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Cognome (Argentina)

by Nadia Angelucci

di Nadia Angelucci. Giornalista e scrittrice.

Mariana Dopazo nata Echecolatz, è figlia di Miguel Echecolatz ex poliziotto argentino, condannato all’ergastolo per numerosi crimini contro l’umanità tra cui il sequestro e l’omicidio di un gruppo di adolescenti, raccontato nel film di Héctor Olivera La notte delle matite spezzate. Nel 2014, Mariana si presenta davanti al Tribunale della Famiglia per chiedere di cambiare il proprio cognome.

È nel mese di luglio, nel pieno dell’inverno rioplatense, che Mariana Dopazo ha fatto la sua prima apparizione televisiva in Historias debidas di Canal Encuentro, una serie di interviste condotta da Ana Cacopardo.

Nella sua casa di Buenos Aires, in mezzo ai suoi libri e alle fotografie, Dopazo, psicoanalista e docente universitaria, risponde alle domande della giornalista offrendo una testimonianza che restituisce i contorni di un’identità personale e politica di lotta, di dignità, di resistenza.

È così che l’Argentina vede il viso di una delle voci più inaspettate e impreviste del panorama sociale degli ultimi anni, quella di una donna che tre anni fa è comparsa sulla scena pubblica per ripudiare il cognome del proprio padre genocida e opporsi alla risoluzione della Corte Suprema che aveva cercato di concedere benefici e sconti di pena a coloro che erano stati condannati per crimini contro l’umanità commessi durante la dittatura civico militare del 1976-1983.

Dopazo, nata Echecolatz, è infatti figlia di Miguel Echecolatz ex poliziotto argentino, condannato all’ergastolo per numerosi crimini contro l’umanità tra cui il sequestro e l’omicidio di un gruppo di adolescenti, raccontato nel film di Héctor Olivera La notte delle matite spezzate.

Nel 1984, quando Etchecolatz viene arrestato per la prima volta Mariana ha 14 anni: «Ho saputo degli orrori che erano stati perpetrati dallo Stato e che queste azioni erano state fatte da mio padre: non ha commesso altro che crimini contro l’umanità», dice Mariana. E ammette: «Non ho mai dubitato che fosse responsabile di tali atrocità».

È una storia di violenza familiare quella della famiglia Etchecolatz, una violenza agita in un silenzio terrificante, che i figli e la moglie del genocida hanno subito fino al suo arresto.

Dopo 30 anni, nel 2014, Mariana si presenta davanti al Tribunale della Famiglia per chiedere di cambiare il proprio cognome. Ci ha messo più di un anno per redigere il testo da presentare ai giudici per chiedere la sua “disaffiliazione”. Nel 2004 un’altra donna, Rita Vagliati, figlia del commissario Valentin Milton Pretti, aveva compiuto lo stesso gesto.

«Le tracce della memoria non vengono cancellate. Portare il suo cognome è stato un pesante fardello, e la sua abolizione e sostituzione riparerà tanto dolore e tante lacerazioni personali» aveva scritto nell’atto presentato al Tribunale. E continuava «ho deciso con questa richiesta di porre fine al grande peso che per me significa portare sulle spalle un nome macchiato di sangue e di orrore, estraneo alla mia persona, il patronimico di un genocidio. La mia identità non sarà reale finché dal mio nome non sarà cancellato il cognome di mio padre».

Nel 2017 cominciano a prendere parola, in Argentina, i figli e le figli di militari e poliziotti che avevano partecipato al terrorismo di Stato e nasce il collettivo Storie di disobbedienza: sono cinque figlie e un figlio. Nel 2018 pubblicano la raccolta Escritos Desobedientes e organizzano il primo incontro internazionale che ha permesso di estendere i legami dell’organizzazione ad altri paesi come il Cile e la Germania.

Ad oggi il Collettivo ha contattato più di un centinaio di figlie, figli, fratelli, sorelle, nipoti, nipoti e nipoti di genocidi dimostrando quanto il tema dei diritti umani, della verità e della giustizia, sia presente e urgente in Argentina.

«La potenza politica degli ex figli e delle ex figlie dei genocidi – dice Marina Dopazo a Cacopardo – ha come caratteristica il ripudio più intimo, come ultimo rifugio che si inscrive nella linea della memoria e fondamentalmente della giustizia».

Oggi Mariana Dopazo, con il cambio di cognome, vive una nuova identità politica che lei definisce, e quindi crea, quella di “ex-figlia”, una nuova categoria che circoscrive nuovi luoghi di identità. La sua presa di parola pubblica e il suo mostrarsi diventano gesti di affermazione personale e politica all’interno del movimento per i diritti umani in Argentina.

Ex figlia ma non vittima, anzi una disobbediente: «Non siamo vittime. Siamo disobbedienti – dice ancora –. Ci siamo ribellate a un ordine potente, patriarcale e gerarchico. Lo abbiamo infranto, abbiamo trasgredito a quella regola. Con la nostra testimonianza di ex-figlie veniamo a dire che è possibile essere qualcos’altro, che non siamo agganciate a un destino tragico».

[pubblicato su Confronti 09/2020]

Nadia Angelucci

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