di Michele Lipori. Redazione Confronti.
“I can’t breathe” (non riesco a respirare), queste le ultime parole pronunciate da George Floyd – un afro-americano di 46 anni – prima di morire, ripreso in diretta Facebook da un passante, in seguito all’arresto da parte di quattro agenti di polizia locale che rispondevano alla chiamata di un negoziante locale. Secondo il negoziante, Floyd avrebbe pagato un pacchetto di sigarette con una banconota da 20 dollari contraffatta. È il 25 maggio 2020 a Minneapolis (Minnesota).
Da allora partono una serie di manifestazioni in memoria di Floyd e per protestare contro la brutalità della polizia, prima a Minneapolis e poi in tutti gli Stati Uniti, arrivando fin sotto ad una blinda Casa Bianca. La maggior parte delle manifestazioni e dei cortei sono pacifici, altri sono degenerati in atti violenti.
Brutalità della polizia negli USA
La vicenda di George Floyd ha riportato alla ribalta la questione della brutalità della polizia che già nel 2014 era esplosa dopo la morte di Michael Brown, un ragazzo di 18 anni ucciso, con 6 colpi di pistola, da un ufficiale di polizia a Ferguson (Missouri). Brown aveva rubato una scatola di sigari. Dell’ultima ora anche il ritrovamento di un video che confermerebbe un ennesimo episodio di violenza indebita nei confronti di un afro-americano. È il caso di Michael Ellis, ucciso lo scorso 6 marzo in seguito ad un arresto, in circostanze che ricordano la tragica vicenda di George Floyd.
Gli ultimi dati mostrano che solo all’inizio del 2020 siano ben 819 i decessi verificatisi durante azioni di polizia. Molte delle persone uccise erano afro-americane.
Sorvegliare e uccidere. La polizia e gli afro-americani
Se il dato assoluto mostra che metà delle persone colpite e uccise dalla polizia nel 2019 siano bianche, in proporzione rispetto all’incidenza sulla popolazione sono i neri e gli afro-americani ad essere i più colpiti. I neri e gli afro-americani rappresentano, infatti, meno del 13% della popolazione degli Stati Uniti, ma vengono uccisi in azioni di polizia con una incidenza pari a più del doppio rispetto agli americani bianchi. Anche gli americani ispanici vengono colpiti e uccisi dalla polizia in modo sproporzionato rispetto alla loro incidenza demografica.
Secondo una ricerca del Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of Americas, basata sui dati raccolti dal 2013 al 2018, la violenza della polizia è una delle principali cause di morte per i giovani negli Stati Uniti. Nel corso della propria vita, la probabilità per un uomo afro-americano di essere ucciso dalla polizia è pari a una su 1.000. La fascia di età compresa fra i 20 e i 35 anni è particolarmente a rischio per tutti i gruppi “razziali” ed etnici, ma le donne e gli uomini afro-americani, come anche gli uomini e le donne nativi americani, hanno maggiori probabilità di essere uccisi dalla polizia rispetto a un uomo o una donna bianchi. La categoria che segue, in questa “classifica”, è quella degli uomini ispanici.
Il colore dell’odio
Ma la violenza contro le minoranze e gli afro-americani in particolare non è unicamente appannaggio della polizia. Secondo i dati elaborati dall’FBI, nel 2018 si sono registrati ben 4.268 reati (46,9% sul totale) identificabili come “crimini di odio” (hatecrime) contro istituzioni, gruppi o singoli individui afro-americani. Un numero enorme, soprattutto se confrontato con i numeri riferibili ad azioni contro persone o istituzioni “bianche” o “ispaniche” (rispettivamente 1.763 e 1.129 reati). Segno che il “nero” è ancora il colore dell’alterità per eccellenza.
Carceri negli USA. Uno squilibrio evidente
Anche i dati sui crimini e sul profilo “razziale” dei detenuti ci parla di questo squilibrio. Secondo i dati del Bureau of Justice Statistics rilasciati lo scorso aprile, nel 2018 sono stati 465.200 i neri detenuti nelle prigioni degli Stati Uniti, a cui seguono 430.500 bianchi e 330.200 ispanici.
Seppure i numeri assoluti il trend dei detenuti sia in discesa per tutti e tre i gruppi, nei dati raccolti fra il 2007 e il 2017 rimane invariato il primato degli afro-americani.
La sproporzione di numeri risulta evidente se comparata con i dati demografici, ma anche con i dati sui crimini perpetuati e sul “colore” dei criminali arrestati nel 2018 forniti dall’FBI. Dal rapporto si evince che, su un totale di 7.710.900 arresti nel 2018 il 69,6% degli arrestati era bianco, il 27,4% afro-americano, il 2,3% appartenente a una delle popolazioni native americane e l’1,2% asiatico.
[pubblicato su WE n.4 – Razzismi – 07/06/2020]
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