezza che la solidarietà finanziaria verso i Paesi con le economie più fragili giova al mercato unico e all’Euro, cioè all’UE nel suo complesso.
[1] V. C. Cohen, Plan de relance européen: comment les pays pourront-ils accéder aux fonds?, pubblicato il 21 luglio 2020 su Le Figaro.
[2] V. J. Quatremer, Fonds de relance: les radins en embuscade, pubblicato il 22 luglio 2020 su http://bruxelles.blogs.liberation.fr/.
[3] V. l’editoriale Recovery fund is a huge breakthrough for the EU, pubblicato il 21 luglio 2020 sul Financial Times.
[4] Patto stabilità: Gentiloni, nel 2021 ancora necessario sostegno fiscale, pubblicato il 1° luglio 2020 su Il Sole24Ore.
[5] V. Parlamento europeo, Outcome of the Special European Council meeting of 17-21 July 2020, 23 luglo 2020.
[6] V. Outcome of the Special European Council meeting of 17-21 July 2020, cit.
[7] V. L. Capuzzi, Discontinuità in Europa grazie a Merkel. Ma per avere i fondi meccanismo severo, intervista al prof. Enzo Moavero Milanesi pubblicata il 26 luglio 2020 su Avvenire.
[8] Si pensi che la Relazione per paese relativa all’Italia del 26 febbraio 2020 prevede: “Il rilancio delle riforme dovrebbe assicurare in via prioritaria delle finanze pubbliche sane, una maggiore efficienza della pubblica amministrazione e della giustizia, un miglior funzionamento del sistema di istruzione e del mercato del lavoro, un contesto più favorevole alle imprese e un più solido settore bancario”.
Marta Moretti
Avvocato, esperta di diritti umani.