11 settembre 1973. Il Cile di Salvador Allende tra i blocchi della Guerra fredda - Confronti
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11 settembre 1973. Il Cile di Salvador Allende tra i blocchi della Guerra fredda

by Andrea Mulas

di Andrea Mulas. Ricercatore Fondazione Lelio e Lisli Basso

«Dalla nostra parte, dal lato della rivoluzione cilena, stavano la costituzione e la legge, la democrazia e la speranza». Il poeta Pablo Neruda, in fin di vita e angosciato dalla notizia della morte all’amico Salvador Allende, il primo rivoluzionario diventato presidente tramite democratiche elezioni, dedica le ultime pagine al suo Cile oppresso dalle forze armate che con il golpe dell’11 settembre 1973 avevano spezzato il processo rivoluzionario dell’Unidad popular di costruire una nuova società fondata sulla giustizia e l’equità sociale. Un altro Premio Nobel, Gabriel García Márquez ne La verdadera muerte de un presidente consegna alla storia la figura esemplare di Allende: «il dramma ha avuto luogo in Cile, con grande dispiacere dei cileni, ma deve passare alla storia come qualcosa che è inevitabilmente accaduto a tutti gli uomini di questo tempo e che è rimasto nelle nostre vite per sempre».

Se la vittoria non era stata facile, ancor più difficile sarebbe stato consolidare il trionfo. Il piano cospirativo per eliminare il compañero Presidente prende forma nelle stanze del Dipartimento di Stato a partire dal settembre 1970, nei giorni che precedono la sua proclamazione a presidente della repubblica. Tutti i documenti di quel triennio sono stati desecretati pochi anni fa e sono disponibili sulla piattaforma del National Security Archive, ma resta tristemente celebre la frase dell’ex segretario di Stato Henry Kissinger: «Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli».

Il “pericolo marxista” agitato dalle formazioni di destra nei fatti rappresentava anzitutto una politica di riappropriazione delle risorse naturali del paese per decenni depauperato dalle multinazionali straniere. 

Il “pericolo marxista” agitato dalle formazioni di destra nei fatti rappresentava anzitutto una politica di riappropriazione delle risorse naturali del paese per decenni depauperato dalle multinazionali straniere.  È lo stesso presidente che chiarisce questo aspetto all’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1972: «La necessità di mettere tutte le nostre risorse economiche al servizio delle enormi carenze del popolo è andata di pari passo con il recupero per il Cile della sua dignità. Dovevamo porre fine alla situazione in cui noi cileni, lottando contro la povertà e la stagnazione, dovevamo esportare ingenti somme di capitale a beneficio della più potente economia di mercato del mondo. La nazionalizzazione delle risorse di base è stata una rivendicazione storica. La nostra economia non poteva più tollerare che l’80% delle sue esportazioni fosse nelle mani di un piccolo gruppo di grandi aziende straniere che hanno sempre anteposto i propri interessi alle esigenze dei paesi in cui traggono profitto». In passato solo Lazaro Cárdenas nel 1938 era riuscito a nazionalizzare il petrolio messicano. Ma la “via cilena al socialismo” non è solo una questione economica. Allende si muove nella strettoia imposta dalla divisione geopolitica dei blocchi e punta all’affermazione di un socialismo democratico, alternativo ai movimenti guerriglieri di stampo guevarista e alla Revolución castrista o ai modelli imperanti (vietnamita, jugoslavo o cinese), tanto che aveva voluto chiarire: «Non esistono esperienze anteriori che possiamo usare come modello». 

Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica non avrebbero potuto permettere che il progetto allendista si affermasse come un “modello” da seguire non solo nel subcontinente, ma anche tra le forze comuniste e socialiste occidentali.

Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica non avrebbero potuto permettere che il progetto allendista si affermasse come un “modello” da seguire non solo nel subcontinente, ma anche tra le forze comuniste e socialiste occidentali. Come in altre regioni del Terzo Mondo, in America latina il conflitto tra le due superpotenze si è sovrapposto ai complessi processi locali di trasformazione sociale, economica e politica. La convergenza tra queste dinamiche ha dato origine a un periodo di oltre quattro decenni di forte instabilità politica ed economica, polarizzazione interna ed episodi di drammatica violenza.

In questo senso i fatti di Santiago del Cile richiamavano alla memoria l’intervento sovietico di Praga nel 1968. Se in Venezuela la defenestrazione di Dubček aveva convinto il leader rivoluzionario Teodoro Petkoff a scrivere Checoeslovaquia. El socialismo como problema criticando l’interventismo di Brežnev, in Europa il drammatico epilogo cileno rappresenta un monito soprattutto per il segretario del Pci Enrico Berlinguer che ne coglie immediatamente gli “utili insegnamenti”, sia a livello nazionale che internazionale, e condivide le sue Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile sul settimanale Rinascita (28 settembre, 5 e 12 ottobre), dove parla di «un modello nuovo di socialismo» fondato sulla ricerca a «ogni possibile intesa e convergenza tra tutte le forze popolari». Il segretario propone quindi un “nuovo grande compromesso storico” tra le «forze che raccolgono e rappresentano la grande maggioranza del popolo italiano» capace di ripristinare i principi della coalizione antifascista delle origini della Repubblica.

La mattina dell’11 settembre il presidente Allende in nessuno dei suoi discorsi si rivolge ai partiti politici dell’Unidad popular, i suoi messaggi sono diretti al pueblo, senza distinzioni.

La mattina dell’11 settembre il presidente Allende in nessuno dei suoi discorsi si rivolge ai partiti politici dell’Unidad popular, i suoi messaggi sono diretti al pueblo, senza distinzioni. Alle immagini del bombardamento della Moneda e dei prigionieri ammassati nello stadio nazionale di Santiago del Cile segue una mobilitazione internazionale che richiama le manifestazioni oceaniche contro la guerra del Vietnam e il movimento terzomondista conosce nuova linfa con il Tribunale Russell II che per primo denuncia a livello internazionale i crimini commessi dalle dittature e dalle multinazionali analizzandone le cause.

Tra le violenze compiute negli spogliatoi dello stadio colpiscono gli abusi al cantante Victor Jara denunciati a Roma dalla moglie Joan: «la mattina del 18 un giovane venne a casa mia. Veniva dall’obitorio. Mi disse che il corpo di mio marito era stato riconosciuto tra le centinaia di cadaveri che si trovavano all’obitorio e che io dovevo andare con lui per cercare di riscattare il corpo al più presto possibile altrimenti avrebbero potuto metterlo in una fossa comune». Il
tunnel degli orrori prosegue. Trova il marito con i vestiti strappati, i pantaloni calati intorno alle caviglie, il petto coperto di ferite di mitragliatrice e le mani che penzolavano dai polsi. Di lì a pochi mesi il subcontinente sarebbe stato investito dalla ferocia delle dittature militari coordinatesi nel Plan Cóndor per reprimere qualsiasi forma di opposizione, una rete criminale che agirà utilizzando la tortura, i campi di concentramento, la censura, la prigionia senza processo e le esecuzioni sommarie. Repressione su larga scala che causerà decine di migliaia di desaparecidos. 

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