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Lettere dal carcere

by Goffredo Fofi

di Goffredo Fofi. Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini.

Scrivere lettere con i carcerati è un atto per il miglioramento della loro condizione e in particolare dei condannati all’ergastolo. La relazione che scaturisce può dare dei frutti sorprendenti.

Ci fu un tempo in cui ero in corrispondenza con molti carcerati. Non potendo “visitarli” come da precetto, almeno gli scrivevo e li consolavo per il poco possibile mandando anche qualche piccolo dono in denaro ai più abbandonati ma ben sapendo che la cosa più importante era per loro avere qualcuno che li pensava, che gli scriveva.

Era cominciata con un giovane amico che avevo conosciuto per caso a Roma, quando andavo cercando notizie – su mandato di amici beat milanesi – di un simpatico ragazzo proletario soprannominato, e questo spiega molte cose, Pasticca.

Da tempo non si faceva più vedere o sentire. Scendevo spesso da Milano a Roma e certi suoi amici milanesi sapevano che frequentava una specie di piccolo accampamento hippie sopra piazza del Popolo; fu lì che lo cercai ma, mi disse qualcuno che lo aveva conosciuto, era morto buttandosi, iper-drogato, dal Muro Torto sulla strada sottostante.

Uno dei suoi amici romani, arrestato per consumo di stupefacenti, Nando, aveva il mio indirizzo e mi scrisse, e pian piano mi “passò” altri carcerati, uno dei quali in particolare mi si affezionò moltissimo. Si chiamava David William Bianchi, aveva più di settant’anni, ed era stato un gangster italo-americano nella Chicago degli anni trenta, rispedito in Italia dal governo degli Stati Uniti d’America come “indesiderabile” nel 1945.

Aveva sulla coscienza degli omicidi, forse molti, anche nell’Italia in cui era entrato rapidamente nel giro delle bande criminali milanesi, la più famosa delle quali fu quella di Ezio Barbieri, che aveva la sua base all’Isola (arrestato, riuscì a organizzare con i suoi seguaci una rivolta a San Vittore che durò settimane prima che le forze
dello Stato riuscissero a sconfiggerla, una storia ricostruita anche in un romanzo di Alberto Bevilacqua, Pasqua di sangue)…

Molte bande si resero famose in più città: a Roma quella del “Gobbo del Quarticciolo”, a Bologna quella di Casaroli, e nel Sud, in versione non solo metropolitana e tra varie altre, quella di Salvatore Giuliano, la più famosa di tutte.

Molte bande si resero famose in più città: a Roma quella del “Gobbo del Quarticciolo”, a Bologna quella di Casaroli, e nel Sud, in versione non solo metropolitana e tra varie altre, quella di Salvatore Giuliano, la più famosa di tutte.

Tornando agli “indesiderabili” (il più famoso un super-criminale mafioso con molte protezioni, Lucky Luciano, su cui ha fatto un film Francesco Rosi), su di loro ha scritto un bel libro (Gli indesiderabili, Sellerio, 1962) uno dei giornalisti più estroversi e simpatici che abbia conosciuto, un personaggio un tempo assai celebre, Giancarlo Fusco, veloce autore di libri belli e utili, come un suo diario della guerra d’Albania (Guerra d’Albania, Sellerio, 1961) accolto nei Gettoni di Elio Vittorini e Le rose del ventennio (Sellerio, 1959) sulle più strambe vicende del fascismo. Su come ho conosciuto Fusco, potrei scrivere un’altra storia, che riguarda stavolta Fausto Coppi.

Ho conservato le tante lettere di David, dove, in un italo-americano strambo e sgrammaticato, mi raccontò le sue pene e, visto che oltre a scrivergli gli mandavo qualche lira, finì per chiamarmi “Caro figlio”…

Smisi di corrispondere con dei carcerati quando mi accorsi che a molti di loro si misero a scrivere dei malintenzionati “rivoluzionari” che, mi convinsi, cercavano di arruolarli, man mano che sarebbero usciti, nella clandestinità.

Da bravo ergastolano che non sapeva come passare il tempo, mi spediva – per mia madre e le mie amiche – dei centrini che si ingegnava a ricamare con altri disperati come lui… Gli misi a disposizione un avvocato, che fece chiedere inutilmente la grazia al presidente della Repubblica…

Morì in carcere, e fui, credo, l’unico a riceverne ufficialmente la notizia, l’unico suo contatto con l’esterno.

Smisi di corrispondere con dei carcerati quando mi accorsi che a molti di loro si misero a scrivere dei malintenzionati “rivoluzionari” che, mi convinsi, cercavano di arruolarli, man mano che sarebbero usciti, nella clandestinità.

Consolare i carcerati c’è chi ancora prova a farlo e sono molti, per fortuna, ma voglio ricordare in primo luogo l’avvocato Bianca Guidetti Serra, torinese (che si occupò tra l’altro di un’altra banda famosa, degli anni sessanta milanesi, la Banda Cavallero) e Luigi Manconi che fondò una rivista su questo, Antigone, e che ha cercato di fare più di ogni altro per il miglioramento della condizione carceraria e in particolare dei condannati all’ergastolo. Ché non c’è nulla di più atroce della carcerazione a vita!

[pubblicato su Confronti 10/2020]

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Goffredo Fofi

Scrittore, critico letterario e cinematografico, giornalista. Direttore della rivista Gli asini

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