di Francesca Bellino. Giornalista e scrittrice
Per il suo 85esimo compleanno mi sarebbe piaciuto festeggiare Fairuz raccontando la sua storia su un palcoscenico come ho fatto più volte nel reading musicale Il canto libero delle stelle mediterranee, ma il 21 novembre è alle porte e dobbiamo rispettare le regole dell’emergenza Covid-19. Eppure il desiderio e il bisogno di raccontare la vita della diva libanese, come di altre cantanti passate alla storia per il talento e l’impegno civile che celebro nel testo che porto in scena con la cantante Barbara Eramo e il musicista Stefano Saletti, in me restano vivi perché le esistenze degli artisti e le loro opere diventano ancora più preziose nel mezzo di una pandemia quando la musica, il cinema, il teatro vengono messi da parte in nome della salute pubblica.
La storia di Fairuz è singolare perché ha come protagonista una donna riservata e solitaria diventata un’icona internazionale grazie alla sua voce incantatrice. Fairuz è l’unica cantante araba ancora vivente venerata da quasi settant’anni in tutto il mondo arabo da persone di ogni credo, al pari della diva egiziana Umm Kulthum.
Il poeta palestinese Mahmud Darwish, l’ha definita «la canzone che rende il deserto più piccolo e la luna più grande». La sua voce, infatti, sembra contenere un potere benefico: rimpicciolisce il male e ingrandisce la luce.
Il poeta palestinese Mahmud Darwish l’ha definita «la canzone che rende il deserto più piccolo e la luna più grande». La sua voce, infatti, sembra contenere un potere benefico: rimpicciolire il male e ingrandire la luce. Può essere ipnotica, avvolgente, aggregante, ma anche consolatoria com’è avvenuto nei momenti difficili vissuti dal suo amato Libano, dalla lunga guerra civile fino allo choc delle esplosioni al porto di Beirut dello scorso 4 agosto.
All’indomani di quest’ultima tragedia, la voce di Fairuz ha cominciato a risuonare nelle case, nei caffè, nei negozi, nelle automobili diffondendosi come una preghiera rassicurante capace di sanare gli animi scioccati della devastazione, tanto da aver spinto il presidente della Francia Emmanuel Macron, in visita due volte in Libano dopo l’esplosione, a rendere omaggio alla diva a inizio settembre con la consegna della massima onorificenza francese, la Legion d’Onore.
Nella sua lunga carriera Fairuz è stata spesso considerata il simbolo dell’unità nazionale libanese, ma ha parlato a tutti, non solo al suo paese. Nelle sue canzoni non ha interpretato solo l’amore e l’appartenenza alla patria, ma anche i sentimenti dell’esilio, della perdita, delle ingiustizie, fino alle problematiche ambientali. Ha inciso 80 dischi, oltre 1500 brani tra cui Li Beirut (1983) diventato negli scorsi mesi l’inno del dolore dei libanesi che a molti suona familiare perché nasce dalla melodia di Concierto para Aranjuez (1939) del compositore spagnolo Joaquín Rodrigo su cui sono stati adattati testi in tutto il mondo (in Italia Fabrizio De Andrè ci ha scritto Caro amore).
Fairuz è nata a Beirut nel 1934 in una casa siriaco-cattolica nel quartiere multietnico Al-Basta. Si è imposta subito come modello femminile innovativo, capace di realizzare il sogno di tutte le donne: avere una famiglia e portare avanti una carriera trionfale. L’origine del suo successo, infatti, risiede nel sodalizio artistico e amoroso con il musicista e compositore Assi al Rahbani che ha sposato all’età di 20 anni.
Con lui Fairuz ha condiviso tutto. I due artisti sono diventati subito inseparabili. Hanno scelto uno stile di vita semplice e appartato e lavoravano giorno e notte. Al loro mondo intimo aveva accesso solo Mansour, fratello di Assi, autore dei testi delle canzoni.
«Assi era molto creativo e io ricettiva» ha raccontato la cantante descrivendo l’illimitata ispirazione nata dal loro incontro ed esplosa sin dalle prime apparizioni fino ai memorabili concerti al festival Baalbeck, tra le rovine dell’antica città romana, a partire dal 1957. La cantante è sempre stata al fianco di Assi, fino al giorno della sua morte nel 1986. Con lui ha rivoluzionato la musica araba e ha portato il suo immenso repertorio nel mondo, da Londra a Parigi, da Montreal a Rio de Janeiro, da Buenos Aires a Las Vegas, da San Francisco a New York.
Quando Assi è morto, Fairuz non ha smesso di cantare e di portare in giro le canzoni, le commedie musicali e le operette da lui composte, così come quando è scoppiata la guerra civile in Libano nel 1975, la diva è rimasta nel suo paese e ha cominciato a lavorare con il figlio Ziad, musicista e compositore. E, al termine della guerra, nel 1990, ha provato a ricucire la memoria del paese riproponendo le canzoni più amate dal suo popolo come nel trionfale concerto di Beirut del 1994, fino all’evento del festival di Beiteddine nel 2010 in cui ha proposto anche nuove sonorità.
Fairuz ha avuto quattro figli. Dopo Ziad sono arrivati Hali, Laiali (morto in guerra nell’88) e Reema, diventata regista e sua produttrice. È della figlia anche la produzione di uno degli ultimi brani registrati da Fairuz qualche anno fa, un brano dedicato al popolo palestinese e in particolare ai morti dei sanguinosi scontri sulla striscia di Gaza di maggio 2018, in seguito alle proteste per il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.
Già in passato l’interprete libanese aveva appoggiato la causa Palestinese con molti brani tra cui Zahrat al madayn (Il fiore della città), in cui esprime la speranza degli arabi di riconquistare Gerusalemme e il sogno di vedere in pace la città “sofferente”.
Nel nuovo brano, invece, la voce di Fairuz arriva come un grido disperato. La canzone si intitola IlÈ Mata’ Ya Rabbi che vuole dire «Dio mio perché mi hai abbandonato?», una frase che richiama le ultime parole di Gesù sulla croce e allude all’urlo dei palestinesi che si sentono abbandonati dal mondo intero.
La “nostra ambasciatrice presso le stelle”, così viene ancora chiamata la cantante dai libanesi, festeggerà il suo compleanno come ha sempre fatto, a casa in famiglia, ma non senza la musica che ha accompagnato ogni giorno della sua vita.
La “Nostra ambasciatrice presso le stelle”, così viene ancora chiamata la cantante dai libanesi, festeggerà il suo compleanno come ha sempre fatto, a casa con la famiglia, ma non senza la musica che ha accompagnato ogni giorno della sua vita.
La musica, insieme a tutte le forme d’arte, proprio nei momenti più duri svolge i suoi molteplici ruoli: quello di mediare, di elaborare gli eventi, di rassicurare, di unire e di evitare di cadere nel vuoto. La musica può curare, lenire, guarire. Inoltre la musica è un rito. È una messa laica.
Nella tradizione occidentale si dice che se a una città viene tolto un teatro o una sala concerto, questa perde l’anima. E allora, consegnandovi il racconto della vita della stella del Libano che ha cantato nei teatri di tutto il mondo, penso alle nostre città “chiuse per virus”, spente in attesa della riapertura di cinema e teatri, e mi auguro che possano presto ritrovare l’anima perduta.

Francesca Bellino
Giornalista e scrittrice