di Andrea Mulas. Ricercatore Fondazione Lelio e Lisli Basso
Nel lungo ’68 latinoamericano condito di foquismo, teologia della liberazione e post-guevarismo, la strage di Plaza de las Tres Culturas, nota come Massacro di Tlatelolco (dal nome dello storico quartiere), assume rilevanza storica alla stregua del Maggio francese, dell’omicidio di Martin Luther King, della Primavera di Praga e della guerra del Vietnam.
A Città del Messico il 12 ottobre 1968 sarebbero stati inaugurati i diciannovesimi Giochi Olimpici più “alti” della storia (2.134 metri di altitudine), in un Paese governato stabilmente dagli anni Trenta dal Partido revolucionario institucional (Pri) che ne controllava i settori strategici. Da alcuni mesi il Messico è scosso dall’ondata contestataria guidata dal Consejo nacional de huelga (Consiglio nazionale di protesta) degli studenti democratici dell’Universidad Autónoma de México (Unam) che intendono sfruttare la vetrina olimpionica per garantire visibilità alle loro rivendicazioni in tema di diritti fondamentali: riforme economico-sociali, lotta all’analfabetismo e alla povertà, riconoscimento delle responsabilità per gli abusi della polizia e dei corpi militari e l’avvio di un dialogo con il governo conservatore del presidente Gustavo Díaz Ordaz, proiettato alle elezioni presidenziali dell’anno seguente. «No queremos Olimpiadas» (“Non vogliamo le Olimpiadi”) gridavano i giovani messicani nel 1968, per contestare l’uso strumentale che il governo voleva fare dei giochi e dei mondiali di calcio, quelli di Italia-Germania 4 a 3, che si sarebbero disputati due anni dopo.
In estate gli studenti messicani avevano visto Parigi agitarsi, il movimento americano per i diritti civili prendere piede e l’opposizione alla guerra del Vietnam esplodere in manifestazioni. Anche loro sentono che è l’ora del cambiamento e decidono di sfidare le rigide gerarchie politiche messicane. La protesta cambia volto dalla fine di luglio, quando iniziano gli scontri tra gli studenti e le forze di polizia che causano un centinaio di morti tra i giovani manifestanti, e il ministro dell’Interno decide di inviare l’esercito per soffocare le proteste. Il governo messicano aveva già applicato negli anni passati sistemi repressivi senza entrare nella sfera d’influenza degli Stati Uniti, come invece nel caso dei regimi militari che caratterizzeranno la storia latinoamericana degli anni Settanta.
Quel pomeriggio del 2 ottobre migliaia di manifestanti coperti dagli striscioni con il volto di Che Guevara confluiscono pacificamente nella grande Plaza de las Tres Culturas, che rappresenta un luogo simbolico per i messicani in quanto riunisce le tre culture del Paese: quella azteca, quella spagnola, quella moderna.
Quel pomeriggio del 2 ottobre migliaia di manifestanti coperti dagli striscioni con il volto di Che Guevara confluiscono pacificamente nella grande Plaza de las Tres Culturas, che rappresenta un luogo simbolico per i messicani in quanto riunisce le tre culture del Paese: quella azteca, quella spagnola, quella moderna.
Prende la parola il giovane leader studentesco Socrates: «Compagni, questa è una manifestazione pacifica, noi oggi l’abbiamo indetta innanzitutto per festeggiare l’evacuazione della nostra università da parte delle truppe governative, poi per chiedere che il resto delle scuole secondarie vengano anch’esse liberate dalla presenza dei soldati e infine per indurre i compañeros a cominciare, a partire da lunedì, uno sciopero della fame, per dimostrare che noi non vogliamo attaccare nessuno. Cerchiamo d’ora innanzi dei sistemi pacifici. Lunedì cominceremo, chiunque vorrà partecipare a questo sciopero della fame si sistemerà nella città universitaria dinnanzi alla piscina olimpica… che farà lo sciopero della fame fino alla fine delle Olimpiadi».
La giovane Oriana Fallaci che segue per L’Europeo le proteste, è testimone diretta, e sarà operata d’urgenza a seguito delle ferite riportate dai colpi sparati da un elicottero: « […] si è sentito un gran fracasso, un grande rumore di camion e di carri armati e la piazza è stata letteralmente circondata dalle quattro parti, perché l’edificio dove eravamo noi, questo terzo piano dove c’erano gli studenti, guarda la piazza, quindi da qualsiasi parte si guardasse, si vedevano arrivare camion e autoblindo. […] I camion si sono aperti, cioè la parte posteriore dei camion, i soldati si sono buttati giù sparando. Ma non sparando in aria, sparando in basso». Il massacro pianificato dai vertici militari coinvolge corpi speciali dell’esercito con agitatori e fiancheggiatori del Batallón Olimpia, e non manca lo zampino della Cia attraverso la presenza di infiltrati, come emerso dai documenti del National Security Archive, intimorita da un possibile appoggio esterno sovietico e cubano agli studenti “rivoluzionari”.
Finita la carneficina nella piazza, a terra, rimangono i corpi di circa 300 manifestanti e migliaia di feriti e arrestati perlopiù giovani studenti; solo una ventina di morti e un centinaio di feriti secondo fonti governative. Nei convulsi anni ’60, quello di Tlatelolco è rimasto l’unico movimento studentesco terminato con una strage.
Finita la carneficina nella piazza, a terra, rimangono i corpi di circa 300 manifestanti e migliaia di feriti e arrestati perlopiù giovani studenti; solo una ventina di morti e un centinaio di feriti secondo fonti governative. Nei convulsi anni ’60, quello di Tlatelolco è rimasto l’unico movimento studentesco terminato con una strage.
Nei giorni in cui si susseguono rastrellamenti e arresti arbitrari nei quartieri popolari di Città del Messico, manifestazioni di solidarietà investono diverse città italiane, come pure Parigi e Amsterdam. Anche il Premio Nobel Bertrand Russell e Jean-Paul Sartre chiedono l’annullamento dei giochi, ma il presidente del Comitato olimpico internazionale, Avery Brundage, si limita ad assicurare che le Olimpiadi sono «una vera oasi in un mondo tormentato», garantendo lo svolgimento regolare dal 12 al 17 ottobre dei XIX Giochi Olimpici.
Sono le Olimpiadi che entreranno nella storia mondiale.
Sono le Olimpiadi che entreranno nella storia mondiale non solo per l’altitudine, che rende i Giochi di Città del Messico unici nel loro genere, non solo perché per la prima volta fu una donna, Norma Enriqueta Basilio de Sotela, ad accendere il tripode, o per il record stellare di Dick Fosbury e l’indimenticabile salto in lungo di Bob Beamon che resiste per ventitré anni (fino all’arrivo di Carl Lewis e Mike Powell), ma soprattutto per i pugni guantati di nero alzati sul podio il 16 ottobre 1968 a Città del Messico dai due afroamericani John Carlos e Tommie Smith, esponenti dell’Olympic Project for Human Rights, insieme all’australiano Peter Norman.
Storie di proteste sociali e di rivendicazioni civili che si incrociano a Città del Messico. Ci sono voluti cinquant’anni prima che il governo messicano riconoscesse le violazioni dei diritti umani perpetrate dai propri apparati quei giorni di ottobre e dichiarare che fu «una delle pagine più tragiche della recente storia del Messico». Mentre è ancora lunga la strada per il pieno riconoscimento dei diritti delle comunità afroamericane negli Stati Uniti e, più in generale, per superare qualsiasi bieca forma di razzismo, anche in Italia.
Ph. © JEDIKNIGHT1970 / Wikimedia Commons
Andrea Mulas
Ricercatore Fondazione Lelio e Lisli Basso