di Deborah Erminio. Ricercatrice Centro Studi Medì.
Poveri e bisognosi o disperati e indesiderati: sono questi i due principali stereotipi che riguardano gli immigrati. La ricerca del Centro Studi Medì Volontari inattesi. L’impegno sociale delle persone di origine immigrata sul mondo del volontariato restituisce un’immagine non comune nell’opinione pubblica, quella dell’immigrato che non è soltanto un soggetto bisognoso di aiuto o – peggio – un fardello per la società, ma un individuo che mette a disposizione degli altri il proprio bagaglio di risorse e diventa protagonista attivo nel contesto in cui vive.
L’indagine ha mostrato il volto di centinaia di immigrati impegnati in attività di volontariato in 163 città d’Italia (658 questionari, 100 storie di vita, 5 casi-studio e 5 organizzazioni presenti a livello nazionale con un numero alto di immigrati tra i propri volontari), dando voce ai percorsi che li hanno condotti alla scelta del volontariato, alle motivazioni e alle modalità con cui quest’azione solidaristica viene profusa.
Ne è emersa un’immagine policroma, ricca di sfumature quante sono le realtà che compongono il mondo migratorio e a cui non siamo abituati a pensare. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone presenti in Italia da diversi anni, istruite e ben inserite nel tessuto locale, siano essi studenti, lavoratori, casalinghe o disoccupati, espressione di quella presenza migratoria stabilizzatasi e radicatasi in Italia, quasi invisibile nel discorso mediatico e lontana dai riflettori del dibattito pubblico. Non mancano nemmeno, seppur minoritari, quegli immigrati arrivati da poco tempo, che spesso hanno beneficiato di servizi a loro rivolti nei primi anni di arrivo e in un secondo momento sono passati dal ruolo di utenti a quello di volontari.
Questo conduce a una prima riflessione: nel nostro Paese il volontariato si manifesta soprattutto quando si è raggiunto un certo livello di integrazione sociale.
Non è un tema del tutto nuovo, ma è stato scarsamente esplorato perché spesso ci si concentra sull’associazionismo dei migranti, quindi sugli immigrati che aiutano altri immigrati, mentre in questo caso il focus dell’analisi è sulla partecipazione degli immigrati ad azioni di volontariato più universali, che si rivolgono a tutti.
Gli immigrati sono attivi soprattutto nei “servizi di assistenza sociale” (il 18% del totale), nelle “attività culturali” (17%), nelle attività “educative” (17%) e nelle “attività ricreative e di socializzazione” (16%). Rispetto alla realtà del volontariato in Italia, risultano essere più attivi nelle attività culturali, nei servizi di assistenza sociale e di aiuto nelle emergenze umanitarie, nella cooperazione internazionale e nelle iniziative volte a promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale.
Le motivazioni che spingono verso l’impegno attivo sono molteplici: si entra nel mondo del volontariato per sentirsi utili e dare il proprio contributo all’ambiente e/o alla comunità in cui si vive (17%), perché si crede in una giusta causa quale quella portata avanti da un’associazione (17%) o più semplicemente per stare con gli altri e sviluppare relazioni sociali dense e gratificanti (14%). Ovviamente, parlando di persone che hanno alle spalle un background migratorio, è importante anche il volersi impegnare a favore di altri immigrati (13%), ma non è solo questo: il volontariato di questi intervistati si pone in un’ottica a tutto tondo, che supera la dimensione della solidarietà etnica e si rivolge alla società nel suo complesso.
Non a caso 1 intervistato su 2 era già attivo come volontario nel proprio Paese di origine e ha voluto proseguire questo agire solidaristico anche in Italia.
L’impegno sociale verso gli altri non è quasi mai disgiunto da una dimensione più personale verso se stessi (come emerge da molti studi di settore): indipendentemente dall’essere italiano o straniero, l’agire sociale promuove il benessere di chi lo fa.
L’impegno sociale è gratificante, conferisce una rappresentazione di sé positiva (stima, fiducia in se stessi, ecc.), una gratificazione immediata (riconoscenza dei beneficiari) e un riconoscimento sociale da parte degli altri. Consente di mettersi alla prova e scoprire le proprie capacità; è un’occasione di crescita personale e di costruzione identitaria; sviluppa relazioni con gli altri volontari e con i beneficiari e può essere la strada per uscire da situazioni di isolamento sociale; favorisce lo sviluppo di competenze di vario genere; può svolgere una funzione di resilienza perché l’incontro con la sofferenza aiuta a sviluppare un livello maggiore di consapevolezza della propria situazione, spostando il focus di interesse dal proprio stato di disagio; comporta un ritorno in termini di soddisfazione esistenziale perché impegnarsi in attività concrete per gli altri significa poter fare la differenza grazie alle proprie azioni.
Il volontariato si lega poi all’identità personale e sociale delle persone. Considerando che gli immigrati svolgono spesso lavori poco qualificati o scarsamente professionalizzanti, l’attività del volontariato può restituire una dimensione di valore personale spesso tolta ai migranti: non soltanto immigrati schiacciati nella dimensione del bisogno economico, non soltanto rifugiati arrivati coi barconi e identificati quasi in toto con la loro situazione di fuga, ma persone che ritrovano il valore di sé come individui.
Far parte di un gruppo associativo offre una nuova prospettiva nella definizione della propria identità sociale, diventa occasione per essere riconosciuti, senza distorsioni inferiorizzanti, favorisce il sentirsi accettati e apprezzati in un gruppo: ci si sente parte di un “noi” che trascende l’origine immigrata. Ad esempio indossare una divisa assume un valore simbolico che dice agli altri «io faccio parte a pieno titolo di questa società», colloca il soggetto in un’appartenenza ulteriore rispetto a quella – spesso predominante – dell’essere straniero e/o immigrato. L’agire sociale ha poi un’importante valenza per la società che ne beneficia, che va oltre l’aiuto concreto che si offre. Il volontariato delle persone immigrate mostra una società che sta cambiando, anzi che in parte è già cambiata, anche se ce ne accorgiamo poco: un’Italia dove gli immigrati sono protagonisti attivi dell’impegno sociale, risorse per le associazioni del no-profit e per la società più in generale.
Per dirla con le parole di un intervistato: «Sono partito da vittima e sono diventato protagonista». Siamo abituati a pensare in termini di una stratificazione sociale, in cui agli immigrati spettano gli svantaggi strutturali della società (posti di lavoro meno buoni, maggiore povertà, ecc.) e fatichiamo a riconoscere loro un ruolo pienamente paritario. Questa indagine è una narrazione controcorrente rispetto al dibattito pubblico sull’immigrazione. Mostra come queste nuove fette di popolazione siano già inserite nel contesto sociale: sono protagonisti che si prodigano per la società in cui vivono da molto tempo, hanno un solido insediamento sociale, un retroterra culturale e un bagaglio di risorse significativo. Per il mondo del volontariato, anzi per tutti, rappresentano un capitale di risorse a cui guardare con uno sguardo nuovo.
[pubblicato su Confronti 07-08/2020]

Deborah Erminio
Ricercatrice Centro Studi Medì